Lettera aperta Uncem a Mario Tozzi
Oggi un suo articolo sulla Stampa analizza ancora una volta i legami tra qualità del costruito, antisismico, e terremoti. Una analisi su Turchia e Italia, Paesi del Mediterraneo diversi per storia e cultura, ma accomunati purtroppo da una scarsa qualità di materiali usati nell’edificato e soprattutto da cattiva progettazione. Non sono architetto, ingegnere o geometra, tantomeno geologo, e non aggiungo altro al suo ragionamento. Ma evidenzio quanto come Uncem ribadivamo nel 2019, a tre anni dai terremoti del centro-Italia, ovvero la necessità di buona progettazione per prevenire i danni di un sisma, l’uso di legno per le strutture e i tamponamenti, e anche per il recupero delle pareti degli immobili nei paesi alpini, la necessità di puntare su risparmio energetico con opportuni bonus non senza riduzione del rischio sismico. Ancora, la necessità di puntare su un piano di abbattimento e rifacimento della vecchia edilizia residenziale convenzionata (serviranno forse oltre 100 miliardi di euro!), le “case popolari”, introducendo poi, per tutti gli immobili una “carta d’identità” (con assicurazione) dell’edificio, che finora non è obbligatoria in Italia, Paese che deve dotarsi in fretta – abbiamo già perso troppo tempo – di un “Codice della Ricostruzione”, anche a vantaggio di Sindaci e pubblici amministratori.
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Le sue analisi sono lucide, la potenza divulgativa su stampa, radio, tv, molto forte. E lei lo sa bene. Mi chiedo allora perché, non sulla Stampa, ma sulla sua pagina Facebook oggi lei si sia spinto in una considerazione che non ci ha convinto, anzi, ci ha sorpreso. Le scrive: “I terremoti sono stati fortissimi (centinaia di volte più di quelli nostri) e l’ipocentro superficiale, ma se i palazzi si riducono a frittelle (effetto pancake) è perché i fruttivendoli (prima era contadini, poi ha modificato) e i pastori si improvvisano costruttori, con tutto il rispetto per gli uni e gli altri”. Questa ultima riga, dopo la virgola, non alleggerisce la considerazione a metà del periodo rispetto al ruolo dei pastori e dei fruttivendoli improvvisati costruttori. Perché riferirsi a questi due mestieri, che probabilmente, in tempi non sospetti, sono stati anche costruttori, facendo meglio di altri!? Perché tirarli in ballo? Conosciamo meno i fruttivendoli, ma i pastori, i pastori… senza di loro non avremmo gran parte della storia agricola italiana. Lei lo sa bene. I pastori non costruiscono case e non sono esperti di pianificazione e progettazione antisismica. Forse a volte si sono improvvisati costruttori si, ma per necessità e con virtù. Come i contadini e anche i fruttivendoli. Nessun problema, Professore, non si offendono. Forse si sono arrabbiati un po’ e le hanno lanciato qualche tweet… ma non vogliamo alcuna polemica. Si chiude qui. Con i pastori, i contadini, i fruttivendoli (gli ultimi in Anatolia, lei sa, sono gli Yoruk), che loro malgrado abitano in case non certo moderne e anche distrutte dalle guerre, che non hanno costruito condomini crollati, e che – ne siamo certi – insieme a tanta altra gente non certo ‘ricca’, hanno sempre pagato i costi più alti delle guerre, dei conflitti, delle dinamiche geopolitiche. Gli stessi pastori eredi di quelli raccontati nella Bibbia, parenti lontani, in geografie vicine a quelle città e a quei villaggi oggi martoriati. Non certo cattivi costruttori di edifici.
Con stima Marco Bussone, Presidente Uncem