Come un albero

In primavera la campagna monferrina inonda di colori il mio cuore rallegrandolo. Lacrime di rugiada rinverdiscono i teneri fili d’erba di luce smagliante e inducono a pensare a una soffice trama di un tappeto ordito di fioriture spontanee. Orchidee selvatiche, campanule, ginestre si mescolano alla geometria dei filari ordinati e alle onde sinuose del grano. E’ con sommo piacere incamminarsi lungo i suoi sentieri, inoltrarsi nella frescura dei boschi per cercare refrigerio dal caldo che in questa stagione si fa già sentire. La Val Cerrina è’ il lato più selvaggio del Monferrato. E’ un posto che mi attrae, a circa un’ora dalla città, la posizione è molto pittoresca e percorrendo i sentieri in quota si ha la fortuna di abbracciare una fetta di mondo. Un luogo così intimo e accogliente non mi è accaduto spesso di vederlo e prima di partire per una sgambata mi fermo nell’unico baretto del luogo, mi faccio portare una sedia, là bevo il mio caffè e leggo.

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Le cime, tra le più alte della zona sono ammantate da una fitta vegetazione simile a foreste intricate in cui la luce penetra appena tra gli spiragli che gli alberi concedono. Camminare in questi boschi dà un senso di libertà. Il tempo rallenta e la mente, libera di ogni pensiero che la imprigiona, è concentrata solo sul bello che appare a ogni passo.

Si sofferma sui profumi che si sprigionano nel vento, si adegua ai cambiamenti di luce in maniera spontanea e naturale, si ritempra tra le stradine cosparse di foglie secche accumulatesi nel tempo.

Campanili come bussola con cui orientarsi emergono guardandosi da una cima all’altra mentre il mio passo prosegue tra verdi vallate, dove volteggiano, sotto cieli immacolati, i falchi in cerca di una possibile preda fendendo l’aria con le loro ali di velluto. Li inseguo con lo sguardo invidiando la loro libertà. Uno di loro perlustra la zona in voli concentrici poi, posandosi su un palo della luce scruta ogni cosa semovente, e mi consente di osservarlo più da vicino.

Ci vorrebbe un artista che sappia immortalare su tela i colori di questa giornata illuminata dal sole. Il tocco che potrebbe dare ad esempio a quel papavero solitario tra le spighe mature, il rosso fulgente che si offre al giallo del grano: solo e incontrastato che spezza l’effetto monocromatico del luogo facendosi essenza pregiata.

Cammino tra campi e vigne, ai margini di cascine, senza fretta, lontana dai rumori e ai nastri d’asfalto. Un trattore chiede strada.  Accosto sul ciglio che divide il sentiero dal prato e lo lascio passare. Lui mi guarda come se avesse visto un fantasma. Non fa caso a quanta bellezza gli giri intorno, per lui è soltanto pane e sudore.

Si respira un’aria leggera a ogni passo quassù, poi l’ultimo raggio di sole si spegne penetrando nella fortezza arborea. La fragranza balsamica del bosco arriva forte e denso alle narici, scava dentro di me riesumando il ricordo di altri boschi, nemmeno tanto lontani da qui, se non fosse che appartengono al passato.  E’ l’odore inconfondibile del bosco, un distillato di muschio e di foglie morte, di fusti coriacei, di mirtilli e di rovi  che si propaga in una nebbia sottile bagnando i capelli e le mie braccia nude.

In una radura ritrovo la luce del sole che filtra pallido tra i rami in un cono dalle sfumature evanescenti. Prende le sembianze di una creatura silvana dall’abito diafano, quasi spettrale che fa rima con il bosco nella sua essenza più misteriosa e insondabile.

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“E’ venuta a prendermi”, suppongo, e non mi fa poi tanto male quel pensiero fugace. Mettere su radici reincarnandomi in un albero e guardare quella fetta di mondo da un’altra prospettiva non mi dispiacerebbe affatto. Vivrei una seconda vita più lunga di quanto abbia vissuto finora. E’ il dono del bosco concedermi un altro tempo, un’altra forma, quella che più di ogni altri mi somiglia.