Una storia d’amore in un Paese in guerra: “La Foto di Maria” di Paolo La Farina a Spigno Monferrato.

Alla fine eravamo tutti commossi: lo ero io, ovviamente, lo era la signora Nerella Sommariva, figlia della protagonista femminile della vicenda, Maria, che stava seduta in prima fila, praticamente davanti a me, ma ho visto che lo erano parecchie persone del pubblico che aveva riempito la sala del piccolo ma accogliente teatro di Spigno Monferrato, e addirittura era commosso anche lui, Paolo La Farina, non certo un uomo di palcoscenico alle prime armi, che ha firmato questa bella rappresentazione come autore, regista e attore. Ed era bello, bellissimo, che quello che avevamo vissuto tutti insieme, nella vigilia del 25 Aprile 2023, ci avesse tutti così coinvolto e così emozionato.

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Ma forse conviene tornare all’inizio di tutto quanto, o meglio, ancora a prima dell’inizio. Perché prima dell’inizio c’è stato un libro, che ha ispirato Paolo La Farina nel trarne quest’opera che stasera ci presenta. Un libro che certamente conto di leggere in un futuro molto vicino. Un libro, come ci ha narrato, introducendo la serata, Nerella, nato quasi per caso su una spiaggia della Camargue, durante una conversazione fra lei e l’altra autrice del volume, la giornalista Donatella Alfonso. Un libro dal titolo La ragazza nella foto, uscito nel 2017 per i tipi della “All Around” di Roma. Un libro dove le due hanno narrato la vicenda della mamma di Nerella, di quando non era ancora una mamma e neppure aveva conosciuto quello che poi sarebbe, appunto, diventato il padre di Nerella, ma di quando era una coraggiosa staffetta partigiana…che lo era diventata certamente per convinzione, ma anche e forse soprattutto per amore: per amore di Ermanno Vitale, partigiano, ebreo, giovane uomo pieno di vita e di coraggio, ucciso ad appena un paio di mesi dalla fine della guerra in un agguato orchestrato dalle forze repubblichine. “Credo che quello sia stato il periodo in cui mia mamma è stata più felice, in tutta la sua vita…”, ci ha confidato Nerella, nella sua breve introduzione alla serata, con voce tenera ed emozionata, come solo quella di una figlia può essere. Un viatico emotivo che ha raggiunto, come ho sopra descritto, il suo apice al termine della serata.

Serata che ci ha guidati in vicende che ci sono così vicine, sia per chi è ancora qui con noi per narrarcele, come mio padre, nato nel 1927, o come chi se le è sentite raccontare dai nonni, dai padri o dai nonni degli amici, al punto da essere le nostre vicende, le nostre storie. Paolo La Farina, ha costruito la serata con una proposta spettacolare che definirei “multimediale”. Avevo visto qualcosa di simile a Canelli, in una “pomeridiana” dedicata a Beppe Fenoglio, dal titolo esplicito: “Tra le pagine di Beppe Fenoglio”, dove venivano incorporati in un unico contesto letture sceniche, brani teatrali, diapositive, brevi filmati e financo un breve balletto. E mi era piaciuto parecchio. A qualcosa di simile abbiamo assistito ieri sera (balletto a parte), qualcosa di molto efficace, con un bel valore aggiunto in più: la presenza di musica dal vivo, con Benedetto Spingardi, che, seduto ad un piano elettrico, ha contestualizzato musicalmente tutte le scene che si sono teatralmente succedute, ma mai limitandosi ad una mera esecuzione, ma invece davvero interpretando ogni brano, a cui donava di volta in volta una diversa dimensione musicale. Era una dimensione talvolta malinconica (“ma l’amore no”), talvolta terribilmente sarcastica (“ma le gambe”), talvolta divertita e piena di humor (“bellezza in bicicletta”). Davvero una presenza musicale notevole, che abbiamo tutti apprezzato moltissimo.

Sul palco, la scena era così suddivisa: alcuni oggetti d’epoca, come una radio a valvole, un elmetto, poco altro. Al centro uno schermo dove venivano proiettate di volta in volta immagini o filmati. E tre leggii. Sulla sinistra di noi spettatori un leggio utilizzato da Paolo. Sulla destra, prima di Benedetto Spingardi, che stava alla nostra estrema destra, due leggii. Per due splendide ragazze e attrici, nonché sorelle (che lo fossero l’ho scoperto solo a fine serata): Michela Marenco e Marta Marenco. Marta, splendido sorriso, capelli più ricci, dotata di una voce dal timbro brillante ed aperto, davvero efficacissima e nelle sue letture, vissute in maniera genuinamente appassionante. Michela, dal sorriso più trattenuto, quasi timido, che però ha recitato, negli inserti più teatrali, la parte di Maria (ma anche quella, più breve, della mamma di Ermanno), con una voce profonda, molto morbida e pastosa, che ha saputo essere sempre coinvolgente ed emozionante, con una scena dello svenimento finale davvero encomiabile…con qualche timore da parte del pubblico per la botta che si era presa…Ecco: insieme le due ragazze han saputo restituirci una sorta di piccola ma efficacissima polifonia al femminile.

