Il filo delle storie
Le storie del Monferrato non si esauriscono mai. Originano sempre da qualche parte e finiscono sempre per stupire, persino me che le racconto. In Monferrato il filo della storia non si è mai interrotto. Si srotola dal passato al presente, grazie alla cospicua presenza di castelli e chiese; si perpetua nelle leggende descritte per immagini, negli affreschi di antiche abbazie, nelle gesta di nobili cavalieri, custodi di un territorio denso di cultura e tradizioni. Non esiste modo migliore per svagarsi che percorrere la rete dei sentieri, seguirne il filo senza domandarsi dove porterà, perché dovunque andrete il Monferrato saprà ricompensarvi con le sue storie, le sue tradizioni, ma soprattutto con le immagini incomparabili di un paesaggio da cartolina. Un paesaggio magico, disegnato dalla natura, dai profili di antichi borghi e fieri castelli tenacemente aggrappati ai crinali di questi colli. A Rosignano il filo riprende a dipanarsi tra le onde sinuose delle colline che si susseguono e si sovrappongono sul filo dell’orizzonte, nella luce abbagliante di una domenica quasi estiva. A spezzare il filo, un castello, quello d’Uviglie che interrompe con la sua torre slanciata le linea increspata dei crinali. Un antico maniero, in piedi da almeno otto secoli, marca il territorio con la sua vivida presenza, intrecciando un legame indissolubile con il suo eroico passato. Un motivo in più per andare sotto le sue mura a contemplarlo, e poi già che ci siamo percorrere l’ordito di strade che si srotola nella lussureggiante campagna punteggiata di case, dai giardini curatissimi, cascine e la residenza illustre del pittore Angelo Morbelli che, con il suo occhio interiore, dipinse il paesaggio così come lo percepiva.
Quanta bellezza intorno a me, anche la pietra che si cela nel bucolico paesaggio collinare, a modo suo la esprime: la pietra duttile da cantoni che se la sfiori si sfarina lasciando tra le mani il brillio diamantino della sua remota origine marina. Così son fatte le case di Rosignano che brillano di luce, baciate dal sole e accorciano il filo del tempo che collega passato e presente. Dalla Colma, la frazione in cui mi trovo, risale una strada diritta che si inerpica nel cuore del paese. E’ un giorno di festa e nel centro storico del borgo, a pochi passi dai ruderi del castello, con mia grande sorpresa, mi ritrovo, a tu per tu, con il tradizionale appuntamento del ricamo. Sono tante le ricamatrici venute dall’Italia e dall’estero, fiere di poter mostrare, nell’incantevole paese monferrino, i loro capolavori di cucito eseguiti con l’elemento base: un filo, sia questo di lana, di seta o cotone. Mi aggiro tra i banchi curiosa; faccio domande a casaccio, lasciando trapelare la mia inettitudine al cucito, al ricamo. Le donne lo intuiscono e sorridono un po’, ma io non demordo, non mi allontano, non perdo il filo del discorso finché non mi verrà svelato l’ultimo dei segreti. Le ricamatrici esaudiscono il mio desiderio e mettono in pratica tutta la loro professionalità improvvisando, seduta stante, alcuni punti a tamburello. Intrecciano i fili che a poco a poco prendono la forma di un fiore, di un girasole, altri diventano un grappolo d’uva di sorprendente bellezza. La bellezza di un filo, la bellezza in un filo.
Il passato e le sue consolidate tradizioni sono il filo conduttore delle storie di Rosignano, ma ce n’é una che inaspettatamente si inserisce, una storia estranea, un innesto che altera la fisionomia delle storie che il paese custodisce. Alzo gli occhi dal ricamo e incontro lo sguardo di due giovani che, con un filo di voce, si offrono volontari a farmi da guida. Hanno gli occhi a mandorla e un chiaro aspetto orientale e mi domando cosa possono saperne loro di Rosignano o più in generale del Monferrato, ma accetto, più interessata alla loro storia che alla storia locale. Mentre percorriamo insieme il paese in lungo e in largo e penetriamo negli antichi “infernot” scavati nella celeberrima pietra da cantoni, mi raccontano il loro personale inferno, il travaglio che hanno vissuto e ringraziano l’associazione umanitaria di Rosignano per essersi presa cura di loro e per aver trovato nella nuova casa il loro personale paradiso.
Sono due studenti afghani, fratello e sorella, fuggiti da Kabul nell’agosto scorso quando infuriava la violenza talebana. Senza l’aiuto del fratello, che lavorava alle dipendenze di una ditta italiana con sede a Kabul, non sarebbero mai riusciti a fuggire.
A Kabul sono rimasti i genitori che sentono ancora per filo diretto. Da loro hanno appreso gli orrori della guerra, le violenze e i massacri inflitti alle donne, specie quelle di etnia hazara, l’etnia più perseguitata, la stessa a cui appartengono i due giovani.
Parlano con un filo di voce dei loro sogni infranti, ma allo stesso tempo il filo della speranza non li abbandona, quella di costruirsi un futuro qui, in Italia. Nonostante abbiano nostalgia della famiglia lontana, si ritengono fortunati più di altri che non hanno avuto lo stesso benevolo destino.
Una storia a lieto fine che corona una giornata densa di emozioni. Le ore passano e la mente vaga, si perde nei particolari, si immedesima nella tempesta delle due giovani vite.
Il cuore palpita sotto i panni, mentre insegue ancora il filo della loro triste avventura.
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Immagine: Il Castello di Uviglie di Angelo Morbelli