L’Italia è ancora un paese dove si può fare musica? Ne parliamo con il compositore Matteo Maria Camponero

GENOVA – L’Italia è stata la patria di grandi compositori. Negli ultimi anni, però, quest’arte ha avuto un grande declino. Fare musica, quindi, è ancora possibile? Ne abbiamo parlato con il giovane compositore genovese Matteo Maria Camponero.

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L’Italia è stata e sarà sempre patria di grandi compositori – dice il Maestro Matteo Maria Camponero –. Il motivo, però, va ben oltre il preciso contesto storico, bensì è la nostra cultura, è la nostra storia che lo determina. Sia chiaro che nulla ha a che vedere con un banalissimo concetto di identità nazionale, troppo giovane per poterla rivendicare, ciò che ci conviene è invece un’identità paradossalmente così imbastardita, dalle più svariate civiltà che hanno contaminato la nostra terra, da renderla un vero e proprio capolavoro, una meraviglia, forse il paese più bello del mondo. Dunque facciamo molta attenzione nel definire l’Italia in quanto nazione, piuttosto che nel definirla come luogo di ispirazione nei secoli. Da qui, ahimè, si scinde il sentimento di vivere la propria italianità. Detto questo possiamo ora constatare un impoverimento dei valori più nobili che parte proprio dalle radici, per questo gli altri paesi o continenti per quanto possano, più o meno, ben imitare la nostra arte non sono in grado di restituirci ciò che è nostro, se neppure noi ci crediamo più”.

Matteo Maria Camponero è un musicista di soli 31 anni che fa della musica la sua ragione di vita.

Premetto due parole sul concetto di gioventù, sempre più pericoloso e ambiguo di questi ultimi tempi – prosegue il musicista ligure -. Giovane lo sono in quanto adulto, ma non in quanto ragazzino, voglio ricordare che precisamente alla mia età Franz Schubert moriva, dopo aver scritto molti tra i più grandi capolavori nella storia della musica, così come Giovanni Battista Pergolesi che muore a ventisei anni. Non si può certo parlare di enfant prodige, ma oggigiorno sembra che questo genere di personalità sia di diritto solo alle generazioni più vicine alla pensione, piuttosto che alla voce della vita, quella più impulsiva e spesso esuberante degli uomini di giovane età, tenuti ben legati dai baroni di una vecchia guardia che non si arrende. Per combattere questa battaglia bisogna armarsi delle più antiche e tradizionali arti, spesso sottovalutate dagli stessi maestri di oggi, che sono la forma, il contrappunto e l’arte classica; davvero arti senza tempo e misura che garantiscono e garantiranno sempre la buona riuscita di un prodotto artigianale, prima di tutto, e poi artistico a seconda del genio in questione”.

Come nascono le composizioni del Maestro Camponero?

Non c’è una regola rispetto alla stesura di una composizione – racconta Camponero -. Ciò che ritengo invece fondamentale è l’idea di partenza, quello che vive all’interno del proprio spirito e muove il desiderio di materializzarlo in arte. Dunque chiarita, se pur in modo impulsivo, la propria idea formale ecco che ci si può cimentare con le note. Al contrario, se ci si fionda sui suoni senza sapere da che parte tira il vento è molto facile andare alla deriva, ottenendo il più delle volte risultati inefficienti sotto molti aspetti: il primo fra tutti è l’interesse suscitato nei confronti dell’ascoltatore, la prima vittima, se così possiamo definirla, del nostro operato. Questo alla lunga può stancare anche colui che scrive che, non sapendo gestire l’imbarcazione, tenderà a perdersi d’animo e di conseguenza a scoraggiarsi dei propri risultati”.

A vedere, tuttavia, come vengono considerati i musicisti in Italia verrebbe da dire che la nostra non sia più la nazione adatta per intraprendere questa professione.