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E dall’altra parte del palco un altrettanto efficace Paolo Farina, dalla voce timbratissima,  estremamente duttile e coinvolgente, che ha saputo assumere infinite tonalità ed esprimere moltissime diverse emozioni, che il testo ed il contesto suggerivano. Aiutato come sempre da una gestualità mai esagitata, mai eccessiva e retorica, ma che sa essere anche molto trascinante. E poi c’è un’altra importante protagonista, muta, ma vero e proprio motore della vicenda: una bicicletta. La bicicletta che rappresentava per Maria in primo luogo la sia emancipazione della terribile situazione servile che aveva vissuto a casa della sorella, dove era andata, forzatamente, a vivere dopo la morte dei suoi genitori e della nonna amatissima: regalo del cognato come buonuscita, per la raggiunta maggiore età, dopo anni di sfruttamento ed angherie. Ma poi rappresentava anche, per lei, la possibilità di avere un poco di libertà e di indipendenza: raggiungere le amiche al paese vicino, andare a trovare qualcuno…insomma una vita migliore. Bicicletta che è stata anche viatico al suo amore per Ermanno, perché proprio perché lei si difendeva dal tentativo di un partigiano di confiscarla, che i due si conobbero, ed incominciarono a frequentarsi, per arrivare poi ad amarsi.

Un amore difficile, a volte fatto di incomprensioni, reso difficile dalla grande differenza economica e sociale fra i due. Lei orfana, povera, illetterata…una bracciante della terra…lui, studente di Medicina, erede di una notevole azienda alessandrina (che tutti conoscevano in Alessandria e non solo), la SAVES. Un amore difficile, si, ma immenso. Tra un giovane uomo coraggioso, che, ebreo e quindi a rischio di deportazione, era diventato partigiano (e un partigiano dalle notevoli qualità guerriere) quasi per necessità…la necessità di desiderare fortemente un mondo senza le leggi razziali e senza il nazifascismo, un mondo che gli consentisse semplicemente il diritto di vivere…e lei, una giovane donna coraggiosa, che, come ho espresso sopra, era diventata staffetta partigiana, lei con la sua bicicletta, anche per essere libera di amare quel giovane uomo coraggioso.

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Non posso certo raccontare in questa sede tutta la vicenda di Maria ed Ermanno. Ma fatemi narrare almeno una scena, che mi ha colpito come un pugno nello stomaco. Perché Maria abita di fronte alla stazione. Vede quei treni, composti per lo più da vagoni serrati, come se trasportassero animali pericolosi…e invece trasportavano famiglie e famiglie di innocenti, ebrei – e non solo – destinati al macello. Molti gettavano qualcosa dalle feritoie di quei carri: un biglietto, scritto sui più diversi materiali, nella speranza che qualche anima pietosa portasse notizie ad una parentela lontana…Maria, che ha un coraggio da leonessa, va tra i binari, raccoglie i biglietti. Lo fa a rischio di essere arrestata o anche uccisa dai tedeschi…ed ecco: tutto ciò viene restituito, sulla scena, con la diapositiva di uno di questi tanti, strazianti biglietti, letto con voce intensa e disperata, ed altrettanto intenso e disperato sguardo, di Michela, seduta per terra, davanti alla diapositiva. Un momento di teatro veramente di rara intensità.

E poi, purtroppo, il terribile finale di una complicata, ma intensissima storia d’amore in un Paese in guerra. Era il febbraio 1945, su una strada fra le colline, una ragazza dai capelli neri, in bicicletta, accompagnata da un’amica, ché insieme stanno correndo a cercare notizie di Ermanno e dei suoi compagni, visto che gira la voce di un’imboscata, viene fermata da una pattuglia di soldati. La portano davanti al comandante. Lui ha in mano qualcosa, sembra una foto. Le chiede con protervia se conosce Ermanno Vitale. Certo, è un nome famoso, in quelle campagne, quello del partigiano Manno, che combatte con valore contro i nazifascisti. Lei, Maria, nega. Ma quello le mette bruscamente una fotografia sotto gli occhi. Strano, che tu non lo conosca, perché abbiamo trovato una tua foto nella sua tasca, le dice… poi le butta in faccia la foto, ma anche le lettere, le sue lettere che lui gelosamente conservava…infine, impietosamente, mette sulla scrivania un paio di scarponi infangati…e con un ghigno le sputa in faccia un tremendo annuncio di morte: erano i suoi, ed era ancora caldo quando glieli abbiamo tolti! Maria sviene, sul sipario cala il buio. Maria e il suo amore irrisolto, incompiuto…il suo amore per Ermanno, che non svanirà mai.

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E allora, non posso che terminare questo mio articolo con le stesse, bellissime parole di Giuseppe Ungaretti, con cui ha concluso ieri sera Paolo: “Qui / vivono per sempre / gli occhi che furono chiusi / alla luce / perché tutti / li avessero aperti / per sempre / alla luce.”

PS: voglio ringraziare pubblicamente chi si occupa dell’organizzazione di tutto questo: Patrizia Velardi, di RETETEATRI, che mi ha invitato a presenziare a questo evento (ma anche ad altri spettacoli prima di questo), donandomi così il ricordo indelebile di una serata stupenda.

 

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