“Genova sempre nuova, vita che si ritrova”…nei “Manezzi” di Govi ad Acqui Terme, in una bella notte d’Agosto.

Studiavo a Genova, abitavo a Genova… nelle notti che a Genova si andava a Teatro, la strada era piena di chiaro di luna…guardavo Genova, respiravo Genova, immaginavo le sue vele per il mare, ascoltavo  l’ansimare delle ciminiere…tanti anni dopo in una canzone Genova l’hanno definita Una ragazza bruna / collezionista di stupore e noia / che apriva le sue labbra scure / al soffio caldo della macaia…Ho amato e amo quella città, così diversa da quella nebbiosa Valle del Belbo – che pure incondizionatamente adoro – che abito e abitavo. Nelle notti che a Genova si andava a Teatro, capitava, fra un Concerto di De André e una complicatissima serata di Teatro d’avanguardia, che a malapena si capiva in che lingua parlassero, che una qualche compagnia proponesse Govi.

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Quel Govi da me scoperto pochissimo tempo prima, quando sulla nuova rete “culturale” Rai, la Terza, ne trasmettessero le commedie superstiti…quelle sfuggite alla pessima qualità dei nastri registrati, e ancora fra noi solo per il fortunoso salvataggio di quei nastri – che dovevano andare al macero – perpetuato da un semplice impiegato Rai. Scoperto con quel capolavoro straordinario che è, ma guarda un po’, I manezzi pe majâ na figgia (gli intrighi per maritare una figlia) di Niccolò Bacigalupo. Davanti alla TV del 1979 lo guardai la prima volta per mera curiosità…ma continuai a seguirlo con gioia, per il gusto di farmi risate genuine e ripetute: ma che bravo questo Govi, che bello questo recitare in dialetto Zenese, che simpatico quel piccolo mondo antico che ormai non esiste più (la commedia è del 1923, la registrazione televisiva del 1959), quella piccola borghesia, così simile alla nostra, ma anche così tipicamente genovese, sulle cui vicissitudini la compagnia di Govi faceva ridere e sorridere, ma sempre con tanta, tantissima tenerezza. E che bello era rivedere le commedie di Govi in teatro, gustare visi e sguardi e smorfie e sorrisi, così, da vicino, nel vivo del farsi teatrale. Che bello.

E dopo tanti anni, grazie a Patrizia Velardi e alla sua Rete-Teatri, ho avuto, lo scorso inverno, il piacere di rivedere Govi a Teatro. Nel teatro di Monastero Bormida, un Govi a me sconosciuto – non fa parte di quelli salvati fortunosamente di cui vi ho detto sopra, quindi la registrazione con lo stesso Govi protagonista è per sempre perduta -, dal titolo Articolo Quinto, testo di Ugo Palmerini. E ho ritrovato la stessa magia di quelle notti di Genova di tanti anni fa…e mi è tornata alla mente la splendida Poesia Litania, da Giorgio Caproni a Genova dedicata, che ho citato nel titolo di questo mio articolo: Genova sempre nuova…. Si, perché l’Arte di Govi riesce ad essere straordinariamente evocativa di quel mondo perduto per sempre, quella piccola borghesia genovese che raccontava la sua tranquilla esistenza fra livori e scontri interfamiliari, dove spesso la coppia madre+figlia ce la metteva tutta per rendere la vita difficile al cosiddetto Capo famiglia, che spesso di Capo non aveva proprio nulla, ma, anzi, subiva brontolando, ma senza mai vera furia, l’assenza affettiva e casalinga tanto della moglie quanto della figlia. Ho ritrovato tutto questo nel divertentissimo Articolo Quinto, lo scorso inverno, e a maggior ragione l’ho apprezzato senza remore nel rivedere  al Teatro all’aperto Giuseppe Verdi di Acqui Terme, pochi giorni fa,  I manezzi pe majâ na figgia, che quasi so a memoria, ma ripassare questa esilarante commedia in Teatro è sempre, sic et simpliciter, bellissimo.

