Una storia dimenticata in Val di Ledro ed una foto scandalosa
Sapete già che quando mi capita di imbattermi in pagine di storia vera, raccontata da personaggi del mondo contadino o comunque popolare, mi piace soffermarmi a leggere per imparare qualcosa di diverso, o comunque alternativo alla storia che ci è da sempre stata insegnata a scuola.
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I volumi di storia raccontano cose, suffragate da documenti, che ci insegnano a capire certi fatti e certi fenomeni del passato, ma i racconti verbali dei nonni che hanno vissuto sulla loro pelle la storia, sovente sanno integrare e completare meglio la verità. Io penso che in molti casi i documenti sono molto importanti per interpretare i fatti, ma in qualche caso il sospetto è che i documenti siano stati manipolati dai vincitori che hanno voluto dare la loro versione a discapito dei perdenti.
Un caso emblematico che ho avuto modo di capire è quello che riguarda Napoleone Bonaparte nella versione ufficiale della battaglia di Marengo. Il racconto dei fatti è stato scritto tutto in funzione della gloria dell’imperatore francese e certi lati oscuri ignorati e sminuiti. Uno studioso genovese, che se non ricordo male si chiamava Ronco, per fortuna ha provveduto a togliere un poco di fumo e di nebbia e ci ha tramandato pagine molto interessanti che ho avuto a suo tempo l’opportunità di leggere.
Poche settimane fa, parlando dei racconti di mio nonno sulla Grande Guerra, ho citato un ottimo libro che finalmente ha svelato il ruolo importante delle donne durante le fasi del vittorioso conflitto 1915-18 ed in particolare delle portatrici che supportavano i rifornimenti dell’esercito italiano sulle vette e sui confini nord-orientali del Veneto e del Friuli.
Il sacrificio e la morte di molte di loro vennero ignorati dai testi ufficiali come del tutto dimenticata mi pare sia la storia degli oltre centomila trentini deportati all’inizio della guerra da parte degli austriaci, in gran parte donne.
Pochi mesi prima dell’inizio del conflitto, gli austriaci, ipotizzando o temendo che i loro cittadini di lingua italiana si comportassero come una quinta colonna all’interno dell’impero aiutando le truppe dell’esercito italiano, decisero di trasferire la gran parte degli abitanti delle valli del Trentino in altre regioni dell’impero austro-ungarico, come la Boemia, la Moravia o la Bassa Austria. Molti uomini in età di fare il soldato furono aggregati all’esercito impegnato verso il confine russo, ma gli altri, vecchi, bambini e soprattutto le donne furono caricati sui treni e deportati.
Di questa epopea triste non è rimasta traccia sui libri, ma è stata dissotterrata solo di recente per opera di qualcuno che ha recuperato la memoria dei vecchi, le loro lettere e cartoline e le fotografie che quelle donne e quegli uomini inviavano a casa per tranquillizzare i loro parenti rimasti.
Il giornalista Dario Colombo ha condensato in un libro intitolato “Boemia” il ricordo di quella gente che, loro malgrado, vennero sradicati dai loro paesi e dei quali, al loro ritorno dopo la vittoria di Vittorio Veneto, non si perse tempo a parlarne in quando i risvolti civili della Grande Guerra hanno sempre contato tanto come zero. Erano in fondo cittadini di serie B, e le donne ancora meno perché non avevano neppure il diritto di voto. Il fatto che fossero state deportate su carri bestiame in viaggi di almeno una settimana verso destinazioni ignote in zone nemiche dal clima molto diverso e senza adeguata preparazione al freddo ed alla fame, non importava nulla ai cantori della vittoria, ai vati alla D’Annunzio o ai cantori della bella morte come gli “arditi” che si stavano preparando a prendere il potere a Roma.
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I trentini erano guardati con sospetto ed i sudtirolesi di etnia tedesca ancora di più. Perfino Alcide De Gasperi che, pur essendo nato austriaco e fosse stato anche eletto al parlamento di Vienna, era pur sempre un fervente patriota dell’Italia, aveva ritenuto di mettere in guardia l’allora primo ministro Sonnino dal sollevare certe questioni perché, secondo le sue previsioni, un eventuale referendum post bellico fra le popolazioni della sua regione avrebbe potuto dare qualche imprevista delusione, dubbioso che la stragrande maggioranza della popolazione avrebbe potuto votare per l’Austria anziché per l’Italia.
