Intervista a Carlo Leva, scenografo (pubblicata il 13 febbraio 1984)
in memoria dello scenografo Carlo Leva, ecco il testo integrale dell’intervista da lui rilasciata a Claudio Braggio e pubblicata lunedì 13 febbraio 1984 dal bisettimanale GiSette (testata non più attiva da molti anni), prodromo alla mostra dello scenografo aperta dal 13 al 29 aprile di quell’anno, nei locali di Palazzo Cuttica, in Alessandria
(prima pagina, taglio basso)
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Carlo Leva ha firmato innumerevoli successi
Dal Tanaro al Tevere scenografo a Cinecittà
Alessandria – Lo scenografo Carlo Leva, anno di nascita 1930, è senza dubbio uno degli scenografi più contesi del mondo cinematografico.
Al grande pubblico il suo nome potrà non tornare in mente, ma indimenticabili sono le sue realizzazioni: dalle scene del pluripremiato “Zombi” al “Gatto a nove code” di Dario Argento, alla serie “western” di Sergio Leone alle recentissime scenografie di “Fantastico 4” (tutti suoi quei favolosi esterni, che hanno anche ricevuto i complimenti del regista Enzo Trapani per bocca di una delle presentatrici).
Carlo Leva é nato in un paesino della provincia di Alessandria, dove torna non appena ibero da pressanti impegni di lavoro.
Il destino preparatogli dai suoi avrebbe dovuto vederlo geometra, ma la volontà di entrare nel mondo del cinema, dello spettacolo era tanta.
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Ebbe ragione a seguire il suo talento, perché ora fa un lavoro che lo appaga e lo diverte.
Nel corso della sua brillante carriera ha costruito macchine, cappelle funerarie, appartamenti, città intere, ma tutte finte, per resistere soltanto per il tempo delle riprese.
Di quanto ha fatto rimangono solamente i bozzetti, gli schizzi, i progetti e molte fotografie. Oltre a tani bellissimi ricordi.
Servizio a pagina 3
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Uno scenografo alessandrino “emigrato” nella Mecca del Cinema
Leva, costruttore di illusioni
Gli inizi difficili, osteggiato dai genitori – Vincitore al concorso della RAI – L’amicizia con Sergio Leone
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L’orrore con Dario Argento – Enzo Muzii, le opere d’autore
Quando e come nasce “Carlo Leva scenografo”?
“È nato a cinque anni quando mio zio Luigi, l’intellettuale di famiglia, mi regalò un teatrino di burattini che ancor oggi conservo. Mi serviva per far divertire gli amici, per i quali memorizzavo le rappresentazioni di un teatrino che annualmente giungeva in paese. Nel mio teatrino c’erano tre sole scene. Ma ne avevo bisogno per altre storie, perciò me le costruii con del cartone. All’età di otto anni una mia zia mi condusse da suo marito, direttore della Darsena di Genova. Ebbi l’opportunità di visitare il Rex e di vedere un film americano, “Via col vento”. In seguito, mia zia mi portò alla Rinascente di piazza Ferraris e ed acquistò per me un giocattolo, una macchina da proiezione in cui si vedevano Pippo e Pluto su una specie di altalena. Fu allora che la magia del cinema mi conquistò”.
Non fu molto facile agli inizi, vero?
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“Ci furono, naturalmente, resistenze dei genitori, i quali mi fecero studiare da geometra. Ma lo facevo di controvoglia. Non divenni geometra: preferii affrontare il liceo artistico. Quindi feci il militare, a Roma. La ebbi la possibilità di “tastare il polso” al mondo dello spettacolo. Mandai delle vignette ai vari giornali umoristici di allora, il “Marc’Aurelio”, “Il Travaso”. Nel ’50 conobbi Giovanni Mosca (lo scrittore e umorista, ndr), gli feci vedere le mie vignette e lui mi diede utili consigli”.
Come ha avuto inizio l’attività di scenografo vera e propria?
“Un amico mi consigliò di fare un concorso alla televisione, che allora stava nascendo. Vinsi su tremila concorrenti, a Genova, e venni premiato assieme ad altri due vincitori durante una trasmissione televisiva “Anche oggi è domenica”. Per quattro anni studia a Roma, all’Accademia di Belle Arti. A Roma bussai a molte porte. Un giorno incontrai per strada Piero Gabrielli, proprietario de “Le grotte del piccione” (locale alla moda negli anni ’50, ndr), il quale mi propose di darmi vitto, alloggio e divertimento nel suo locale, naturalmente ricevendo quanto spendevo per pernottare e mangiare nell’albergo in cui ro sceso in precedenza.