 

Anche perché la compagnia LA TORRETTA di Savona – attiva dal 1980 – si è dimostrata assolutamente all’altezza della situazione. Mi è piaciuto molto, in primis, che Lorenzo Morena, regista e protagonista, non abbia minimamente cercato di imitare Govi, né nel travestimento scenico, né nella mimica del volto, né nelle movenze. Lorenzo Morena è stato semplicemente un grande attore in lingua genovese che ha interpretato, secondo la sua stessa figura, la sua propria mimica e il suo essere attore, una straordinaria commedia Zenese. E lo ha fatto benissimo. Ed è davvero nella parte di questo piccolo imprenditore, Steva – piccolo ma comunque abbastanza agiato – che lotta con le unghie e con i denti contro il disinteresse che in famiglia hanno per lui, con una moglie – Giggia, Simonetta Bottinelli, bravissima – che praticamente non fa null’altro che cercare un qualche modo per far maritare – ovviamente ad un buon partito – la figlia Metilde, Gloria Galli, del tutto all’altezza della situazione. Trascurato al punto tale che per pranzare deve andare in trattoria, ma che va in giro talmente mal vestito e mal calzato, che gli fanno l’elemosina se si siede un po’ su una panchina al sole…

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Sono davvero tantissime le scene che, benché io le sappia praticamente a memoria, e con me credo buona parte del pubblico, continuano a farci ridere e sorridere, tra l’esilarante Pumelo e gassetta , indimenticabile duetto fra Steva e Giggia, le sapide battute con la cameriera Colomba, una Gianna Marrone perfettamente nella parte, tanto fisicamente quanto nella qualità interpretativa…come quando, nel secondo atto, in Villa, dice di aver preparato eccome la limonata per gli ospiti che ballano in giardino, ma…senza limone e senza zucchero…e che c’è allora di pronto in quella limonata? Ma ovviamente…l’acqua!

Detto, doverosamente, che anche tutti i giovani, che non hanno, nella scrittura, particolari momenti di comicità, riservati quasi totalmente a Steva, Giggia e Colomba, sono stati comunque efficaci, con una nota di merito in più per il bravo Marco Ventura che interpreta Cesarino, il cugino primo di Metilde, che la vorrebbe in sposa e alla fine la ottiene (ma allora non si conoscevano i pericoli genetici nel matrimonio fra cugini di primo grado? Mah?), vorrei qui ricordare con affetto e un po’ di nostalgia, che nella commedia registrata dalla Rai, la parte di Cesarino la faceva un braissimo Gian Fabio Bosco, conosciuto come Gian della coppia comica Ric e Gian…chi ha la mia età ricorda certamente,  con piacere, la loro comicità popolare ma intelligente, e mai volgare.

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Una riflessione finale la vorrei proporre in merito a quanto è cambiata la società d’oggi rispetto a qual tempo, che abbastanza contiguo al nostro, eppure ci appare sostanzialmente lontanissimo. Una piccola borghesia dove le giovani donne vedevano nel loro futuro solo un matrimonio, il più possibile fortunato economicamente, quindi una vita da padrona di casa, con qualche persona di servizio da comandare, senza alcuna realizzazione professionale di alcun genere. Del resto non possiamo dimenticare che era un mondo dove le donne erano considerate cittadine di serie B, e non potevano neppure votare né candidarsi (la prima votazione alla quale parteciparono le donne ha dovuto attendere la fine della seconda guerra mondiale: era il 1946 quando finalmente poterono votare e essere candidate alle Elezioni Politiche). Ma allora perché queste commedie ci coinvolgono e ci piacciono tanto? Forse perché se quello che vediamo ed applaudiamo, se non fa parte della nostra contemporaneità, fa parte però del mondo dei nostri nonni, che bene ricordiamo, magari con una sorta di strana e tenerissima nostalgia. Forse seguendo le vicende di Govi, così argute e divertenti, torniamo per un paio d’ore ad immergerci in quella antica Genova piccolo borghese, ma davvero amatissima da tutti i piemontesi – compresi i nostri nonni – che l’hanno camminata e cercata: Genova da intravedere / mattoni, ghiaia, scogliere. / Genova grigia e celeste (…) Genova che mi struggi. / Intestini. Carruggi. / Genova e così sia, / mare in un’osteria. (Giorgio Caproni).

E termino, scusate ma è doveroso, con un sincero ringraziamento a Patrizia Velardi e Paolo La Farina, che con la loro Rete-Teatri, portano in queste valli piemontesi questa e molte altre proposte teatrali, con le benvenute riproposte di Govi – e mille altre.

 

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NB: mi scuso per la qualità delle foto, non molto buona. Purtroppo l’illuminazione diretta sugli attori e la mia attrezzatura fotografica insufficiente non mi hanno consentito di fare meglio.