ALEcomics, riflessioni sul miglior progetto culturale in grado di attirare turismo di qualità in Alessandria
Lo spettacolo più bello è quello che si interpreta in modo professionale, dimostrando che l’impegno è fatica costante e sa offrire senso compiuto al talento.
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Tutto questo lo si ritrova nella Cittadella di Alessandria (settembre 2019), dove da cinque anni si (ri)costruisce il mondo fantastico ed avvolgente di ALEcomics, frutto del lavoro di un gruppo di ragazzi che hanno saputo trasformare la passione per fumetti, letteratura popolare, disegni animati e gioco in un grande momento di condivisione, di grande valore.
Uno fra gli elementi attrattivi è costituito dal Cosplay, una sorta di crasi (dal greco mescolanza, passatemela) fra le parole inglesi”costume” e “play” (gioco o interpretazione), per indicare la pratica di indossare un costume rappresentativo di un personaggio riconoscibile essendo inserito in un ambito definito, nella realtà o nell’invenzione narrativa, interpretandone il modo di agire.
Per quanto affascinante, questa è una pratica che parrebbe moderna perché rappresentata in questa forma va diffondendosi dagli anni ’70, ma è ben radicata nell’umanità da tempo immemorabile, come segnala il commediografo Oscar Wilde (1854-1900) nel “De Profundis” (1897): “La maggior parte delle persone sono la copia esatta di altre. I loro pensieri sono i pensieri di qualcun altro, le loro vite una mera imitazione, le loro passioni una citazione”.
Una condizione che accomuna questa pratica a quella del Re-enactment, un termine inglese che si può tradurre in “Rievocazione”, a cui occorre aggiungere l’aggettivo storico per intendere appieno il lavoro svolto in seguito ad attente ricerche, per interpretare ruoli e ricreare eventi realmente accaduti nel passato, in genere guerreschi e sugli stessi campi di battaglia.
Per entrambi, Cosplayer e Re-enactors, il punto d’origine sta nella figura dell’attore, perché tutti e tre recitano (dal latino recitare, re-(con valore intensivo) e citare “chiamare”, poi declinato in “leggere ad alta voce”).
Comunque, in ciascuna di queste tre condizioni operano creatori e non imitatori, oso dire al pari degli autori, a patto che sia rispettata la naturalezza dell’interpretazione, poiché il compito è quello di riprodurre scene, più volte nel corso della vita, senza appoggiarsi ad interpretazioni basate sulla sola emotività col rischio di rendere incostante il risultato, causa eccessive influenze determinate da stanchezza oppure da turbamenti.
Un richiamo al saggio “Paradosso sull’attore” (tra il 1770 ed il 1780) del filosofo Denis Diderot (1713-1784), base per le moderne teorie sul lavoro dell’attore, in quanto esso necessita di una severa disciplina e di una studiata tecnica per affrontare i propri compiti.
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Insomma, quei principi messi in atto dall’attore drammatico François-Joseph Talma (1763 –1826), il primo ad introdurre nell’allestimento scenico elementi realistici, sia per quanto concerne l’immedesimazione, sia per quel che riguarda la ricostruzione ambientale.
Un talento impareggiabile, con grande senso dell’esattezza storica nel dramma in costume, in cui si immergeva con naturalezza di stile (da lui chiamata “le naturel”); apprezzato al punto d’aver avuto l’occasione di esibirsi dinanzi all’unico ed autentico “parterre de rois” (definizione divenuta fin troppo usuale) in occasione delle serate del Congresso di Erfurt (1808), presenti l’imperatore Napoleone Bonaparte e lo zar Alessandro I con moltissime altre teste coronate.
C’è un precedente a quell’avvenimento in tema di esattezza della ricostruzione storica ovvero il primo Re-enacment dell’epoca moderna, diretto personalmente da Napoleone una volta tornato in Alessandria nel 1805, stavolta da imperatore (1804), quando fece replicare a migliaia di soldati la battaglia combattuta e vinta sulla piana di Marengo (1800).
Attore, ovvero colui che agisce, dal latino actor; inizialmente inteso soltanto al maschile, sino al XVII, quando il termine attrice comincia ad identificare una donna che sale sul palcoscenico, pratica sino a quel tempo considerata assai disdicevole.
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Eppure, per citare ancora le parole di Oscar Wilde, stavolta quelle presenti nel testo de “Il ventaglio di lady Windermere”, concordo che “È assurdo dividere la gente in buona e cattiva. La gente è affascinante o noiosa. Io mi schiero dalla parte delle persone affascinanti”.
Che possono esserlo anche quando indossano una maschera, intesa come quel complesso di atteggiamenti esteriori capaci di offrire una rappresentazione della realtà passata, come pure un’interpretazione dell’invenzione narrativa.
Tutto questo è divertente quando condotto su un palcoscenico oppure in luoghi alternativi ed attiene la recitazione (comprendendo quindi Cosplay e Reenactment), ma si trasforma in dramma ben poco simpatico qualora il nascondersi dietro una “maschera” avviene nella realtà quotidiana e gli individui non si mostrano mai per quello che sono, ma assumono appunto una maschera che li rende personaggi e non li rivela come persone.
Allora si entra nel campo della mistificazione, in cui la maschera diviene simbolo alienante ovvero forma di adattamento in relazione al contesto e alla situazione sociale in cui si produce un certo evento, come racconta Luigi Pirandello (1867-19369) nel romanzo “Uno, nessuno centomila” (1909-1925), senza dimenticare l’altrettanto famosa opera teatrale “La maschera ed il volto” (1913).di Luigi Chiarini (1900-1975).
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La realtà incute molto più timore della fantasia, anche se quest’ultima appare più libera!