L’omicidio del nostro Ambasciatore in Congo e l’eccidio di Kindu del 13 Novembre 1961: corsi e ricorsi storici
L’attentato in cui lo scorso 21 febbraio ha perso la vita il nostro Ambasciatore in Congo Luca Attanasio, il Carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista congolese Mustapha Milambo, se da un lato propone con forza il tema della (mancata) sicurezza in cui si svolgono certe missioni umanitarie in molte parti del mondo, dall’altro a noi Italiani riporta alla mente quel lontano 11 novembre del 1961 in cui a Kindu (nella stessa regione del Congo, allora appena uscito dallo stato di colonia belga), si perpetro’ un sanguinoso attacco a 13 militari italiani, anch’essi impegnati in una missione di pace delle Nazioni Unite.
Ci aiuta nel ricordo il fascicolo di Epoca del 26 Novembre di quell’anno contenente un ampio servizio dell’inviato Livio Pesce che ricostruiva per i lettori di ieri e di oggi quel tragico episodio. Nel Congo, che, appena un anno prima, il 30 giugno del 1960, aveva ottenuto l’indipendenza dal Belgio (quello Belga era stato il piu’ feroce e predatorio tra i regimi coloniali in Africa), si viveva una situazione caotica. L’unica forza che avrebbe potuto tenere unito un paese formato da decine e decine di etnie e tribu’, divise da odi e gelosie secolari, era l’esercito guidato e formato da ufficiali belgi. Ma ben presto la maggior parte dei quadri superiori preferi ritirarsi, lasciando le forze armate nelle mani di comandanti locali; le divisioni tribali ebbero il sopravvento sulla fragile unita’ del nuovo Stato. La provincia del Katanga proclamo’ la secessione, sostenuta anche dai Belgi che cercavano così di mantenere il controllo sulle ricchezze del sottosuolo di quella regione. Le Nazioni Unite cercano di pacificare la regione, e decidono l’ invio di un proprio contingente militare.
L’Italia partecipa alla Missione, non con uomini armati ma schierando aerei militari della 46 Aereobrigata con compiti di trasporto mezzi. Gli aviatori italiani sono disarmati. In questa situazione di caos, di convulsioni tribali, di incapacita’ di autogoverno, nasce e si conclude la tragedia di Kindu, che l’inviato di Epoca ricostruisce ora per ora a partire dalle ore 9 di sabato 11 novembre allorche’ a Kindu arriva una colonna di autocarri dell’esercito congolese con 1400 soldati a bordo armati di mitragliatrici e cannoni. Contemporaneamente a Kiwu nel piccolo areoporto due C-119 della 46* Aereobrigata di Pisa sono pronti per essere caricati col materiale che debbono trasportare alla base delle forze dell’ONU a Kindu. Alle ore 11,20 gli aerei sono pronti e al via della torre di controllo si levano in volo. Alle ore 12 a Kindu la colonna di autocarri carichi di soldati congolesi, ha invaso la citta’. Li comanda il “colonnello”Pakasa, cugino del vice presidente del governo, Antoine Gizenga. Quest’ultimo, dopo aver arringato le truppe si e’ dileguato a bordo di un’auto.
