Una piccola, ma deliziosa, mostra dedicata a Pietro Morando, all’enoteca del Monferrato di Ovada
L’altro ieri, ad Ovada, nei bellissimi locali (sotterranei) dell’Enoteca del Monferrato, un doppio appuntamento culturale. Nella prima parte, la presentazione dell’ultimo romanzo di Bruno Morchio La badante e il professore, con una presentatrice d’eccezione, Raffaella Romagnolo, e, subito dopo, l’inaugurazione di una piccola, ma deliziosa, mostra dedicata ad un Artista alessandrino, che io amo moltissimo: Pietro Morando, organizzata e presentata da Rino Tacchella. Caspita! Amo i romanzi di Bruno Morchio e di Raffaella Romagnolo, sono cresciuto con negli occhi il tocco spigoloso e scabro di Pietro Morando, che amo da sempre, e Rino Tacchella è uno strenuo e ottimo organizzatore di eventi artistici, dal quale vi ho parlato in diverse occasioni, come in merito alla mostra dedicata a Mirò da lui organizzata a Cherasco: come poter mancare ad un doppio avvenimento del genere? Della presentazione del Giallo di Bruno Morchio (con annessa recensione dello stesso) vi parlerò in un prossimo articolo. In questo vorrei parlarvi di Pietro Morando. E naturalmente della appassionata presentazione di Rino Tacchella, che ha espresso a sua volta, con efficace coinvolgimento, tutto il suo amore per Morando, da me ampiamente condiviso.
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Pietro Morando è vissuto davvero molto a lungo, essendo nato ad Alessandria nel 1889, e morto (sempre ad Alessandria) nel 1980. Ha prodotto una immensa quantità di opere, fra tele e un’infinità di disegni. Rino Tacchella, nel 2022, aveva realizzato, con Cinzia Tesio, a Cherasco, una grande dedicata a Pietro Morando, dal titolo assai esplicativo: Dal segno al racconto. Nella mostra erano esposte circa novanta opere, con l’intento di ripercorrere l’intero itinerario pittorico dell’artista, partendo dagli anni della sua formazione per arrivare al dopoguerra, quando Morando individua una sigla espressiva personale e riconoscibile, che è quel tratto spigoloso, fatto di figure che paiono tagliate con l’accetta, che è il suo segno assolutamente riconoscibile, che, come ha giustamente detto Rino Tacchella: in qualsiasi sala di musei voi entriate, se c’è un Morando, lo si riconosce immediatamente! Questa mostra di Ovada, che ha per titolo D. & D. – Dipinti & Disegni, è un po’ in piccolo una sorta di estrema sintesi di quella di Cherasco: infatti anche qui si ripercorre un po’ il suo cammino artistico, che è stato davvero ampio e profondo, come ci ha spiegato Rino Tacchella nella sua introduzione e poi nella visita alla mostra. Perché Pietro Morando, prima di giungere al segno che lo contraddistingue, è passato da una prima fase tardo-divisionistica, ad esperienze naturalistiche, ma poi anche primitiviste e puriste, per giungere ad influenze di Sironi e Picasso…solo dopo questo lungo percorso artistico, ma a mio avviso anche esistenziale, è poi giunto allo stile – a mio avviso straordinario – che lo contraddistingue.
Lui poi ha avuto la fortuna di conoscere direttamente Morando, di frequentarlo…ci ha narrato nella sua introduzione di come l’artista avesse una sorta di frenesia del disegno, che si esprimeva in ogni dove, e su qualsiasi cosa, da un foglio qualsiasi ad, addirittura, uno scontrino del bar. Una creatività inesauribile! Io sono letteralmente cresciuto fra i suoi disegni, e me ne sono innamorato, per quella scabra visione della realtà e della vita, così vicina alle vicende del mondo contadino da cui provengo (con felice orgoglio) fatto di solitudine e lavoro. Frequentavo, ancora ragazzino e poi per tanti anni, un carissimo amico, la cui nonna possedeva una locanda (vitto e alloggio) davvero d’altri tempi. E sulle pareti c’erano un sacco di disegni, semplicemente incorniciati, di Pietro Morando. E se le prime volte che li vedevo, sentivo quasi con un senso di oppressione quei tratti così nudi e scabri, ho poi lentamente iniziato ad apprezzarli e a soffermarmi sempre più per ciascuno di loro, provando una sempre maggiore ammirazione estetica. Per comprendere meglio la cupa e ruvida caratura artistica di Morando, basta osservare questo disegno (fa parte della mostra) che trovo incredibile…un metaforico spaventapasseri, che evoca, a mio avviso, sia i poveri soldati morti in guerra, sia la figura, grottesca e sublime, di Don Chisciotte dopo la batosta contro i mulini a vento,
E poi c’è in Pietro Morando, fortissima, la solitudine. Vera e propria categoria dell’essere, dello stare nel mondo, una solitudine alienata, espressa in quelle linee scabre, in quegli occhi sgranati e fissi, nel simbolo estremo di quei piedoni sempre scalzi, sia che si tratti di uomini e donne di campagna o di città. Se ci sono più persone, nei sui dipinti, non sono mai insieme: non si guardano, non si parlano, non interagiscono: ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole. Ma, forse, non è sempre così. Io possiedo un’opera di Pietro Morando, un dipinto che è a mio avviso, sia l’emblema di quella poetica, che la sua radicale negazione, piena di speranza…e ne ho parlato con Rino Tacchella, chiedendo un suo parere. Si tratta di due uomini. Con uno sfondo chiaro di cielo, molto ampio, e poi sotto una terra scura di campi…Uno di loro con un semplice bastone di legno, appoggiato alla terra, gli occhi sgranati che guardano fissi. L’altro, in maniera totalmente diversa, ha gli occhi chiusi e, incredibilmente, suona un flauto traverso, dando l’impressione di essere totalmente proiettato nell’azzurro del cielo. Apparentemente, nessuna comunicazione, ma non può essere così: perchè questa volta Pietro Morando ha creato due figure complementari, perchè se uno suona, allora vuol dire che comunica, eccome, e l’altro…l’altro semplicemente ascolta…
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Termino con i giusti ringraziamenti tanto al Presidente della Enoteca del Monferrato di Ovada che, naturalmente, a Rino Tacchella: grazie per aver organizzato questa piccola, ma davvero deliziosa mostra, dedicata ad un artista che amo.