Credo – puntualizza – che l’Italia sia il più adatto, il patrimonio architettonico che vanta è già musica. Mi piacerebbe vedere tutti i nostri teatri tornare in vita, le nostre chiese ed organi risuonare per ogni via, i palazzi e le ville d’epoca diventare teatro di eventi artistici senza precedenti! Questo è quello che ormai da anni definisco come “Il Nuovo Rinascimento”, lo visualizzo già ma non so ancora se il buon Dio mi darà la grazia e la fortuna di poterlo vedere con i miei occhi… La situazione attuale non è pessima, è tragica. Il Maestro Riccardo Muti è una vita intera che ha speso per combattere un declino che oggi più che mai si è dimostrato inevitabile. Non è solo lui che piange questo macabro lutto, ma tutti noi artigiani del mestiere che ci affacciamo a questo mondo, una necropolis nel meno peggiore dei casi, di un’arte e un repertorio così ritrito da ricordarmi il museo delle cere, dove i budget così miseri non consentono più un allestimento degno di livello o comunque la messa in scena di musica nuova o meno battuta. Possiamo, invece, ammirare, nel peggiore dei casi, lo scempio di “artisti” che vantano una formazione e derivazione classica, che di classico neppure ha il parruccone; sostenuti da un business effimero che nessuna traccia lascerà nella storia se non quella di una testimonianza di un tale abbruttimento e depressione culturale che forse è senza eguali”.

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Per concludere, qual’è il sogno musicale di un giovane compositore italiano?“Il mio sogno musicale – conclude il Maestro Matteo Maria Camponero – è quello di potermi dedicare a questa meravigliosa scienza, che è la musica, senza sentirmi un inutile perditempo o giudicato come obsoleto o, peggio ancora, fuori del tempo. Il mio sogno musicale è che le cose belle come questa arte siano considerate importanti come mangiare bene, dormire bene e fare l’amore. Il mio sogno musicale è che non ci sia un mestiere più o meno importante, più o meno indispensabile alla società. Queste sono le menzogne che ci raccontano per dividerci e giudicarci gli uni con gli altri! A questo proposito vorrei concludere l’intervista ricordando lo struggente aneddoto del gruppo di musicisti che suonò durante l’affondamento del Titanic nel 1912: certo non ha salvato con la sua musica la vita di tutte quelle persone ma, evidentemente, ne ha lenito la paura e il dolore imminenti”.

GENOVA – L’Italia è stata la patria di grandi compositori. Negli ultimi anni, però, quest’arte ha avuto un grande declino. Fare musica, quindi, è ancora possibile? Ne abbiamo parlato con il giovane compositore genovese Matteo Maria Camponero.

L’Italia è stata e sarà sempre patria di grandi compositori – dice il Maestro Matteo Maria Camponero –. Il motivo, però, va ben oltre il preciso contesto storico, bensì è la nostra cultura, è la nostra storia che lo determina. Sia chiaro che nulla ha a che vedere con un banalissimo concetto di identità nazionale, troppo giovane per poterla rivendicare, ciò che ci conviene è invece un’identità paradossalmente così imbastardita, dalle più svariate civiltà che hanno contaminato la nostra terra, da renderla un vero e proprio capolavoro, una meraviglia, forse il paese più bello del mondo. Dunque facciamo molta attenzione nel definire l’Italia in quanto nazione, piuttosto che nel definirla come luogo di ispirazione nei secoli. Da qui, ahimè, si scinde il sentimento di vivere la propria italianità. Detto questo possiamo ora constatare un impoverimento dei valori più nobili che parte proprio dalle radici, per questo gli altri paesi o continenti per quanto possano, più o meno, ben imitare la nostra arte non sono in grado di restituirci ciò che è nostro, se neppure noi ci crediamo più”.

Matteo Maria Camponero è un musicista di soli 31 anni che fa della musica la sua ragione di vita.

