La vita di due sorelle in Alba, fra risate e malinconia: Oscar Barile con Premiata Merceria Spatusso a Monastero Bormida.

Mentre guidavo, ieri sera, nella notte di fine inverno, peraltro parecchio più fredda del normale, considerando che fra pochi giorni è primavera, mi domandavo quante commedie ho visto – a teatro o in TV o in DVD – recitate in rigoroso dialetto piemontese. E la risposta è stata netta: semplicemente nessuna! Io sono nato nel lontano, ahimè, 1960, e probabilmente, negli anni della mia formazione culturale, semplicemente fare teatro in dialetto era considerato qualcosa di inferiore al Teatro, quello, appunto, con la T maiuscola. Poi ho scoperto il teatro dialettale genovese di Govi, nei tardi anni 70 (ma le registrazioni televisive sono ben più anziane), che però, per essere più fruibile ad un pubblico nazional popolare, erano strutturate in modo tale che in realtà il linguaggio utilizzato fosse una sapiente miscela di genovese e italiano. Forse se fossi stato di Torino e non della provincia di Alessandria, sarei andato a vedere Macario, che devo dire non ho mai amato particolarmente…forse, chissà?

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Insomma, ieri – e ringrazio qui di tutto cuore Patrizia Velardi e tutto il gruppo Rete Teatri, che mi ha invitato ad assistere a questo notevole spettacolo – mentre raggiungevo quel luogo d’incanto che è Monastero Bormida, mi chiedevo se lo avrei apprezzato, il teatro dialettale, ma anche se lo avrei almeno compreso, il dialetto di Alba, ché la vicenda là è ambientata ed evidentemente quello è il dialetto – rigoroso, con pochissimi inserti in italiano – con cui è recitata la commedia. Ebbene, vi confesso che proprio tutto tutto non l’ho capito…ma la stragrande maggioranza delle cose che dicevano, si, eccome, e con molto piacere. Anzi: dopo pochissimi minuti che seguivo con attenzione la vicenda, mi sono detto che era proprio bello sentir recitare in quel dialetto, che non è proprio il mio ma quasi, che nella sapienza delle due attrici protagoniste era pieno di musica e di notevole espressività… uno spettacolo, insomma, del tutto fruibile, del tutto godibile…

Anche perché le due protagoniste principali, che sono praticamente sempre in scena, sono semplicemente bravissime. Loredana Siciliano è Elsa, che nel tempo libero dalla bottega – la Premiata Merceria Spatusso, appunto, che dà il titolo alla commedia – se ne sta seduta o coricata nel letto a guardare, su una vecchissima TV che vediamo in primo piano sul palcoscenico – e confesso che quando sono arrivato il teatro subito mica avevo capito cosa fosse quell’ingombrante oggetto che stava al di qua del sipario – tutte le soap opera o le telenovelas che grondano amori sdolcinati ed iper-romantici. Sua sorella, Cesira, più anziana di Elsa, che pure è tutt’altro che giovane, è interpretata da Marilena Bilestro, è invece ossessionata da una patologica avarizia, che la spinge a vivere in due povere stanze mal combinate, a comprare per pochi centesimi i pomodori destinati all’immondizia al mercato rionale, a non comperare neppure il caffè, a permettersi un po’ di carne solo un paio di volte al mese, addirittura ad aver venduto i mobili dei defunti genitori solo per introitare un po’ di soldi e portarli in banca. I loro continui battibecchi, che dureranno per tutta la commedia, sono spassosi e le due sono assolutamente nella parte. Ma sono impregnati di una diffusa ed evidente malinconia. Perché le due sono zitelle, vivono una vita di chiuse ossessioni (amori romantici televisivi Elsa, accumulo di denaro e avarizia Cesira), la Premiata Merceria è in grave crisi, direi tanto economica che esistenziale, perché un’attività così ormai è un bel po’ desueta e si perde nei confronti delle nuove modalità del commercio contemporaneo. Sono divertenti? Parecchio. C’è in loro una sottesa malinconia? Anche, e molto. Una malinconia fatta del tempo che è passato e di una inespressa ma ben presente paura della solitudine, che verrà fuori in tutta evidenza nel bellissimo finale. Ma procediamo con ordine.

