Là, dove c’era il mare

E’ la notte di San Silvestro. Una notte in cui impazza la voglia di divertirsi tra lustrini, paillettes e fuochi d’artificio.
Per me, invece, è solo una notte come tante. Una delle tante notti d’inverno in cui il calore del camino e un indumento comodo sono la migliore compagnia di fine d’anno.
Lo è fin dai tempi in cui portavo i jeans alla Celentano, lo sarà anche stavolta.
Con la mia cara copertina e il mio cuscino adorato dietro la schiena mi sdraio sul tappeto orientale, ai piedi del divano già occupato da Sioux, il mio Husky che non lo molla mai e mi guarda dall’alto in basso con annoiata indifferenza.
Faccio scorrere il palinsesto di Netflix e lancio un’occhiata ai suoi consigli. Pigio il tasto e mi estranio dal mondo in “cotillon” preparandomi a travalicare l’anno immersa nella scena bucolica di crinali e colline che lo schermo propone.
Da quella posizione supina, cullata dal soffio caldo del camino e dalle immagini della TV, il torpore mi pervade.
Socchiudo gli occhi  e scivolo in un piacevole sogno. E se è vero, come pare, che i sogni siano un’eloquente premonizione di ciò che vorremmo si avverasse, allora, prima che l’immagine svanisca mi abbranco alla sua coda e sospinta dalle ali dell’illusione atterro tra i rami di un albero spoglio in una radiosa giornata di sole.
Il sogno attenua l’impatto e il peso del mio corpo fluttua leggero come un fiore prossimo a staccarsi.
Cado.
Un letto di foglie umide mi accoglie e da lì parte un sentiero che mi accingo a percorrere, punteggiato da secchi  filari su cui giacciono le spoglie rugose  degli acini, un tempo polposi e vestiti di foglie.
E’ il segno dell’inverno che pretende riposo e riflessione. Forse il primo giorno dell’anno è già arrivato.
Non c’è gente in giro, nemmeno sulla strada asfaltata che corre a breve distanza dal sentiero tra le colline dormienti e brulle.
Il cielo è limpido, scheggiato dalle linee sottili delle nuvole che lo attraversano, sfiorato dalla chioma delle palme che non si sono piegate al richiamo dell’inverno, ma  si protendono verso altre latitudini a cui appartengono, esuli figlie dei mari del sud.
Un mare c’era, tanto tempo fa. Reperti di una storia antica come il mondo si affacciano sul sentiero fangoso su cui muovo i miei passi. Faglie di pietra tenera si ergono sul ciglio del campo, friabili al solo toccarle.
Da questa pietra nata dal mare sono nascosti fossili di conchiglia. Si vedono a occhio nudo incastrati nell’accecante brillio della pietra. La pietra che ha dato vita a Cellamonte,  un paese nato dalle profondità del mare.
Il paese dagli eleganti edifici color ocra eretti  con la nobile pietra che sussurra la sua origine all’orecchio dei passanti.
Nel passeggiare tra questi paesaggi che proiettano un passato remoto il tempo oscilla, le ore marciano avanti e indietro,  le ombre si allungano nel sole calante che si assopisce dentro al crepuscolo.
E’ quasi sera e il percorso in costa sta quasi per terminare sulla strada asfaltata su cui, dirimpetto, svetta la Chiesetta di Loreto adombrata dal ventaglio di un albero spoglio.
Resto attonita ad ammirare lo spazio silenzioso di una meravigliosa giornata che sta per concludersi.
Le colline non rivelano quale tempo io stia vivendo. Spodestato il passato, il presente o il futuro? O forse è soltanto il Capodanno a essere stato rimosso e reclama a gran voce il suo posto nella realtà?
E allora brindo quassù, con le scarpe sporche di fango, tra i sentieri che si perdono in altri sentieri, all’anno che si schiude all’insegna di nuove strade da percorrere.

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