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Premetto due parole sul concetto di gioventù, sempre più pericoloso e ambiguo di questi ultimi tempi – prosegue il musicista ligure -. Giovane lo sono in quanto adulto, ma non in quanto ragazzino, voglio ricordare che precisamente alla mia età Franz Schubert moriva, dopo aver scritto molti tra i più grandi capolavori nella storia della musica, così come Giovanni Battista Pergolesi che muore a ventisei anni. Non si può certo parlare di enfant prodige, ma oggigiorno sembra che questo genere di personalità sia di diritto solo alle generazioni più vicine alla pensione, piuttosto che alla voce della vita, quella più impulsiva e spesso esuberante degli uomini di giovane età, tenuti ben legati dai baroni di una vecchia guardia che non si arrende. Per combattere questa battaglia bisogna armarsi delle più antiche e tradizionali arti, spesso sottovalutate dagli stessi maestri di oggi, che sono la forma, il contrappunto e l’arte classica; davvero arti senza tempo e misura che garantiscono e garantiranno sempre la buona riuscita di un prodotto artigianale, prima di tutto, e poi artistico a seconda del genio in questione”.

Come nascono le composizioni del Maestro Camponero?

Non c’è una regola rispetto alla stesura di una composizione – racconta il Maestro Matteo Maria Camponero -. Ciò che ritengo invece fondamentale è l’idea di partenza, quello che vive all’interno del proprio spirito e muove il desiderio di materializzarlo in arte. Dunque chiarita, se pur in modo impulsivo, la propria idea formale ecco che ci si può cimentare con le note. Al contrario, se ci si fionda sui suoni senza sapere da che parte tira il vento è molto facile andare alla deriva, ottenendo il più delle volte risultati inefficienti sotto molti aspetti: il primo fra tutti è l’interesse suscitato nei confronti dell’ascoltatore, la prima vittima, se così possiamo definirla, del nostro operato. Questo alla lunga può stancare anche colui che scrive che, non sapendo gestire l’imbarcazione, tenderà a perdersi d’animo e di conseguenza a scoraggiarsi dei propri risultati”.

A vedere, tuttavia, come vengono considerati i musicisti in Italia verrebbe da dire che la nostra non sia più la nazione adatta per intraprendere questa professione.

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Credo – puntualizza – che l’Italia sia il più adatto, il patrimonio architettonico che vanta è già musica. Mi piacerebbe vedere tutti i nostri teatri tornare in vita, le nostre chiese ed organi risuonare per ogni via, i palazzi e le ville d’epoca diventare teatro di eventi artistici senza precedenti! Questo è quello che ormai da anni definisco come “Il Nuovo Rinascimento”, lo visualizzo già ma non so ancora se il buon Dio mi darà la grazia e la fortuna di poterlo vedere con i miei occhi… La situazione attuale non è pessima, è tragica. Il Maestro Riccardo Muti è una vita intera che ha speso per combattere un declino che oggi più che mai si è dimostrato inevitabile. Non è solo lui che piange questo macabro lutto, ma tutti noi artigiani del mestiere che ci affacciamo a questo mondo, una necropolis nel meno peggiore dei casi, di un’arte e un repertorio così ritrito da ricordarmi il museo delle cere, dove i budget così miseri non consentono più un allestimento degno di livello o comunque la messa in scena di musica nuova o meno battuta. Possiamo, invece, ammirare, nel peggiore dei casi, lo scempio di “artisti” che vantano una formazione e derivazione classica, che di classico neppure ha il parruccone; sostenuti da un business effimero che nessuna traccia lascerà nella storia se non quella di una testimonianza di un tale abbruttimento e depressione culturale che forse è senza eguali”.

Per concludere, qual’è il sogno musicale di un giovane compositore italiano?“Il mio sogno musicale – conclude il Maestro Matteo Maria Camponero – è quello di potermi dedicare a questa meravigliosa scienza, che è la musica, senza sentirmi un inutile perditempo o giudicato come obsoleto o, peggio ancora, fuori del tempo. Il mio sogno musicale è che le cose belle come questa arte siano considerate importanti come mangiare bene, dormire bene e fare l’amore. Il mio sogno musicale è che non ci sia un mestiere più o meno importante, più o meno indispensabile alla società. Queste sono le menzogne che ci raccontano per dividerci e giudicarci gli uni con gli altri! A questo proposito vorrei concludere l’intervista ricordando lo struggente aneddoto del gruppo di musicisti che suonò durante l’affondamento del Titanic nel 1912: certo non ha salvato con la sua musica la vita di tutte quelle persone ma, evidentemente, ne ha lenito la paura e il dolore imminenti”.