Tra scienza, religione e carità: la singolare figura di Francesco Faà Di Bruno, celebrato nel suo paese, e la sfolgorante bellezza del suo castello.
Ebbene, mi tocca ammettere la mia ignoranza. Perché non conoscevo affatto questa importante e direi unica figura di uomo che ha osato applicarsi a discipline così diverse, facendo tutto con cognizione di causa, passione e genuino entusiasmo. Mi tocca anche ammettere che a Bruno, ieri pomeriggio, ci sono andato con diffidenza. Si: interessante la visita al castello, d’accordo, ma chissà che noia alla presentazione dell’epistolario di un religioso dell’800. Sbagliavo, ma ci sono abituato, mi capita spesso. Perché in verità se la visita al Castello mi ha elevato moltissimo, mi ha affascinato ed intrigato, tanto che ho chiesto al Marchese una visita più personalizzata, che mi ha generosamente concesso – e che nelle prossime settimane effettuerò – la conoscenza di quella singolare figura che è stata il Beato Francesco Faà di Bruno mi ha letteralmente folgorato.
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Ma mi preme esprimere innanzi tutto la mia gande ammirazione – e simpatia – per il gruppo Alpini di Bruno, ieri coordinati dal Vice Presidente de I Marchesi del Monferrato, Angelo Soave, che non solo ha fatto una intrigante introduzione al pomeriggio, ma è stato ottima guida dentro il Castello (le altre due guide erano il Marchese stesso e suo fratello!) e ha organizzato il tutto – grazie agli Alpini, certo – in maniera davvero impeccabile.
Partiamo dal Castello. Che d’estate è abitato della famiglia del Marchese, quindi normalmente non visitabile. Ma che ieri, in via del tutto eccezionale, appunto in occasione del convegno sul beato Francesco, è stato possibile visitare con le illustri guide che ho detto. Si tratta di una vera fortificazione medievale, un Castello arcigno e turrito…ma poi ingentilito da una veranda del ‘700, che certo non si amalgama con il resto, ma ha a sua volta una fascinazione molto british…pare di vedere alle finestre dei gentiluomini che si appresso ad iniziare una caccia alla volpe (o magari ai lupi che un tempo molto popolavano i luoghi).
Ma quello che mia ha colpito profondamente – me e le tante persone presenti, così tante che si è dovuto dividerle in tre gruppi distinti, che si sono poi mischiati generando non poca confusione – è stato soprattutto un interno che è sic et simpliciter una vertigine di bellezza. Una quadreria affascinante e tante stanze affrescate, per non parlare dei mobili, dei salotti, delle suppellettili tutte. Si sente, al di la dell’impatto ammirato, che è un Castello vivo, amato molto e ottimamente abitato. Visto che il Marchese ha accettato di farmelo visitare praticamente in un tour privato, ve ne parlerò più in dettaglio in un successivo articolo.
E ora andiamo al Convegno, tenuto nella bella Chiesa Parrocchiale di Bruno. Un convegno di alto livello davvero, con un quartetto di relatrici notevolissimo. E più andavano avanti gli interventi e più trasecolavo, per ammirazione e fascinazione di una figura incredibilmente moderna e assolutamente geniale. Da parte di un uomo nato ad Alessandria nel 1825 (morto nel 1888). Potrei tirare fuori moltissimi esempi. Anche davvero singolari. Perché lui di cose ne ha fatte davvero tante. Partecipa alle prime due rovinose guerre di indipendenza risorgimentali, Ufficiale a fianco del Re. Si accorge ad un certo punto che uno dei problemi del raffazzonato esercito sabaudo è l’assenza di conoscenza del territorio…così lui lo percorre in lungo e in largo e ne disegna una serie di mappe splendidamente dettagliate, tra le quali la Gran carta del Mincio, che fu molto utile ai piemontesi durante la seconda guerra di indipendenza nel 1859, contribuendo alla vittoria nella battaglia di Solferino e San Martino.
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Uno sguardo lungimirante e strategico niente male, no? Ma la sua pietas viene fuori proprio dal suo epistolario, quando in una lettera scrive alla sorella che la stragrande maggioranza dei soldati non è credente e potrebbe morire senza i necessari conforti religiosi…Pregate per me, che se dovessi morire…scrive al padre e alla sorella. E quando, alla Bicocca di Novara il novello Re Vittorio Emanuele II attendeva che il suo ex maestro di strategia d’armi, il Maresciallo Radetzky (si quello della marcia del Concerto di Capodanno, massacratore di italiani e non solo) lo ricevesse dopo averlo fatto aspettare un bel po’, Francesco stava ferito in un ospedale da campo.
Ma poi, stanco di guerra, va a studiare a Parigi. Anche se nel frattempo – ha 28 anni – compone musica per le Sacre Lodi …per il conforto spirituale. Si inventa una scuola di canto, e poi la lascia per l’avventura scientifica a Parigi. In due anni ottiene la laurea in scienze matematiche e astronomiche. Ma c’è una vicenda che la dice lunga sulla coerenza del personaggio. Perché Francesco conseguì una prima licenza in scienze matematiche nel 1851. Un ufficiale lo aveva offeso, asserendo in pubblico che non fosse in grado di ottenere una laurea, invece di una semplice licenza. Il duello sembrava indispensabile. Ma lui lo rifiutò – ed era un combattente con tanto di medaglia al valore! – per essere coerente con la sua fede cattolica: ma appunto con la successiva laure in scienze matematiche e astronomiche, vinse così, a modo suo, il suo sfidante a duello.
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E poi mica si accontentò di aver preso una laurea: nel 1859 pubblicò a Parigi, in francese, la Théorie générale de l’élimination, in cui viene esposta la formula, che da lui prende il nome, della derivata n-esima di una funzione composta. La sua fama in matematica è però legato soprattutto al trattato sulla teoria delle forme binarie. Mentre la relatrice di turno ci raccontava queste cose, io letteralmente trasecolavo. Un uomo di una modernità incredibile, geniale e straordinariamente coerente con le sue idee religiose. Merce rara allora e oggi incredibile.
E poi, naturalmente – non si diventa Beati sennò – c’è la sua immensa religiosità. Che gli fa costruire campanili, come quello da lui progettato per la chiesa di Nostra Signora del Suffragio e Santa Zita. Ma che soprattutto gli impone di dedicarsi alle opere sociali. Mi ha molto colpito il fatto che abbia costruito e gestito molte strutture dove dare asilo a donne con problemi di ogni genere, ma dove, con grandissima modernità, era di fatto il loro stesso lavoro a consentire loro un sostentamento, e in una parola, a renderle libere.
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Mi fermo qui perché questo è un articolo e non una biografia di Francesco Faà Di Bruno. Il cui epistolario, in due volumi, che ci fa rivivere una vita e soprattutto un pensiero, complesso e molto affascinante, è stato curato da Suor Carla Gallinaro. Ma è giusto menzionare le tre relatrici laiche, davvero bravissime, che ci hanno narrato le varie sfaccettature della vita e dell’opera di Francesco: Rosanna Roccia, Anna Rizzo e Livia Giacardi. Mi hanno fatto conoscere un uomo ammirabile, che ha saputo affrontare con una incredibile coerenza di fede una vita immensamente complessa e sfaccettata, e di questo le ringrazio infinitamente.
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