Perché duri la memoria: a Casal Cermelli tra testimonianze di guerra de L’ultima staffetta e vicende di bambini in uno splendido film, nel Giorno della Memoria.

Ci sono delle emozioni che è meglio vivere in pochi, anche semplicemente da soli, altre che è decisamente meglio condividere con un attento e partecipe  gruppo di persone, che magari si appassionano, magari si commuovono con te, come te. Volete un esempio? Semplice: se si va a visitare una mostra d’arte la folla è caldamente sconsigliata! Girare in una pinacoteca e gustarsi per bene ciascuna delle opere esposte è, a mio avviso, della serie meno siamo e meglio stiamo. Ma per vivere invece la celebrazione – perché duri la memoria – del giorno che ci invita, tutti, nessuno si senta escluso, e ricordare l’olocausto, l’incredibile e del tutto inumano accanimento che i nazisti operarono nei confronti del popolo ebreo – soprattutto, ma non solo – è meglio farlo insieme…insieme ad altre persone che come te che sei li e ti commuovi e partecipi, si commuovano e partecipino con te…

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A me è accaduto di viverla così, la sera del 27 Gennaio di quest’anno, a Casal Cermelli, invitato da Mariangela Dotto, Responsabile della Biblioteca di Casal Cermelli, che ha organizzato l’evento di cui vi narro. Casal Cermelli peraltro è un paese con il quale ho un rapporto di immensa affettività, perché ci è nato mio padre, mia nonna (il nonno paterno non l’ho mai conosciuto) la cui casa – e il suo giardino, il suo immenso orto – ho vissuto e visitato mille e mille volte da bambino e ragazzo, sino a che non se n’è andata. Un’organizzazione davvero notevole, che ha diviso la serata in due distinte partizioni, assai diverse fra loro, ma che si sono perfettamente concatenate. Nella prima parte Mariangela ha introdotto la serata leggendo, con molta commozione – sua e nostra – la terribile poesia di Primo Levi “C’è un paio di scarpette rosse”… la ricordate? riporto qui il finale, davvero straziante: “c’è un paio di scarpette rosse per la domenica / a Buchenwald / erano di un bambino di tre anni e mezzo / chi sa di che colore erano gli occhi / bruciati nei forni / ma il suo pianto lo possiamo immaginare / si sa come piangono i bambini / anche i suoi piedini / li possiamo immaginare / scarpa numero ventiquattro / per l’eternità / perché i piedini dei bambini morti non crescono / c’è un paio di scarpette rosse / a Buchenwald / quasi nuove / perché i piedini dei bambini morti / non consumano le suole.

Poi Mariangela ha colloquiato con Lorenzo Grattarola, che, con voce a tratti roca per la commozione, ci ha narrato una sorta di “racconti del parentado” – e cito volutamente quelli di Fenoglio, solo che qui sono vicende di guerra – dallo zio Pino, classe 1919, che dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, a loro si aggregò risalendo l’Italia di mano in mano liberata, al padre dal nome mitologico, Urano, classe 1923, che a Roma, dopo aver rischiato di partire per la Russia, si trovò, dopo l’8 Settembre, a combattere contro i tedeschi, e dopo tre mesi di viaggio – a piedi – tornò in Piemonte per unirsi alle Brigate Partigiane di Giustizia e Libertà. E poi la vicenda tragica del cugino dei due, Ludovico Ravera, classe 1925, che era di vedetta su al castello di Ponzone, in attesa di un segnale che da Cavatore gli indicasse l’arrivo dei tedeschi…ma che venne trucidato da una sorta di pattuglia d’avanguardia, che era arrivata, silenziosa ed invisibile, in bicicletta…e non aveva neppure vent’anni! Ed infine, la vicenda dello zio Alessandro (detto Sandro), classe 1926, che avrebbe compiuto vent’anni solo a guerra terminata…delle cui vicende si parla, perché le ha narrate, a futura memoria, in un manoscritto. Un volumetto che è stato stampato molti anni dopo a cura della famiglia, dal titolo eloquente: L’ultima staffetta. Sandro che venne catturato dai nazisti e poi spedito in campo di concentramento in Germania, ad Aschersleben, sottocampo di Buchenwald, dove tra fame nera e lavori forzati ed indicibili sofferenze, ce la fece però a sopravvivere, riuscendo a ritornare al suo paese, lasciandoci anche la sua testimonianza scritta. Ed è dal libretto di Sandro Grattarola, che Mariangela ha tratto alcune splendide letture, decisamente coinvolgenti. Ne cito una: Sandro che scrive che anche nella bruttura della guerra, l’amicizia è confortevole, perché proprio appena catturato, trova prigioniero con lui Peppino Madonna, suo caro amico…solo che poi subito dopo, in una sorta di crudele sorteggio, Sandro viene scelto appunto per essere deportato…e conclude il ricordo di quell’episodio dicendo “Ho capito in quel momento che per me non esisteva fortuna!”… Purtroppo il libretto di Sandro, l’Ultima Staffetta, è introvabile…neppure la Biblioteca di Casal Cermelli ne ha una copia! Credo sarebbe più che opportuno venisse ristampato: è la nostra storia, fonte della nostra memoria…spero sinceramente si trovi presto qualche casa editrice legata al territorio che voglia occuparsene.

