Diario di una splendida presentazione nel cuore del Monferrato: a S. Giorgio Elena Rausa e il suo “Le invisibili”.

Sono diventato per una volta, cosa che peraltro mi intriga molto, un presentatore su commissione. Mi spiego meglio: io tengo personalmente una rassegna di libri al mio paese (Oviglio) e di norma presento in altre località solo libri di amiche o amici. E comunque libri che conosco bene. In questo caso è stata invece la Dott.ssa Sabina Malgora, importante egittologa specializzata in studi sulle…mummie… che, dopo aver ascoltato il mio modo di presentare il GM Griffi (Ferrovie del Messico) a Casale Monferrato, mi ha contattato per chiedermi di presentare, alla Biblioteca Civica di quello splendido luogo che vive nel cuore del Monferrato casalese, San Giorgio, il libro di una sua cara e vecchia amica, Elena Rausa, appunto, dal titolo – enigmatico – Le Invisibili (Neri Pozza, 2023). Io confesso di non aver mai letto nulla di Elena Rausa, poi un’amica…mah?… ero perplesso, lo ammetto. Ma Sabina mi ha donato una copia del romanzo. Ho letto i primissimi capitoli, e ne sono rimasto incantato. Prima di tutto per lo stile. Che è potente, coinvolgente, evocativo e appassionato. Poi per la capacità straordinaria di Elena Rausa di rendere indimenticabili tutti i personaggi, dando l’idea della loro presenza nel libro molto di più di quello che effettivamente accade, a livello temporale. Quindi non solo i principali, ma anche i personaggi minori sono caratterizzati magistralmente e risultano decisamente memorabili.

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Così ho letto con grande partecipazione e coinvolgimento il romanzo, che peraltro è corredato da note storiche puntuali e chiarissime, che mi ha afferrato e trascinato nel vortice di potenti emozioni e di personaggi indimenticabili. Poi, a romanzo letto e metabolizzato – con molti appunti di riflessioni e curiosità in mano – ho avuto la fortuna di poter conoscere un po’ di più l’autrice, Elena Rausa. Sono andato a prenderla fuori dalla stazione di Vercelli, e sembravo un maggiordomo con tanto di paracqua perché cadeva una pioggia gentile, e ho scoperto una persona davvero speciale. In auto verso San Giorgio, avevo intenzione di farle domande sul suo testo, su queste Invisibili che mi erano piaciute così tanto. E invece abbiamo intavolato una piacevolissima conversazione, con Elena che un po’ mi narrava del suo primo romanzo e delle difficoltà della sua pubblicazione, un po’ si parlava del librone di Gian Marco Griffi Ferrovie del Messico, e un po’ di letture e gusti letterari. Un beve viaggio che dalle umide contrade vercellesi ci ha portato al sole e al vento di San Giorgio. Più che due che devono presentare un libro, sembravamo due svagati viaggiatori in Monferrato…Elena che mi faceva domande su domande su quelle colline e io che volentieri rispondevo dimostrandole facilmente tutto l’amore che ho per quei luoghi. Ad un certo punto ci siamo guardati e ci siamo detti che forse sarebbe stato meglio salire in biblioteca, no? Sennò che siamo lì a fare?

