L’ineffabile e dolce malinconia di un’arpa e di un violino: Michela Maggiolo ed Alessandra Sacchi in concerto ad Oviglio.
Chiunque entri nel Salone del Consiglio Comunale di Oviglio non può che rimanere senza fiato. La sensazione è di entrare in uno spicchio di Storia dell’800, si tende ad immaginare un’epoca di baffi assai importanti, di Regi Decreti e di conversazioni sostenute. Ma il calore delle fotografie, appese sui muri laterali, di una Oviglio della prima metà del ‘900, delle decorazioni e dei colori un po’ di tutto l’ambiente, danno, invece che un senso di estraneità, un senso di appartenenza. Almeno a me capita così: queste sono le mie radici, questa è la mia casa – penso tutte le volte che ci entro, per un incontro, per la presentazione di un libro, oppure, come domenica scorsa, per un concerto.
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Un concerto davvero notevole, dove veramente le due splendide musiciste, Michela Maggiolo all’arpa e Alessandra Sacchi al Violino, hanno costruito per noi un’atmosfera di indefinibile e dolce malinconia, per nulla drammatica, anzi, ma molto rilassante e serena. Poco più di un’ora di musica che ci ha accompagnati dalla luce un po’ smunta di un pomeriggio invernale sino al tramonto e poi al calar della notte, davvero come se il trascolorare della luce fosse fedelmente agganciato alle trasmutazioni melodiche e armoniche delle musiche proposte. Una suggestione – forse solo una mia fantasia – dalla ineffabile quanto sorridente bellezza. Perché ogni volta che ho sentito arpa e violino conversare fra loro ho pensato: non suonano semplicemente, no: cantano tra loro.
Inoltre, tanto nelle presentazioni dei vari brani (non c’era un programma di sala scritto, ma il susseguirsi dei vari pezzi era introdotto da loro stesse), quanto nell’interplay delle due musiciste, c’era un insieme di sorrisi, piccole battute e brevi conversazioni, anche con il pubblico, che hanno costruito un ambiente di grande simpatia e cordialità. Che era sì in contrasto, a mio avviso, con la malinconia delle musiche proposte, ma che era un ottimo viatico per apprezzare il tutto, nel suo insieme di simpatia umana e di bellezza musicale. Anche il sempre attento e sorridente confronto fra le due ed Ivana Zincone, la Direttrice artistica del Concerto, sorridente anch’essa e giustamente soddisfatta della qualità e del successo di pubblico di quello che veniva suonato.
E, appunto, veniamo appunto a quel che veniva suonato. In un’alternanza fra brani originali per Violino ed Arpa e trascrizioni – queste ultime decisamente preponderanti – il concerto non ha avuto un solo attimo di stanchezza o, peggio, di noia. Anzi. La scelta di proporre brani tutti piuttosto brevi, nonché di grande bellezza melodica, si è rivelata assolutamente vincente. E poi la sapiente alternanza di pezzi poco o punto famosi, con trascrizioni e proposte di altri assolutamente celeberrimi, si è rivelata anch’essa una carta decisamente vincente. In questo modo si seguiva il concerto con la curiosità di nuove scoperte musicali, ma anche, contemporaneamente, con la certezza di un ascolto molto appagato dalle pagine che tutti avremmo potuto tranquillamente canticchiare.
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Hanno iniziato splendidamente, con l’assai conosciuto Ennio Morricone, con la proposta delle trascrizioni di due celeberrimi temi tratti da Mission e da C’era una volta in America … e subito si è creata quella delicata atmosfera che ho citato nel titolo: un’ineffabile e dolce malinconia. Perché per quanto uno li abbia assai ascoltati, questi brani portano con sé un fascino davvero inarrivabile. Per passare poi a brani originali per violino e arpa, a questo sono seguiti Due Preludi Intimi, di Marcel Tournier. Due brani di bellezza notevole, lenti ed avvolgenti, che non solo hanno continuato a lasciarci nella stessa atmosfera sognante generata dalle musiche di Ennio Morricone, ma ci hanno anche intrigato per la proposta decisamente nuova e inusuale. Marcel Tournier (1879 – 1951) è stato un compositore francese, virtuoso d’arpa, che ha ampliato il repertorio del suo strumento, migliorandone le possibilità tecniche e armoniche. Lo si sente bene, all’ascolto, perché l’armonia effusa nei due splendidi brani – appunto originali per la coppia strumentale – è assai intrigante.
A questo notevole primo gruppo di brani, si sono susseguiti appunto, splendidi e celeberrimi pezzi del repertorio romantico e lirico, come la meravigliosa Méditation di Massenet. La Méditation è in realtà un intermezzo sinfonico dall’opera Thaïs (1894), del compositore francese Jules Massenet. Il pezzo è stato quindi in realtà scritto per violino solista e orchestra. Ma la trascrizione per questa compagine è tutt’altro da disprezzare, perché se si perdono i tanti colori orchestrali, si accentua la grande intimità del brano, che diventa veramente un gioiello cameristico. Lo stesso in qualche modo accade anche con un altro celeberrimo brano operistico: l’Intermezzo dalla Cavalleria Rusticana di Mascagni. Beh qui siamo davvero nel nazional-popolare, no? Brano usato come colonna sonora per i matrimoni e sfruttatissimo dalla pubblicità. Stucchevole, allora? No, perché la versione che propongono è lenta, tenue, affettuosa. Una delizia fatta di nulla. Mica male l’intelligenza musicali delle due, mi dico, con sincera ammirazione.
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Ed eccoci ad un altro brano originale, ancorché scritto da un grandissimo operista: Gaetano Donizetti. Si è trattato di una deliziosa Sonata per violino e arpa, dove la vocazione al canto lirico, sostenuto da una semplice ma piacevole armonizzazione, è palese ed evidente – e per me, che amo molto Donizetti, autore di Opere davvero straordinarie, come la drammatica Lucia di Lammermoor o il sorridente Elisir d’amore, assai appagante all’ascolto, rilassato e rilassante, per musiche magari poco conosciute, ma certamente deliziose.
Prima di un trio di bis, che hanno ripreso brani del concerto, continuando a mantenere quell’atmosfera che vi ho descritto, ci hanno proposto la Csárdás, che è la composizione più famosa di Vittorio Monti. Si tratta di una sorta di breve rapsodia, scritta nel 1904, basata sulla celeberrima danza popolare ungherese. Composta originariamente per violino (ma volendo anche mandolino) e pianoforte, è stata magistralmente interpretata dalle due, che ne propongono una versione per nulla aggressiva, che bene si è amalgamata con il resto dei brani proposti nello splendido concerto. E tra l’altro l’arpista ha scherzato con Ivana Zincone, che è pianista, su questo fatto delle numerose trascrizioni da un ben più importante pianoforte…ma anche sul fatto che sul pavimento incerato l’arpa se ne scivolasse in avanti lasciando all’arpista l’onere di recuperarla!
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E poi molti applausi. Davvero convinti, davvero meritati, per un concerto raffinato ed elegante, che ci ha accompagnati, nel caldo ed accogliente ambiente del Salone Consiliare ovigliese, attraverso le molte strade di una dolce, sorridente ed ineffabile malinconia. Ed è stato bello tornare verso casa, conversando con alcuni amici, che erano anch’essi presenti, sentendo ancora nelle orecchie l’ineffabile tenerezza di un concerto per un Violino e un’Arpa, e negli occhi i bellissimi sorrisi che le due musiciste hanno profuso per noi.