Città con scarsa memoria: si chiama Cesarea oppure Alessandria?

Il primo indizio è sotto gli occhi di tutti, essendo stato inserito nello stemma comunale: le fronde di quercia stanno a rappresentare la sottomissione all’Imperatore di Germania Federico I di Hohenstaufen detto “Barbarossa”, che predispose la fondazione ufficiale il 14 marzo 1183 a Norimberga in occasione della “Reconciliatio Alexandrie” (pochi mesi prima della pace generale stipulata fra Lega Langobardorum e Impero firmata a Costanza il 25 giugno di quell’anno).

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Con cerimonia solenne venne nominata Cesarea, perché in seguito all’accordo un Legato Imperiale si presentò alle porte dell’insediamento sorto fra i borghi Rovereto e Bergoglio, mettendo fine alla condizione “extra legem” (al di là della legge), anzi un vuoto normativo, creato con l’occupazione di un sedime alla confluenza dei fiumi Tanaro e Bormida, una zona di transito (ad transitus paludis, punti di attraversamento della palude) ricca di felci (in latino pàlea, ovvero paglia).

Si potrebbe notare il termine “Alexandrie” di quell’accordo, ma in esso vennero stabiliti sia il nome, sia le modalità di fondazione della nuova città: nel giorno stabilito tutti gli esseri viventi nella città, umani ed animali, sarebbero usciti nelle campagne ed il Nunzio Imperiale avrebbe provveduto in seguito ad accoglierli ed allo stesso tempo consegnare la città all’Imperatore col nome di Cesarea.

Una città che comprendeva sette luoghi ovvero Gamondio (oggi Castellazzo Bormida), Solero, Oviglio, Bergoglio e Rovereto (queste due ultime sono state inglobate nel tessuto cittadino), nonché Marengo e Foro (ora sobborghi).

Da quanto esistesse quell’insediamento non è dato saperlo, perciò si rammentano le date presenti in qualche documento, che comunque danno sempre come già esistente se non un vero e proprio borgo, quanto meno un raggruppamento di case e soprattutto magazzini per derrate alimentari e vino.

I sette insediamenti, ma probabilmente non soltanto loro, erano giunti ad un accordo molti decenni prima, al fine di sottrarsi a vessazioni e pretese del Marchese di Monferrato, o meglio che tali cominciavano ad esser percepite in quel periodo di grande fermento e di innovazione che fu il Medioevo.

Erano tempi in cui si stavano fondano molte città, oltre cinquemila prima e dopo il periodo della nostra narrazione, con caratteristiche diverse dalle precedenti sia perché non derivate da espansione attorno ad un castello, sia perché dettate da ragioni economiche spesso sostenute da comunanze di carattere religioso (non ecclesiastico), da cui scaturivano forme di auto-governo.

Val la pena di citare l’innovazione costituzionale più importante e duratura di quel periodo storico, che consisteva nell’affidare le sorti delle parti comuni (communes, per poi indicare la forma associativa) a rappresentanti laici puri, con distinzione delle funzioni politiche distinte da quelle spirituali, con incarichi limitati nel tempo ed in molti casi di carattere elettivo, da parte di un arengo in cui erano rappresentati i cittadini (quelli che potevano disporre di un censo, certo).

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In molti casi, la coesione cittadina era dettata da questioni di carattere economico e commerciale, come proprio nel caso della “Città Nova” costruita senza troppe pretese tra Rovereto e Bergoglio, senza dar seguito a fenomeni di sinecismo, bensì a semplice trasferimento di abitanti e commercianti e soldati a guardia dei beni radunati per promuovere un cosiddetto “cartello”.

Una situazione che era ben gradita a Genova, schierata con Barbarossa avendone ricevuto sostengo nella guerra contro Pisa, che già in buoni rapporti commerciali con Gamondio, fece una prima donazione di mille soldi o 50 lire d’argento, somma di entità non trascurabile intesa come raddoppiabile, ma che avrebbe potuto consentire l’acquisto di una abitazione di pregio (forse per l’attivazione del cittadinatico, forma di riconoscimento paritario fra Comuni vicini che prevedeva non solo l’acquisto di una casa da abitare per una parte dell’anno da parte di un autorevole rappresentante o di un signore).

Per la nuova città si prospettava un futuro non troppo evidente, ma di certo fruttuoso: a complicar le cose i dissidi fra Barbarossa e papa Alessandro III, che affondavano radici nella loro gioventù (ebbero un diverbio durante la Dieta di Besançon del 1157) ed un poco anche nell’indecisione di Rolando Bandinelli che ci mise parecchi mesi prima di decidersi ad assumere il nuovo incarico (eletto con voti dei vescovi Tedeschi ebbe l’assenso dell’Imperatore, che però si spazientì a causa dell’indecisione, perciò promosse l’elezione di ben tre papi antagonisti quali Vittore IV, quindi Pasquale III ed infine Callisto III).

La storia ha molti risvolti interessanti, ma per farla breve occorre ricordare che effettivamente il 3 maggio 1168 i fautori di quella che noi chiamiamo alla breve Lega Lombarda, approvarono l’entrata della nuova città nella loro compagine, non senza opposizione motivata da giustificate perplessità, poiché soltanto l’Imperatore aveva l’autorità per fondare città.

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Alessandro III si guardò bene dal riconoscere in modo formale Alessandria, perché nel gioco politico nessuno dei due grandi contendenti avrebbe mai voluto la distruzione delle rispettive autorità (e la necessità di avviare una Crociata in Terrasanta non soltanto vanificò le vittorie della Lega, ma addirittura saldò un’unione fra papato e Impero).

Per estensione tacita si comprese la nuova città fra quelle della Lega Lombarda oggetto della Bolla del 27 marzo 1170 in cui Alessandro III concedeva la sua protezione.

Quella del riconoscimento del nome e dello status di città era questione davvero molto delicata, tant’è che in quel di Benevento nel gennaio 1170 ad inginocchiarsi dinanzi a Papa Alessandro furono i Consoli Ruffino Bianco e Guglielmo di Bergamasco, ma non li accompagnò nessun rappresentante di Marengo, Bergoglio, Rovereto o Gamondio.

Comunque, erano pur sempre rappresentanti della città venuti a dichiarare che grazie ad una sottoscrizione avrebbe di certo edificato una chiesa da consacrare quale Duomo, di una diocesi di cui auspicavano la formazione.

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Un momento molto delicato: l’intenzione degli alessandrini era di negoziare il diritto all’esistenza ottenendo formale riconoscimento, anche per fermare il Marchese di Monferrato, uno dei pochi fedeli sostenitori del Barbarossa nel Nord dell’Italia (anche in questo caso ci fu riappacificazione con un accordo del novembre 1180, quindi dopo l’assedio del 1174-75 e la battaglia di Legnano del 1176, che assieme al patto stretto anche con Genova il 7 marzo 1181 indubbiamente preparò il terreno alla “Reconciliatio Alexandrie” e scongiurò la distruzione della città).

Ecco quindi Cesarea, che come tale rimase sino al 1198, e poi riaffiorò il nome di Alessandria; una scelta di certo prudente, giacché Federico I Hohenstaufen, meglio noto come Federico Barbarossa morì per un incidente affogando del fiume Saleph in Cilicia (Anatolia, nell’attuale Turchia), mentre si recava in Terrasanta per una Crociata, il 10 giugno 1190.