E dopo questa commozione, eccoci ad un bellissimo film, Resistance – La voce del silenzio, che di coinvolgimento e commozione ce ne ha donato tantissima. Il film narra la vicenda di quanto avvenuto durante la seconda guerra mondiale a Marcel Mangel, ebreo, che cambierà il suo nome, nel passaporto che lui stesso falsificherà, in Marcel Marceau. Si tratta proprio del celeberrimo mimo! Una storia che assolutamente non conoscevo, bellissima di suo e stupendamente raccontata. Resistance è un film del 2020, scritto e diretto da Jonathan Jakubowicz. Racconta la vicenda eroica di un ragazzo, interpretato con straordinaria immedesimazione da Jesse Eisenberg, che all’inizio del film pensa soprattutto al teatro, cerca di diventare un mimo amato ed applaudito…ma alla vista dei poveri orfani ebrei, bambini già profondamente calpestati dall’odio germanico, che spesso avevano visto i genitori trucidati dai nazisti, cambia profondamente atteggiamento, si unisce alla Resistenza francese, in accordo suo cugino, Georges Loinger, e di suo fratello Simon. Ma invece di abbracciare le armi, Marcel e il suo gruppo di sodali preferiscono operare sottotraccia…preferiscono, come fa un mimo, il silenzio. In questo modo hanno contribuito a salvare migliaia di bambini, portandoli dalla Francia, barbaramente occupata, oltre la frontiera salvifica della Svizzera.

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Un film a cui abbiamo assistito con grande coinvolgimento, con orrore nei momenti in cui i nazisti esprimono tutta la loro folle ferocia, e con immensa commozione. Stupende le scene dove il giovane, ma già assai bravo Marcel, cerca, riuscendovi perfettamente, di far sorridere i bambini orfani che il loro gruppo ospita. Terribili ed angoscianti le scene di violenza nazista, con un attore bravissimo, Matthias Schweighöfer, che interpreta il boia di Lione, Klaus Barbie, dolce ed amoroso con la moglie e la piccolissima figlia, feroce oltre ogni dire con gli ebrei e chiunque li aiuti. Un film colmo di angoscia e tensione, con scene davvero indimenticabili, ma anche grandemente illuminato dalla mimica del giovane protagonista, che interpreta, a tratti con poesia davvero inarrivabile, il grandissimo mimo Marcel Marceau. E poi molto bella e coinvolgente la delicata storia d’amore fra Marcel ed Emma, interpretata con notevole intensità da una bravissima Clémence Poésy.

Quando il film è finito, si sono di colpo riaccese le luci. Per qualche istante siamo rimasti tutti come in una sorta di silenzio sospeso, tanto eravamo commossi, ma anche coinvolto ed indignati, dalle vicende che avevamo vissuto, tutti insieme, in quella sala. Solo dopo alcuni secondi è partito uno spontaneo applauso…un applauso di partecipazione ma anche quasi di sollievo, dopo l’ansia che ci aveva accompagnato per buona parte della durata del film. Io e Mariangela eravamo seduti accanto, entrambi con gli occhi lucidi, mentre lentamente si stemperava la tensione. Mentre rientravo in auto verso Oviglio, mi è venuto spontaneo pensare di quante piccole ma splendide realtà culturali siamo circondati, a volte senza rendercene neppure conto, a come in un piccolo paese si possano fare proposte davvero notevoli. Grazie.

 

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