Qualche assassinio senza pretese / abbiamo anche noi in paese: “La badante e il Professore” di Bruno Morchio

Inizio questo articolo con una confessione: amo talmente il personaggio – che ha reso famoso Bruno Morchio – Bacci Pagano, che non sono mai riuscito a leggere altri romanzi di questo autore, dove non ci fosse lui protagonista. Bacci Pagano compie quest’anno, editorialmente, vent’anni…e io da vent’anni lo seguo, leggendo avidamente ogni libro appena uscito. L’ultimo con Bacci, poi, Le ombre della sera, è di una bellezza avvolgente e commovente: davvero indimenticabile. A Bacci ho anche dato un volto e un modo di muoversi e di parlare, che è quello di un mio caro amico, pure lui da carruggi. Tengo a precisare che gli altri 5 romanzi senza Bacci li ho nella mia (esagerata) biblioteca, ma sono intonsi…vabbè prima o poi… Ma ho fatto un’eccezione per questo La Badante e il Professore, per diversi motivi. Il primo è che lo avrebbe presentato ad Ovada, il 14 dicembre scorso, nella splendida sede dell’Enoteca, con una presentatrice d’eccezione, una scrittrice che apprezzo infinitamente: Raffaella Romagnolo. Come mancare? Ma per capire meglio e poter fare qualche domanda, ho pensato che sarebbe stato meglio leggerlo, questo romanzo orfano di Bacci. E poi, è il primo scritto per la collana Il Giallo Mondadori, ma non quelli che si trovano in edicola, ma quelli che vengono venduti in libreria. Quindi mi incuriosiva questa nuova collocazione editoriale. Ultima, ma non meno importante, riflessione che ho avuto, è che si trattava di un delitto di paese, non genovese: mi è venuta subito alla mente la canzone di De André (dal grande Brassen), dal titolo, appunto di Delitto di paese, che ho citato nel titolo di questo articolo.

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E allora vediamo subito qual è il plot del romanzo: siamo in un piccolo paese dell’entroterra ligure, non troppo lontano dal capoluogo. Bruno Morchio, durante la sua conversazione con Raffaella Romagnolo, ha precisato di aver pensato al paese di Serra Riccò, un Comune di circa 7500 abitanti situato nell’alta Val Polcevera, a una mezz’ora circa di strada da Genova.  Abbastanza vicino per avere rapporti diretti (di studio e lavoro) con il capoluogo, ma abbastanza lontano da avere tutte le tipologie di un paesino di collina: L’ambiente chiuso e piccolo si presta molto bene a questo tipo di narrativa, ci ha spiegato l’autore.  Infatti in tale ambiente (lo so bene io che in un paese co sono nato e cresciuto, e ci vivo) lo sport preferito è spesso il pettegolezzo. Lo sa eccome il Professor Canepa, che dà ripetizioni (gratuite) a Filippo, detto il Sarzetto, il protagonista e voce narrante del libro, di dodici anni. Vorrei proporvi la lettura del brano in cui Morchio descrive il senso di questo nome: “Sarzetto” è il nome che dalle nostre parti diamo alla valeriana, altrimenti detta “songino”, ed è il soprannome che mi hanno affibbiato per via del fatto che mi chiamo Filippo Sarzana, come la città dello Spezzino; la mamma dice che quell’epiteto mi si addice a meraviglia perché, anche se ho sempre una fame da lupo, sono magro come un chiodo, neanche mi nutrissi solo di insalata.

Filippo ha qualche problema in italiano – in questo lo cura il Prof. Canepa, con le sue attente ripetizioni – ma ha anche  gli ormoni impazziti, che sono assai sconvolti dalla presenza di Natalia, la governante – badante, da un anno, del Prof., di origine ucraina, assai avvenente, anche se apparentemente dimessa, perchè spesso si veste da profuga (dice Filippo). E che può succedere in un paese, quando inizia a circolare la notizia che il vecchio  è stato ucciso in casa propria, con una singolare arma del delitto, un busto di Leopardi? Semplice: che i pettegolezzi e i sospetti si concentrino subito  su Natalia, la badante – governante ucraina, che da un anno se ne prendeva cura. Natalia è bella, ma anche troppo giovane. Poi è troppo misteriosa, nonché troppo seducente: impossibile non diventare, in tali condizioni, il centro dei sospetti e dei relativi pettegoleggi. Li sente benissimo anche Filippo, che però non vuole credere che Natalia sia un’assassina, e cercherà, da dodicenne inesperto, ma assai sveglio, di dimostrarlo a tutti. A me è sembrato un ragazzino un po’ d’altri tempi, e lo stesso Bruno Morchio lo ha ammesso: Molto probabilmente assomiglia di più a quello che ero io, alla sua età, che ai suoi coetanei di oggi. Sapete – ha aggiunto, in modo un po’ desolato – I giovani di oggi per me sono un enigma. Credo che l’avvento dello smartphone sia un vero e nettissimo cambiamento antropologico dell’umanità!

Insomma, fiero della sua presunzione di innocenza vero l’amata Natalia, il Sarzetto inizia a indagare, presto con l’aiuto dell’avvenente sorella Teresa (che ha sempre avuto la cattiva abitudine di prendermi in giro), e di un altro detective improvvisato, Serafino Costamagna, un giovane giornalista a caccia di un qualche grande scoop, che lo faccia assumere definitivamente dal suo giornale genovese. Il tipo è sveglio e lo dimostrerà, ma vive ai limiti (spesso superati e non di poco) della sciatteria. Visto, poi, che si ciba malamente e soffre di flatulenza, lo chiamano anche, in paese, Lo scoreggione… Poi la matassa si ingarbuglia, perché più passano i giorni, più si scopre che intorno al Prof. Canepa tutti avevano dei segreti, primo fra tutti proprio il professore, che nascondeva un bel po’ di soldi capaci di far gola a molti, e un testamento che piaceva a pochi. Non dico altro sul romanzo, per non anticipare troppo. Però lasciate che vi narri di un momento della conversazione, di Bruno Morchio con Raffaella Romagnolo, che mi ha colpito. Raffaella ha fatto una domanda che avrei fatto io, in merito al pedinamento che fa il Sarzetto a Natalia. Che si trasforma in una affascinante camminata fra le vie di Genova (che nel libro non viene mai nominata), assai ben descritta da Morchio. Decisamente sembra un po’ stonare con il resto, ma è davvero un bel pezzo di narrativa. Bruno Morchio rimane un momento come sospeso, poi, sornione: Guardate: la sparo grossa. Ho voluto usare la tecnica dello Straniamento (tecnica che viene dal formalismo russo di Victor Šklovskij), che è un modo per cogliere degli aspetti della realtà sui quali in genere l’attenzione non cade. Però, per essere un Giallo, niente male, no?

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Che poi Bruno Morchio ha anche espresso un fatto artistico assai importante: le regole imposte dall’editore in merito alla scrittura, appunto, di un Giallo, le ha trovate troppo fisse e stringenti, e al momento non ha intenzione di cimentarsi ancora in tale genere (E’ stato il primo e probabilmente l’ultimo – ha detto – per questa collana). Che poi, ha affermato infine, con afflato un po’ nichilistico: Di morale in questo libro non c’è veramente niente!. Beh, intrigante no? Poi però, alla fine, io non ho resistito, e gli ho chiesto se e quando ci sarà un nuovo Bacci Pagano. Sorridente mi ha detto di avere fede, che entro il 2025…beh, io lo spero tanto. E allora, al momento, buona lettura con il Sarzetto.