Il fango e il sangue, di Silvio Bolloli
Per una volta, con il consenso del mio Direttore, abbandono le consuete, decisamente
amene (anche se spesso venate di malinconia o di disappunto) dissertazioni calcistiche
per addentrarmi in quello che è senza dubbio il tema della settimana, cioè a dire l’uragano
di infuocate polemiche che hanno scosso il web locale a seguito della pubblicazione, sul
penultimo numero del bisettimanale più famoso della nostra città, di due articoli: uno di
cronaca giudiziaria, a firma dell’amica Monica Gasparini (con cui tante volte mi sono
confrontato, prima da Pubblico Ministero Onorario poi da Avvocato), e l’ Editoriale che lo ha
accompagnato, a firma dal Direttore Responsabile.
Credo che si imponga subito un distinguo poiché, se il primo era un pezzo di cronaca
pura, il secondo si è rivelato di tutt’altro taglio, condito di considerazioni e commenti
personali come, peraltro, è giusto che sia un Editoriale.
Ma proprio qui sta il punto perché, se il lavoro dalla Cronista può essere discusso nel
risalto che gli si è scelto di attribuire, con un richiamo in prima pagina sotto un’ampia
fotografia effigiante tre Vigili del Fuoco (ma, quanto ai contenuti, è stato ineccepibile, se
non altro perché non ha fatto altro che riportare una oggettiva realtà), ben diverso discorso
deve essere fatto a proposito dell’Editoriale.
E’ facile citare un uomo che, un paio di millenni or sono, ebbe a dire che chi è senza
peccato scagli la prima pietra ma tale, sia pur decisamente illustre,
menzione non vuole costituire riferimento a chissà quale peccato privato di un Direttore
(peraltro dall’eccellente penna) che non ho ancora avuto il piacere di conoscere, quanto
costituire spunto di una riflessione sull’uomo, o meglio sugli uomini, coinvolti nella vicenda
che mette conto.
Già perché, ferma restando l’umana fragilità che ciascuno di noi si porta appresso, ritengo
che l’osservazione del dettaglio non possa nel modo più assoluto travalicare la visione
della realtà nel suo insieme con la conseguenza che, fermo restando che anche il più
nobile degli uomini può presentare qualche ombra, resta alla fine la grande distinzione tra
il Bene e il Male che deve portare ad un giudizio o, se si preferisce, ad una valutazione
esatta di una intera vicenda.
Nel caso dei Vigili del Fuoco di Quargnento, tale valutazione non può che risolversi nella
constatazione del martirio di tre uomini, mariti, figli, compagni e padri, che hanno perso la
vita mentre stavano svolgendo un servizio posto a protezione della collettività. Tre
innocenti periti nello svolgimento di un nobile mestiere la cui eroica fine deve rendere ogni
altro dettaglio così minuscolo da non essere neppur meritevole di menzione.
Ed allora mi sento anche io di affermare che Marco, Antonino e Matteo hanno macchiato la
loro divisa: ma non di fango, solo del loro sangue.
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