Sta di fatto che i trentini non furono aiutati molto ad inserirsi nella loro nuova patria ed un nuovo sradicamento dovettero subirlo con l’emigrazione verso gli Stati Uniti, verso il Sudamerica sull’esempio di tanti altri italiani e per molti l’emigrazione verso le fabbriche milanesi o torinesi divenne la loro unica ancora di salvezza.
A conflitto terminato, i reduci dai fronti russi e danubiani, cioè i soldati che loro malgrado avevano dovuto vestire la divisa austro-ungarica pur essendo adesso diventati italiani a tutti gli effetti, non vennero agevolati in alcun modo e considerati come nemici del tricolore ed addirittura il fascismo fece togliere dai cimiteri di guerra le lapidi di coloro che non erano morti per l’Italia.
In più, con la sostituzione della valuta, nonostante che all’inizio fosse stata prevista la parità di cambio fra la corona austriaca e la lira, in realtà il controvalore venne poi fissato solo per il sessanta per cento, ovviamente a danno dei poveri risparmiatori.
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Nel libro, la nonna di chi racconta, che si chiamava Carmela, non mancò di commentare: “Ecco questi qui sono gli italiani!” – Roma non si smentisce mai potremmo dire noi che siamo venuti dopo, quelli che hanno conosciuto la consegna dell’oro alla patria, la svalutazione colpevole dei risparmi, la storia degli scandali finanziari, la propaganda a favore dei condoni, la corruzione eccetera.
Ma nel libro, che non mancherò di acquistare appena uscirà, c‘è anche dell’altro e riguarda un episodio del tutto ignorato non solo dalla storia, ma anche dalle cronache dell’epoca.
I vecchi della Val di Ledro hanno tramandato il ricordo, immortalato in una fotografia, della visita del rivoluzionario russo Lenin che arrivando dalla Svizzera dove era rifugiato aveva voluto visitare un gruppo di giovani operaie trentine, impegnate in una protesta, le quali gli avevano offerto un pranzo in trattoria e gli avevano pagato il biglietto del treno sul quale si era poi trasferito in Boemia, a Ceske Budejovice.
Il fatto era rimasto per decenni sconosciuto, anche perché il parroco del paese aveva minacciato le operaie di pene severissime, come la scomunica, se ne avessero parlato ed avessero anche solo in parte aderito a quella “setta infernale” di cui Lenin era il profeta.
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Qualche povera donna ha però conservato la fotografia. dove al centro si può vedere Lenin in giacca e cravatta e con il mitico berretto sulla testa che lo ha poi consegnato alla storia.
Chissà quante altre cose sono rimaste sepolte nei cassettoni delle case private e che potrebbero entrare a far parte di quella storia che veramente conta nell’interesse della gente normale e non soltanto fra quella in divisa, quella che spesso riesce ad appropriarsi di meriti non proprio suoi.
Se andiamo a vedere, nel solo paese di Castelceriolo quante case private sono state depredate della memoria dei loro abitanti? Ricordo che venni chiamato da un vicino, ora ormai defunto, che aveva visto svuotare la casa di Eusebio Pagella, uno che in vita era entrato in politica ed aveva fatto il delegato del paese ad Alessandria. Interi bauli di documenti sembra che siano finiti in discarica e quando ho potuto interessarmene era ormai troppo tardi. I nuovi proprietari, forse solo per ignoranza, erano stati più veloci di me.
Il povero nonno Giovanni diceva che quando pensava al generale Luigi Cadorna al quale è tuttora dedicata la piazza di Cassine o al maresciallo Badoglio legato al nome di Grazzano Monferrato, gli si rimuovevano le budella. Lui che aveva combattuto davvero nella Grande Guerra, all’età di oltre trent’anni e con due bambine di pochissimi anni affidate alla moglie sola e senza possibilità di reddito.
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Che gli italiani non siano sempre stati tutti uguali lo sapevamo da tempo.
Anche ultimamente ne abbiamo avuto conferma.
Ci sono ancora i furbi ed i coglioni, come la storia ci ha insegnato.
Luigi Timo – Castelceriolo