E con tutto quel tempo che abbiamo avuto a disposizione, alla fine diciamo giusto due parole prima di iniziare…intanto la sala si è riempita e devo dire che il colpo d’occhio era ottimo. Sabina era talmente emozionata di poter avere lì la sua amica Elena che si è dimenticata persino di chiamare il sindaco per dire due parole…ma lui, che mica si è offeso, dopo mi dice: Mah, io aspettavo mi chiamasse, ma non lo ha fatto…meglio ancora! E poi, via, a parlare del libro. Io ne leggo brani intensi e dallo stile bellissimo, trascinante…e mi emoziono molto…poi domando ad Elena notizie su quello che ci ha raccontato, e lei risponde punto a punto con ineffabile serenità. È un gioco letterario fra chi il libro lo ha letto e chi lo acquisterà – e sono stati parecchi – spinto dalla curiosità della nostra presentazione. E allora proviamo non a spiegare, ma ad evocare un romanzo che è sentimenti e storia e orrore e nostalgia d’amore, ma anche speranza per il futuro. Che parte da una guerra troppo dimenticata, quella di Abissinia, tra massacri e violenze. E qui Elena mette in scena tutta una serie di personaggi scolpiti nella pietra ma duttili come acqua, che rimarranno impressi nella mente di chi legge. Primi fantasmi: Vittorio ed Ekelé, si intitola il primo capitolo. Vittorio che arriva dall’Italia, Ekelé, nera, ancora bambina, brutalmente stuprata da un militare italiano, che paga la sua violenza con un tributo di sangue che bagna la terra, quasi un sacrificio umano che consenta all’Africa di ricattare sé stessa. Stupendo come Elena Rausa descrive la scena, con uno stile ritmato e travolgente, che sembra essere guidato dal poliritmico rullare dei tamburi d’africa, in una sorta di scena corrusca che ricorda Shakespeare: Elvio Zanetti nel frattempo si era tirato in piedi e già tornava a raccogliere la cintura rimasta a terra. Allora gli riuscì di distinguere meglio la figura rannicchiata: Ekelé, addossata a un masso, si premeva le nocche sulla faccia. Era suo il pianto che aveva scambiato per il verso di un animale. Il suo corpo nudo era accartocciato in una posa stretta, contorta come quella del cadavere di suo padre…(…) E poi? Poi … Notò accanto al piede destro una pietra di media grandezza, frastagliata e appuntita, la raccolse, la soppesò con entrambe le mani, quindi si lanciò sull’uomo che incautamente gli dava le spalle. Per la sorpresa, prima che per il colpo che lo raggiunse alla nuca, Zanetti cadde senza nessuna resistenza, quasi che a farlo crollare non fosse stato l’impeto di Vittorio, ma una gravità sua, materiale, che per esprimersi domandava soltanto una scusa. Nel fotogramma successivo Vittorio si rivede a cavalcioni sul dorso dell’altro, in un accanimento di colpi che il ricordo vuole infiniti e certamente sproporzionati all’intento. Vedete che modo straordinariamente evocativo, che ritmo incalzante, che stile perfetto per la situazione? Questo libro è così.

Non posso andare molto oltre perché il tempo di un articolo è tiranno, ma vi debbo parlare di alcune figure magnifiche del romanzo, come Tobia e Arturo. Arturo che discende dal Vittorio protagonista di quella scena crudele e magnifica…rappresenta il sogno di una donna che è anche il sogno d’Africa di un passato lontano. Lui è cieco di una strana cecità, ma vede soltanto – occhio della mente, occhio della memoria – una donna d’Africa: Lilit. La descrive così…e io ho letto questo brano commuovendomi un po’: Arturo ascolta e respira profondamente. Alla sua sinistra, sulla solita poltrona, Lilit, la sua Lilit, dorme con le labbra socchiuse e la testa reclinata sulla spalliera. Come sempre trattiene il fiato, incantato dalla sua presenza. Infine appoggia a sua volta la testa sui cuscini del divano e, avvolto da un blues tristissimo, si lascia vincere dal sonno. Bellissimo. E poi c’è la giovinezza di Tobia. Splendida metafora di questo tempo sbandato, di un giovane che fa danni e sta ai servizi sociali…e diventa amico di Arturo. Ma è anche un giovane dall’esplosiva creatività che crea una composizione multimediale dal suggestivo titolo Dream Blue…omaggio a Sara con la quale inizia una dolcissima storia d’amore e creatività. Credo che Elena Rausa abbia voluto donarci, con il personaggio di Tobia (ma anche, accanto, quello di Sara), una potente metafora della concreta speranza per il futuro, per il futuro dove ci condurranno i giovani come Sara e Tobia.

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Beh, ma potrei andare avanti così per molto tempo, perché il romanzo va e viene dal nostro tempo all’Africa, e ci narra la crudeltà di una guerra di occupazione, e ci narra di figure femminili invisibili, ma piene di grazia e tenerezza, come Fatima, Lilit, Ekelé, ma anche Agata, la mamma di Tobia, ciascuna caratterizzata, nella splendida e coinvolgente scrittura di Elena Rausa, da tratti di personalità unica e irripetibile…ed io in questo articolo, esattamente come ho fatto per la presentazione, ho cercato non di raccontare, ma di evocare un libro davvero notevole, che caldamente consiglio per una lettura attenta e indimenticabile.

E poi? E poi la presentazione è finita, si va a cena, scoppia un furioso temporale fra le colline del Monferrato, che dentro al ristorante sembra di essere in guerra, tuoni violentissimi fuori e infinita cordialità dentro il locale. Ci si saluta con accorata emozione. Poi torno a casa sulla strada sotto la pioggia che passa tra le colline, sino a Fubine e poi a Felizzano. Ascolto Bach e penso che sì, è stata davvero una giornata indimenticabile…e penso che, sì, la Grande Bellezza forse è tutta qua.

 

 

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