Il cuore che pulsa nel cuore di Alessandria: la mostra di Fabio Gagliardi al Bio Café
Alessandria sabato mattina mostrava il suo volto peggiore: nebbiosa, fredda, inospitale. Passeggiare fra le sue vie era decisamente fastidioso. Pesino raggiungerla, la città, era diventato un compito decisamente antipatico. Ma a me non importava la nebbia il freddo la disdetta di un giorno di inverno. Mi interessava un cuore, anzi: svariati cuori che pulsano nel cuore di Alessandria. Quelli di Fabio Gagliardi. Che non sono solo cuori ma anche foto e anche poesie. Perché Fabio è un artista a tutto tondo che credo abbia come suo unico comun denominatore l’amore per Alessandria, ma anche per gli affetti del passato. Ma anche, e qui sono io a permettermi un’interpretazione non petita, si sente nella sua poetica un grande interesse per il mondo colorato e vivace degli anni ’70, prima che l’orrore di assurdi movimenti terroristici li trasformassero in anni di piombo.
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Lo deduco dal suo modo di esprimersi: I cuori trasmettono un fluire di energia, dice e scrive …è un linguaggio, quello dell’energia positiva, delle Positive Vibrations che è davvero molto anni ’70…quella parte non politicizzata (o almeno non troppo) che ha portato al raggiungimento di straordinarie vette estetiche, tanto nell’Arte quanto nella Musica o nella Poesia. Con molti artisti, in tutto il mondo, che si esprimevano, nella loro ricerca artistica, in un insieme di linguaggi diversi, da quello dell’Arte figurativa a quello della poesia…proprio come fa Fabio Gagliardi.
Che mi ha anche parlato, a suo tempo, di questo senso di predestinazione, per i suoi cuori…questo trovarne traccia nei luoghi che ha visitato, nei viaggi brevi oppure lunghi… a Parigi o anche semplicemente nella vicina Liguria…sempre con questo senso di predestinazione, come se i cuori cercassero lui…quanto c’è della cultura buddista in questo? Qualcosa di certo c’è. Sto interpretando troppo? Mi consigliereste di andarmi a rileggere I limiti dell’interpretazione di Umberto Eco?… va bene, se interpreto troppo, magari poi Fabio scriverà una lettera di protesta al giornale e mi farà litigare con il mio editore, ma tant’è: io interpreto così. Come un’Opera Aperta.
Anche perché ho anche l’idea che non esista, nella sua pittura, un’Opera definitiva, ma che tutto sia un work in progress, tutto sia preda delle fluttuazioni quantistiche della sua stessa creatività. Che gli fa rimodulare il suo pensiero e le sue stesse opere. Che modifica, re-inventa, scambia e sostituisce…a volte radicalmente. Infatti durante il suo discorso di presentazione, mi ha molto colpito una frase assai significativa, peraltro espressa mentre guardava un suo collega e con lui sorrideva ed annuiva: Le opere sono finite quando lo decidiamo noi… Quando sono esposte non sono nostre… Tornano nostre quando le riportiamo a casa e possiamo decidere di cambiare tutto… E allora? L’infinito lavoro in movimento su un’opera informale circoscritta da un cuore? Che poi informale sino ad un certo punto, perché Fabio a pendere quadro per quadro, di spiegazioni ne ha, eccome: tutto ha un senso e tutto è senso. Che sia impressione, emozione o memoria. Che prendono vita e si sviluppano con una grande vitalità, forse poco evidente se pensiamo all’Arte contemporanea. Ma comunque intrigante per ciò che si percepisce come curiosi fruitori di quell’arte, appunto, tanto sfuggente quanto affascinante. Ma anche come la poesia con la quale popola a volte i sui olii su tela.
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Del resto io Fabio l’ho conosciuto ad un reading di poesia, a Casal Cermelli, la scorsa estate…che poi non era solo quello, c’era anche musica, molto bella, di stile seicentesco, e poi due giovani cantanti. Uno strano insieme, con un po’ di letture poetiche. Io pure mi sono permesso una lettura, non di poesia, ci mancherebbe, ma una riflessione sul V° Canto dell’Inferno dantesco, una riflessione su Paolo e Francesca e quei sublimi versi. Che è piaciuta ed è stata applaudita. E mi ha portato la cordiale amicizia di Fabio, organizzatore, con altri, della serata. Non molto tempo dopo sono andato a Castellazzo, dove c’era un’esposizione di quadri di diversi artisti. Fra cui Fabio Gagliardi. Abbiamo parlato un po’ della sua estetica, dove convivono una limpida urgenza di poesia – una poesia sì contemporanea ma non chiusa nel recinto dell’accademia, anzi, piena di informale libertà, una voglia di fotografare per trovare suggestioni spesso metafisiche, e quella sua pittura dove tutto e tutti stavano dentro o intorno ai sui cuori.
Ed eccoci arrivati all’odierna mostra al Bio Cafè. Per la sua personale proposta in collaborazione con Libera Mente – Laboratorio di Idee. Dove ho avuto il piacere di conoscere di persona una donna straordinariamente appassionata, ma anche strenua organizzatrice di cose d’Arte, Francesca Parrilla. E alla quale sono andato accompagnato da una persona che Fabio ha molto apprezzato: Donatella Giordano. Che non solo è una mia collaboratrice nell’Alta Langa (che ha ottimamente collaborato con me in diversi articoli dedicati a quel territorio) ma che ha la passione e le capacità di uno strano mestiere artistico: la connettivista. Ovvero cerca, vede e scopre connessioni fra diverse persone e diverse sensibilità, e le propone a chi ha di fronte. Connessioni che possono poi avere ottimi risvolti estetici e collaborativi, oppure no. Non importa, lei le vede, queste connessioni e le stimola. E lo fa con appassionata attenzione e grande coinvolgimento. E così ha fatto anche l’altro ieri al Bio Café, con molto stupore da parte di Fabio (io ci sono abituato) per la sua notevole energia e per aver subito individuato una qualche connessione con una persona che si occupa d’Arte. Abbiamo così, anche per questo, partecipato al vernissage con una bella energia positiva, dovuta a questo incrocio di empatiche emozioni. Compresa la mia curiosità di giornalista, ovviamente.
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Ci sono le foto, davvero notevoli. Che si tratti di un riflesso di una piazza su un’automobile o di un orologio luminoso, c’è nelle foto di Fabio una vera e propria urgenza metafisica che le fa vibrare di un tempo sospeso, fatto di attese non ben esprimibili – e men che meno esprimibili a parole – che colpiscono. Anche in un ambiente rumoroso come quello di un vernissage, con un Fabio felice ed emozionato, che ha fatto poi un discorso un po’ riepilogativo in merito alle sue vicende – e alle sue aspettative – artistiche.
E poi i suoi Cuori. Cuori con parole, cuori anche con il pennello dentro il quadro. Forse ambizione materica di qualcosa che va oltre alla pittura, forse il pennello come promessa che la sua ricerca artistica non si concluderà e, anzi, cercherà strade e stradine di sempre maggiore pregnanza e delicata espressività. Perché, alla fine, nei suoi cuori così colorati, così espressivi anche su uno sfondo en blanc et noir, io vedo una tenerezza senza confini, persino senza pudore. Come un invito ad esplorare il suo cuore di artista, i suoi mille cuori di artista, sfaccettature della sensibilità della sua anima di poeta e così appassionata d’Arte.
I suoi cuori pulsanti nel cuore di Alessandria.