In equilibrio tra terre vicine e lontane

Sempre, quando si tratta del Monferrato, l’avverbio di modo è “sempre” perché sempre colgo l’occasione per estraniarmi dalla realtà e sprofondare nei colori e nei suoni della natura. E’ diventata un’esigenza fisica, indossare scarpe da trekking e inoltrarmi tra i sentieri che serpeggiano in Monferrato, ma soprattutto mentale, posare lo sguardo sul soffice manto verde delle colline, penetrare l’anima di un bosco e carpirne i segreti.
Il senso delle proporzioni a cui sono normalmente abituata si capovolge: è la natura a trionfare sul cemento. E la Val Cerrina in quanto a verde batte di gran lunga l’intero Monferrato.
Intricata, selvaggia, a prima vista inospitale, ha una ricchezza intrinseca che si svela solo a chi è disposto a infangarsi le scarpe e a macinare chilometri a piedi, tra i saliscendi che si deve per forza assecondare.  Eppure, fatica e sudore sono ampiamente ripagati dalla bellezza del paesaggio che sbuca all’improvviso tra le redole dei boschi e si lascia immortalare. Un grumo di case, un campanile e una chiesa: un borgo su cui si avvita rigogliosa e selvatica la vegetazione, così piccino da sembrare un nido di uccelli.
Ancora qualche passo e scompare ed è ancora bosco, ma stavolta un bosco fiorito. Un prato che corre in piano su un sentiero in discesa, punteggiato da miriadi di fiori, piccoli bottoni di mille colori. Li intravedo un istante, ma quel tanto che basta per riempirmi gli occhi di straordinaria bellezza. Non faccio a tempo a meravigliarmi che uno sciame di orchidee si staglia tra i fili d’erba di una conca assolata. E’ un vezzo della natura ricamare con le sue mani ogni spazio verde, ogni riva, ogni versante in cui la luce trapela.  Turgidi grappoli viola si protendono al cielo, vanitosi della loro bellezza, effimeri come la gioventù che non sa di dover presto sfiorire .  Percorro ancora sentieri tra rovi di rose canine e cigli fioriti di stellate calendule, tra erbe a cui non so dare un nome per poi scoprirne le proprietà e i loro impieghi, tra caprifogli e tulipani dal turbante screziato che si dipanano fitti nel sottobosco: custodi dell’inviolabilità del luogo. Perché qui nulla si estirpa, nulla si coglie che non sia una fotografia.
E ancora cammino sul sentiero angusto, in equilibrio sul crinale, come un funambolo in bilico sulla corda sospesa nel vuoto. Fiancheggio altre cime a cui tendo le braccia. Ne sfioro i profili in prospettiva, prima che il sentiero diventi ancora bosco.  E là, spersa in una radura di orchidee dalla foggia identica ne sbuca una fuori dal coro: improbabile ma nemmeno tanto impossibile. Una simile vista costituisce uno stimolo per i ricordi che subito si accendono, le distanze si cancellano e in equilibrio tra Monferrato e Oriente ripenso a foreste tropicali bagnate da una pioggia calda e costante dove nascono e crescono, aggrappate ai rami degli alberi, calici di orchidee dalle aggrovigliate radici.
“Di questo passo non mi stupirei di trovare anche la pianta del caffè” penso ad alta voce. A dire il vero l’ho trovata non in forma fisica ma in un viaggio immaginario che mi ha portato fino in Brasile, attraverso la voce narrante di Loredana, incontrata sullo stesso sentiero  e la sua bottega del caffè. Non facciamo che parlare del suo lavoro diventato con il tempo una forte passione. Il suo narrare mi resta appiccicato addosso, mi fa migrare in terre lontane e mentre camminiamo con lo sguardo rivolto al panorama su cui si estendono ordinati  filari di vite, tale è la suggestione dei suoi racconti, che gli stessi mutano in ordinati filari di arabica. Si sprigiona nell’aria una sostanza caramellosa, un vago profumo di cioccolato e di note agrumate che si fondono ai profumi del bosco monferrino e alle sue fioriture spontanee.  Effluvi che non disperdono il loro potere ammaliante nemmeno quando affrontiamo l’ultimo declivio, gli ultimi passi, quando davanti a noi appare come una cartolina il borgo arroccato di Villadeati e il suo castello.

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