Piccola storia triste, di Alessandro Trisoglio

Questa è la storia di Marco, giovanissimo aspirante calciatore, ruolo portiere, anno 2009. Ma potrebbe benissimo essere la storia di tanti, troppi altri ragazzini finiti nelle mani di sedicenti allenatori e dirigenti calcistici, in realtà “belve” assetate unicamente di ambizione e brama di vittoria.

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Marco vive in una grande città del nord ed è uno di quei ragazzini che a una consolle di calcio virtuale preferiscono la corsa sfrenata dietro a un pallone che rotola. E’ bravo, coraggioso, entusiasta e si appassiona al ruolo di portiere, non costretto da necessità, come spesso accade a quelli più scarsi, ma da doti naturali che non fanno fatica a emergere. Trova subito una società pronta ad accoglierlo: in pochissimo tempo Marco mette in mostra tutte le sue qualità, tanto da sollecitare le attenzioni di molte società importanti, da Milano e da Torino giungono segnali di interesse e il papà guarda al suo piccolo campione con giustificato orgoglio.

Marco è giovanissimo, è felice di essere considerato bravo, ma ha poco più di dieci anni e i progetti di carriera li lascia ai grandi, lui è felice solo quando gli permettono di fare ciò che gli piace.

E, a un certo punto, decide che fare il portiere gli piace, è bello ricevere complimenti e applausi per una bella parata, ma vuoi mettere la libertà di correre per tutto il campo, senza essere costretto a “vivere” in quegli ultimi sedici metri, lontano da tutti…

“Papà, voglio fare l’attaccante!”

“Marco, in porta sei fantastico, sei il migliore…lì davanti sei destinato a essere uno dei tanti…”

Non servono i consigli e i pareri dei grandi: quando un bimbo di dieci anni ha un sogno l’unica cosa che chiede e di poterlo realizzare.

Papà lo dice in società e qui inizia la parte veramente triste della storia.

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“Non se ne parla! Lui fa il portiere! Abbiamo dei progetti importanti per lui, non può rovinare tutto per un capriccio!”

Per Marco non si tratta di un capriccio ma di un sogno.

“O portiere, oppure fuori. In attacco non ci serve.”

E così, a dieci anni, Marco si ritrova senza squadra, il calcio senza un buon portiere ma con un attaccante felice, e la sua ex società con dirigenti da cui è decisamente meglio stare alla larga.

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