La delicatezza di una favola, l’emozione del colore: Enrica Maravalle alla Galleria “Fuoco e Colore” di Canelli

Capita che una settimana fa, sabato 7 ottobre, io fossi a Canelli, alla Galleria “Fuoco e Colore”, in Corso Libertà 49, così piccola, così accogliente e piena di luce. Parte di quella straordinaria luminosità era dovuta a quattro opere della pittrice Enrica Maravalle. Già, perchè l’essere lì, a Canelli, lo scorso sabato, non capitava mica per caso: mi aveva appunto attirato lì Enrica, per un suo pomeriggio dove la sua Arte figurativa si sarebbe amalgamata ad un’Arte narrativa delicata e affascinante. Ci sono andato molto convinto, a Canelli…convinto che avrei avuto intanto il piacere di rivedere Enrica, di rivedere alcune delle sue coloratissime e splendide opere…e per una qualche sorpresa letteraria che non potevo sapere in anticipo.

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Ed eccomi lì, seduto a mezzo metro da Enrica, a sbirciare i suoi dipinti pieni di colori fantastici. E accanto a lei due bravi attori, Giange Pescarmona e Aldo Delaude, che leggono – un poco anche con Enrica medesima – una delicatissima favola di giocattoli – un cavalluccio di legno – e umani, dove si intersecano amore di bambini e generazioni che passano e tempi che cambiano e nuovo amore che infine si affaccia nel mondo del giocattolo, che, ormai convinto di essere giunto alla fine del tempo che gli spetta, per triste disinteresse dei tempi nuovi e diversi che ci trascinano nell’inesausta trasmutazione della realtà in qualcosa di sempre altro, invece ritrova la vita e la gioia di vivere, grazie all’amore d’artista di una coppia che, guarda caso, assomiglia proprio tanto a quella formata da Enrica e suo marito. Diventando oggetto si, ma soprattutto simbolo di un mondo e di una realtà – la realtà interiore, di Artista di Enrica.

Quel cavalluccio era lì, sia nella sua forma fisica, ormai attirata nel cerchio magico della vita di Enrica, rinnovato di nuovo amore per il passato che ha trascorso, forse a rintuzzare, con delicata persistenza, il ricordo struggente del nostro essere stati bambini, sia nel quadro che delicatamente  lo ritrae che nel racconto che altrettanto delicatamente ne rievoca, con letteraria e raffinata tenerezza, le vicende che si intersecano con le generazioni trascorse che in lui hanno trovato conforto, gioco, compagnia. Un racconto della stessa Enrica, deliziosamente ottocentesco – così l’ho definito a lei stessa – vibrante del colore azzurro della nostalgia, ma venato con il colore rosso vivo della speranza che si possa ritornare a credere nel futuro anche se si pensava che di futuro non ce n’era più, da vivere…

E ora cercate di immaginare, con me, il tenue ma coinvolgente incanto di tutto questo: la piccola e luminosa galleria, i quadri di Enrica che imponevano la loro bellezza, gli attori brevissimi in una lettura mai banale e molto partecipata…e noi ad ascoltare, il fiato come sospeso in un luogo che appariva come una bella parentesi di bellezza nel flusso della realtà cittadina di Canelli…nel flusso inesausto del mondo. Per questo tutto si è concluso in un clima di grande cordialità, fra sorrisi e scambio di contatti.

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E il cavalluccio…e io che tutto assorbivo e introitavo in me? Io sono un inguaribile appassionato di poesia, e rimuginavo fra ne e me versi antichi e stupendi, di Borges, che avevo già citato nell’articolo dedicato alla Mostra di Enrica proprio lì a Canelli, riflettendo sul nostro rapporto con gli oggetti che usiamo. Magari mi ritrovo solamente, perdonatemi, a ripetere in me sempre le stesse parole imparate a memoria tanto tempo fa…una poesia che termina così: Quante cose, atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi, ci servono come taciti schiavi, senza sguardo, stranamente segrete! Dureranno piú in là del nostro oblio; non sapranno mai che ce ne siamo andati.