In quegli anni, grazie al cinema ed alla televisione, il turismo a Roma cominciò ad aumentare. Vi erano molti turisti americani, i quali avevano un “debole” per le antichità e i monumenti italiani. Ebbi l’opportunità di arredare “Le grotte del piccione” e diversi altri locali della “Dolce vita”, nonché altri a Capri ed a Ischia. Finalmente giunsi a fare anche dei caroselli televisivi: si trattava della pubblicità di un brodo, con Paolo Stoppa e Lina Morelli”.
Quando venne l’incontro con il cinema, ossia il primo lungometraggio?
“La Titanus mi mandò un anno in Marocco per girare “Sodoma e Gomorra” del regista Ken Adams. Vi era anche il grande maestro Gino Brosio, il quale mi guidò nei primi passi. La conobbi l’allora aiuto regista Sergio Leone, e nacque la grande amicizia. Nel 1961 ci fu “La Venere imperiale” con Gina Lollobrigida; nel 1962 “Peccati d’Estate” di Gianni Puccini, con Romolo Valli e Dorian Grey; nel 1963 “Mare matto” di Castellani, con Gina Lollobrigida e Jean Paul Belmondo (fu questo il primo lungometraggio di cui firmò le scene, ndr)”.
Quante sono state le opere cinematografiche di cui hai realizzato le scene e quali ricordi maggiormente?
“Un centinaio, ma per me sono importanti anche i cosiddetti “minori”, magari girati con grandi maestri del cinema prima del loro imminente ritiro. Ecco nel 1953 “Cantami buongiorno tristezza” di Pastine; nel 1965 “Amore mio” di Raffaele Matarazzo; nel 1964 “Il cavaliere della spada nera” di Riccardo Freda. La Titanus, comunque, mi faceva fare un poco di tutto: feci anche la serie musicale di Gianni Morandi e Laura Efrikian, dal 1965 al ’68. Vi erano anche Nino Taranto, Gino Bramieri, Lelio Luttazzi. Nel 1968 iniziai la collaborazione con Sergio Leone: “Per qualche dollaro in più”, “C’era una volta il west”. Così pure con Sergio Sollima: “La resa dei conti”. Nel frattempo, feci degli interventi in film americani: collaborai con altri colleghi, alla realizzazione della Cappella Sistina per “Il tormento e l’estasi”, la storia del rapporto fra Michelangelo (Charlton Heston) e papa Giulio II (Rex Harrison). Nel 1970 ci fu “Tre passi nel delirio”, tratto da alcuni racconti di Edgard Allan Poe, ad episodi. Uno era diretto da Federico Fellini. Successivamente conobbi anche Bevilacqua, in occasione delle riprese di “Questa specie d’amore” con Ugo Tognazzi”.
Non furono, però, soltanto lungometraggi?
“Nel 1975 girai “Il consigliori”, uno sceneggiato sulla scia de “Il Padrino”. Per la RAI feci “Matrimonio in provincia”, “La Fosca”, “L’Andreana”, “Piccolo mondo moderno”, “Fanstatico 4”. In programmazione è “La vita continua” di Dino Risi, girato lo scorso anno con Silva Koscina, Philippe Leroy, Virna Lisi, Tino Scotti, Clio Goldsmoth, Mario Marenco. Ma nella mia carriera ci sono anche dei film appartenenti al Cinema d’Essai. “Una macchia rosa” e “Come l’amore” di Enzo Muzii, per citarne alcuni”.
A che punto è il progetto della “Disneyland” che si dovrebbe costruire nella nostra provincia?
“Siamo io e altri due colleghi, ancora nella fase di ricerca. Stiamo facendo dei sondaggi per sapere se sia possibile realizzare una città dei divertimenti che coinvolga l’Italia turistica”.
Qualche consiglio per chi volesse intraprendere la sua stessa attività?
“Questo non è un vero e proprio mestiere. Lo si fa perché si conosce un attore e lui ti dice: “Vieni che ti faccio fare l’aiuto”. Bisogna tentare: è una di quelle professioni in cui si parte con la valigia di cartone e si va”.
Claudio Braggio