Piercarlo Fabbio ricorda il sostegno, l’amicizia e gli incontri con Silvio Berlusconi
Ho conosciuto Silvio Berlusconi nel 1998. Venivo già da una lunga esperienza nella Democrazia Cristiana e, insieme ad altri dirigenti nazionali del CDU di Buttiglione, ci recammo da lui in via del Plebiscito a Roma, per comprendere se Forza Italia ci avrebbe accolti nel caso le nostre lotte interne al partito non ci avessero consentito di rimanere nel centrodestra.
Veramente lo avevo già accolto al I Congresso nazionale del CDU all’Ergife di Roma, ma in condizioni di maggiore formalità. Per noi la politica era figlia dei raffinati ragionamenti di un intellettuale della Magna Grecia come Ciriaco De Mita oppure del pragmatismo di governo di uno statista come Giulio Andreotti. Molta tattica, tanto approfondimento, esagerata valutazione delle posizioni interne, leadership collettiva.
Quello era il modello e quello conoscevamo. Berlusconi invece era l’opposto di tutto questo e devo ammettere che in quel colloquio mi trovai a disagio: come ci si poteva entusiasmare per i bozzetti del logo di Forza Italia che Gianfranco Micciché gli portava e che recavano slogan come “scuola libera”, “meno tasse”, “più famiglia”? Non capivo in quei momenti come mi stessi trovando di fronte ad un modello di politica completamente nuovo: una politica in cui i valori non si dichiaravano, ma era il programma a coniugarli nella realtà e quindi a difenderli ancor meglio. E lo stesso programma era il veicolo sul quale impostare le alleanze. Lo stesso suo entusiasmo nel vedere come in pratica ognuno di noi avrebbe potuto leggerli era sintomo di un’altra novità: comunicare veniva insieme al pensare. E per farlo occorreva un linguaggio semplice, immediato, comprensibile a chi, sulle ali del suo stesso entusiasmo, aveva deciso di occuparsi di politica, mostrava di comprenderla e lo ricompensava con un grande consenso.
Dopo quell’incontro ne seguirono altri, ma ricordo in particolar modo quando accettò di sostenere la mia candidatura a sindaco di Alessandria nel maggio 2007, venendo in città e riempiendo letteralmente il teatro comunale e i giardini intorno. In quell’occasione mi stupì nuovamente. A causa della mia attività politica, mi era capitato di tenere comizi con un po’ tutte le grandi personalità italiana dell’epoca democristiana degli anni Ottanta e Novanta. Mai mi era capitato di dover effettuare un briefing con uno di loro: il modello era che la personalità a livello nazionale avrebbe parlato di politica nazionale e il leader a livello locale si sarebbe attenuto ai temi più vicini alla città.
Con Berlusconi non andò così. Arrivò per tempo ad Alessandria, prese una stanza Alli due buoi rossi e si impegnò con me in un’oretta buona di approfondimento sui temi del comizio che avremmo dovuto svolgere al Comunale. Rimase colpito dal “mostro” che avremmo dovuto abbattere davanti a Santa Maria di Castello e all’idea di sviluppo economico che il nostro programma recava.
Ne parlò lui stesso durante il suo speech, aiutandomi così ulteriormente, ma soprattutto dandomi più di un’impressione di professionalità e di approfondimento che fino ad allora non avevo trovati in altri leader. Anche il suo muoversi con grande libertà sul palco, il suo buttarsi letteralmente in mezzo alla gente alessandrina – di norma sempre contenuta nelle sue manifestazioni, ma in quel caso entusiasta – mi avevano fatto capire un’altra differenza sostanziale tra popolarismo e populismo.
Per Berlusconi stare in mezzo alla gente era ragione di vita, non era un mero strumento di scelta politica. E anche il suo partito doveva agire così.
Un’ultima considerazione su Forza Italia, un partito più volte criticato per il suo essere di plastica, non democratico fino in fondo, bloccato nei congressi, poco incline al dibattito interno. Tutto vero, ma anche tutto modellato su vecchi stilemi della politica italiana: in Forza Italia, pur vincolati ad uno spazio territoriale definito, ognuno poteva avere la possibilità di sviluppare la sua iniziativa politica in grande libertà. Bisognava esserne capaci e rischiare in proprio: un altro dei suoi insegnamenti direttamente modulati dal suo essere imprenditore.
Chi avrebbe accettato la sfida della modernità, dell’innovazione ne avrebbe avuto vantaggi. Ma soprattutto avrebbe potuto dare un nuovo impulso alle proprie comunità. Ed ora Forza Italia sarà di fronte alla sfida della sopravvivenza, tentando di mantenere rinfocolata la predisposizione all’innovazione che Berlusconi gli ha lasciato in eredità.
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Piercarlo Fabbio