Il Conte viaggiatore

I fili d’erba ondeggiano al vento della campagna monferrina, sotto un cielo d’aprile invaso da nuvole bianche. La torre di Conzano si profila già all’orizzonte. Svetta in cima al colle, gemella di quella di Lu che fa capolino nello specchietto retrovisore della mia auto, mentre percorro la strada d’asfalto che alterna discese e salite in un incessante su e giù.

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Credo che un qualunque profano si domanderebbe quale sia stata la ragione di costruire, in paesi diversi, due torri simili, l’una sulla falsariga dell’altra, entrambe a pianta quadrata e sormontate da una ringhiera in ferro e da una campana a forma di baldacchino. Per contesa? O per seguire il gusto architettonico del tempo a cui esse risalgono, pietre miliari erette a difesa del territorio in un lontano medioevo? Per quel che ne so, quest’ultima ipotesi mi sembra la più plausibile, ma allora quale delle due torri può rivendicare il primato di slanciarsi nel cielo da più tempo? penso io, prima di ingranare la marcia ridotta e più adatta ad affrontare la salita verso Conzano.

Torri a parte, Conzano non ha nulla di paragonabile a Lu. Il cuore del paese si sviluppa intorno a Piazza Australia, intitolata a quel lontano paese, verso cui emigrarono molti cittadini di Conzano per cercar fortuna, e che ha come simbolo un canguro affisso alle pareti di un edificio affacciato sulla piazza.

Questo paese mi piace perché incarna lo spirito del viaggio. Non solo il viaggio della speranza, ma il viaggio in senso lato, magnificamente rappresentato dal suo cittadino più illustre che, grazie alle sua sete di conoscenza e alle doti di intraprendenza, durante i suoi viaggi intorno al mondo, portò Conzano agli onori della cronaca.

Si tratta del Conte Vidua, un nobile viaggiatore, che visse a Conzano nella villa che porta il suo nome, dove periodicamente si svolgono spettacoli ed eventi culturali degni di nota.

Questo illustre signore che mi guarda, ritratto con lunghe basette, in marsina e camicia bianca dal collo a sbuffo, come dettava la moda ottocentesca, amava molto il suo paese d’origine, ne elogiava la bellezza, che scaturiva dall’inevitabile confronto con quei luoghi lontani, nelle lettere che dall’estero inviava ad amici e parenti, spesso intrise di velata nostalgia per le colline e la vigna, come se niente di più bello i suoi occhi avessero mai veduto.

Eppure la sua instancabile sete di conoscenza spinse Vidua ad allontanarsi dal suo amato paese per affrontare intrepidi viaggi intorno al mondo. La sua biografia parla di un lungo periodo trascorso in Messico. Tuttavia, il paese non gli piace, non è nelle sue corde. Lo descrive bene nelle sue lettere, che spedisce dall’altipiano di Città del Messico, in cui traspare la malinconia per Conzano e per la sua natura rigogliosa, che a suo parere non teme confronti. La natura ostile e arida di quei luoghi ammantati di cactus spinosi lo intristisce e lui si duole di non poter godere delle dolci colline monferrine e del profumo dei glicini in fiore.

Ma furono gli anni trascorsi in Egitto a permettergli di entrare a pieno titolo nella storia e, a giudicare dai fatti, furono lo scopo per cui ha vissuto.

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In Egitto si reca nel 1819 e vi rimane fino alla fine del 1820.  E proprio in Egitto, tra rotoli di papiro e misteriosi geroglifici, conosce Bernardino Drovetti detto “l’Egizio” un piemontese che, arruolatosi nella Legion italique diventa Viceconsole prima e Console di Generale di Francia poi, per volere di Napoleone Bonaparte, dopo aver salvato il generale Murat da morte certa nella battaglia di Marengo. Ma le sue ambizioni non sono rivolte soltanto alla carriera militare, ma mirano ai tesori dell’antica civiltà Egizia, ancora in parte da scoprire.

L’amicizia tra Drovetti e Vidua cambiò per sempre il corso della storia e fu proprio per merito di Vidua se i reperti collezionati da Drovetti si trovano oggi a Torino, nel museo egizio più importante al mondo dopo quello del Cairo e non in Francia dove si temeva andassero a finire. Ed è proprio grazie al nobile patriota se oggi possiamo ammirare oltre 150 papiri, 5000 gioielli e scarabei, 150 statue e decine di mummie nel meraviglioso Museo Egizio di Torino. Senza la sua intercessione e la sua opera di persuasione sul bonapartista Drovetti, che era indeciso se concludere l’affare con la Francia o con l’Italia, non sarebbe stato possibile. Bisogna rendergliene merito! Il merito di  essersi distinto per il suo grande spirito patriottico,  per l’amore per l’Italia e per il suo Piemonte. Un personaggio di spicco che nobilita, con alti valori, questa terra monferrina. Un viaggiatore si, ma prima di tutto un uomo, che ha saputo guardare lontano oltre al suo mero interesse personale.