Un gruppo di soldati congolesi si dirige verso l’areoporto presidiato da truppe malesi dell’ONU. L’areoporto non e’ recintatoc’e’ una grande pista, attrezzature di fortuna e una palazzina e la palazzina comando. Alle 13,50 gli aerei italiani provenienti da Kiwu, hanno ottenuto l’autorizzazione ad atterrare dalla torre di controllo. Alle 14 i due C119 atterrano e si posizionano a fianco della palazzina comando; mentre l’equipaggio scende, si avvicina un ufficiale dei Caschi Blu e avvisa del fermento e della presenza dei soldati congolesi, ma gli italiani, non rinunciano all’idea di pranzare alla mensa degli ufficiali malesi, allocata in un capannone a un chilometro e mezzo dall’areoporto e la’ si dirigono a bordo di tre jeep accompagnati da due ufficiali del contingente ONU. Alle 14,20gli italiani sono seduti a tavola, completamente disarmati, perche’il loro servizio di trasporto aereo alle dipendenze dei reparti dell’ONU non li autorizza nemmeno a portare la pistola d’ordinanza, mentre i boys di servizio alla mensa si accingono a portare i cibi in tavola, allorche’ si sente il rumore di autocarri che si avvicinano al capannone; sono due automezzii della colonna giunta in mattinata da Stanlyville, dai quali scendono una settantina di soldati che irrompono nella mensa e si gettano sul gruppetto di italiani, aggredendoli selvaggiamente: e’ l’inizio del massacro, che si concludera’ alle 15,20 con la fucilazione dei 13 italiani contro un muro di una costruzione adibita a carcere e col successivo strazio dei cadaveri. La tragedia sara’ ricostruita e i corpi ,o meglio quello che ne restava saranno recuperati grazie a un giovane funzionario dell’ONU, l’avvocato Giorgio Pagnoncelli, che, con molta determinazione e, forse con un po’ di incoscienza, riesce, accompagnato da due soldati malesi armati di mitra a recarsi a Kindu, dove scopre la verita’ sul massacro.
La ricostruzione dei fatti (che qui abbiamo riassunto) e’ accompagnata nel citato numero di Epoca dal commento dell’allora notissimo “Ricciardetto” (alias Augusto Guerriero – Avellino 16 Agosto 1893 – Roma 31 Dicembre 1981), che gia’ nel titolo “NON C’E’ GIUSTIZIA PER I NOSTRI MORTI – Il primo ministro congolese fa promesse che non potra’ mantenere, le Nazioni Unite si stringono nelle spalle”, sembra preannunciare come andranno a finire anche le “indagini” sull’attentato al’Ambasciatore Attanasio in cui ha perso la vita anche il Carabiniere Iacovacci e l’autista Milombo. Riportiamo pooche righe dell’articolo di Ricciardetto: “E’ umiliante ed e’ tragico per un Paese…. dover assistere a un cosi’ orrendo scempio dei suoi figli senza poter fare niente. Il Primo Ministro Adula ci fa promesse che non potra’ mantenere e le N.U si stringono nelle spalle. Intanto passano i giorni, passano le settimane, e quel sentimento di orrere che desto’ l’eccidio in tutto il mondo si andra’ spegnendo. Poi, a poco a poco, i nostri morti saranno dimenticati. E cosi’ ci troveremo ad essere massacrati, derisi e impotenti.
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Anche adesso ci sono state le assicurazioni della massima collaborazione da parte delle autorita’ congolesi, ma intanto abbiamo dovuto registrare lo scaricabarile di responsabilita’ sulla mancata protezione del nostro Ambasciatore tra la Farnesina (accusata dai familiari di non avergli rinforzato la scorta), l’ONU che dichiara di aver preavvisato della missione di Attanasio, le Autorita’ congolesi, perche’ provvedessero alla sicurezza e le Autorita’ congolesi che smentiscono decisamente di aver ricevuto l’informazione…… e intanto il procuratore congolese che avrebbe dovuto indagare sui fatti e’ stato assassinato.
Sembrerebbe che “Ricciardetto” abbia previsto allora anche l’esito di queste indagini. D’altronde quello che scriveva lui in quell’articolo di Epoca (“in Italia, quando si parla dei Paesi arretrati o arretratissimi, ci si aggira in un mondo irreale. Il mito del “buon selvaggio” inventato da Rousseau e’ risorto dalla tomba, e noi crediamo di essere investitidalla Provvidenza della missione di andare a civilizzare i buoni cannibali. Ora, prima di tutto, il selvaggio, al contrario di quel che credeva Rousseau, non e’ “buono”, e i fatti lo dimostrano. Secondo: io ho la piu’ grande ammirazione per i missionari e per la loro opera di amore e di sacrificio: ma i missionari vanno loro a civilizzare, non mandano gli altri. Terzo punto, il piu’ importante di tutto: vogliamo capire che questa non e’ materia di missioni ideali, ma di lotta per randi interessi?”) non e’ forse attuale ancora oggi, a distanza di 60 anni?
Aldo Rovito
FONTI: Epoca settimanale, Anno Anno XII, n. 582 del 26 Novembre 1961, pagg. 26-31, 152-153