 

Perché poi arriva il terzetto dei cugini: le due sorelle Marieta (Carla Lanzone) e Rina (Madì Drello), e Ghistin, figlio della terza sorella – invalida – che è Oscar Barile, ideatore e regista della vicenda. Barile si presenta in scena con un incredibile parrucchino nero, che a mio avviso lo fa assomigliare molto all’indimenticabile maggiordomo della Famiglia Addams (nei vecchi telefilm in bianco e nero), Lurch.

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Tutti insieme in scena sono spassosissimi, in una specie di quintetto per voci dialettali, tra punzecchiature, critiche ed insinuazioni: la magia del dialetto piemontese dispiegata davvero magnificamente. In sostanza, il non certo giovane Ghistin sta per sposare la giovane badante moldava della madre, Irina (è lei che gli ha fatto dono dello strambo parrucchino!), nonostante la totale contrarietà delle zie… le quali, tutt’altro che altruiste badanti della sorella ammalata, in realtà vivono a scrocco (tanto di vitto quanto di alloggio) alle spalle, appunto, di Ghistin e di sua madre. Scommetto che sono vicende simili a quelle che bene o male tutti abbiamo già inteso, fra parentado ed amicizie, vero? Insomma, al termine di questo incontro viene fuori che le due sorelle sono invitate al sontuoso matrimonio…tanto sontuoso che è previsto l’arrivo di un pullman dalla Moldavia con una cinquantina di parenti e amici della sposa…e al relativo banchetto di nozze che i due promessi sposi offriranno in un rinomato ristorante tra le Langhe.

E qui, dopo che è transitato per casa l’idraulico Cichinat (Claudio Losinno), che Elsa trova decisamente attraente, il quale si prende l’impegno di accompagnare con la sua Mercedes (di cui è orgogliosissimo) le due al banchetto, ecco il magnifico dialogo delle due sul tema: andare al matrimonio (Elsa) per svagarsi davvero un po’, pure con un bel vestitino nuovo, oppure non andarci per evitare di spendere soldi, in vestiti e per il regalo (Cesira)? Alla fine il compromesso è raggiunto: andare al matrimonio, ma per il regalo una cornicetta da pochi soldi e i vestiti saranno quelli vecchi e neri del funerale dei genitori delle due! Così, quando Cichinet le va a prendere, ecco arrivare queste due con un abbigliamento degno di due streghe pronte per il sabba! Due cornacchie assurde ed incredibili! Tra le quali il battibecco è continuo ed esilarante.

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E, dopo il matrimonio, il finale, decisamente più drammatico e malinconico, anche se a tratti addirittura esilarante. Perché dopo aver mangiato e bevuto con golosità pantagruelica, al matrimonio, Cesira accusa un malore che si rivelerà un ictus. Ed ecco che, nel finale, è portata in casa su una sedia a rotelle, dopo un periodo in ospedale, dalla sorella. Cesira ha quasi del tutto perso l’uso della parola, ma riesce ad essere molto espressiva lo stesso, con le smorfie del viso e con lo sguardo. Così, quando in una sorta di vendetta per tutte le passate ristrettezze, Elsa inizia a narrare alla sorella di aver acquistato l’abitino che voleva per il matrimonio, nonché un gigantesco TV da 55 pollici, ma anche di aver intenzione di godere di tutti i – tanti – soldi messi da parte da Cesira, e per di più di aver ceduto la Premiata Merceria Spatusso ai cinesi, esprime tutto il suo dolorosissimo disappunto con smorfie e sguardi e suoni gutturali davvero di notevole bravura. Ridiamo tutti un sacco. Ma…ma poi Cesira pare stia per morire, l’altra si allarma moltissimo, le confessa di averle raccontato un sacco di bugie, solo per prenderla in giro…non ha fatto acquisti pazzi, la merceria l’ha solo affittata per un anno…poi si vedrà…mor nenta, Cesira, lassmi nenta da sula (non morire Cesira, non mi lasciare sola) dice disperatamente Elsa alla sorella…a dimostrare che, in fondo a tutto, c’è la malinconia della solitudine.

Il sipario si chiude, tra gli applausi, sulle note di “Domani è un altro giorno, si vedrà”, dalla voce indimenticabile di Ornella Vanoni. Mi alzo per scappare verso casa, è tardi, mi aspetta più di un’ora di auto. Ma sono davvero colpito dalla notevole qualità di quello che ho visto. E nella mia mente lampeggia, come epigrafe conclusiva di quest’opera teatrale davvero notevole, il titolo di un bellissimo romanzo di Osvaldo Soriano: Triste, solitario, y final…

 

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