Bolloli: “Addio Jimmy”

Di Silvio Bolloli

Continua a leggere l'articolo dopo il banner

La prima volta che incontrai Carlo, detto Jimmy (o Gimmi, all’italiana, come spesso lui si firmava), Barco fu quasi quarant’anni fa, all’inizio della Estate del 1987.
Avevo appena quattordici anni e col mio “cinquantino” da enduro stavo andando alla sfilata della Madonnina dei Centauri con mio zio Antonio, castellazzese e suo fraterno amico, ed altri loro compagni di escursioni in moto. Lungo il tragitto facemmo sosta in località Rampina, nel cortile della grande casa in cui Gimmi all’epoca viveva e lui si affacciò in accappatoio, al balcone del primo piano, salutandoci con un cordiale: “Cosa siete venuti a rompere i coglioni a quest’ora?”.
Fu quello il mio primo impatto con un uomo irriverente, irriguardoso ed irrispettoso ma certamente molto intelligente ed acuto e compresi subito, accanto ad una istintiva sensazione di antipatia, che non avevo a che fare con un personaggio comune.
Lo persi di vista per molti anni, all’incirca una decina, fino alla seconda del metà dei novanta quando già facevo il radiocronista per Radio Voce Spazio e lui il commentatore per Radio Cosmo ed entrambi andavamo a rendere il nostro pensiero sui Grigi in trasmissione, al Martedì, a Telecity, da un altro vecchio Amico, Nicola Pilotti.
Conoscendo il personaggio, partii dal proposito di evitare ogni tipo di scontro ma la scintilla fu inevitabile quando, apparendomi ingrassato all’occhio della telecamera, ed in risposta a Pilotti che mi disse che ero sulle orme di Gimmi, esclamai: “Non scherziamo: Barco è inarrivabile!”.
La sua ritorsione, e nonostante i miei tentativi di spiegare che si era trattato solo di una innocente ed involontaria battuta, fu immediata e, alla puntata successiva, egli si presentò in diretta con una mia registrazione radiofonica accusandomi di espressioni contraddittorie e cercando di mettermi in difficoltà (cosa che, per mia fortuna, non gli riuscì per la mia pronta risposta ed anche perché il buon Nicola si rifiutò di mandare in onda il nastro).
Da quel momento, e sino al fallimento dell’Alessandria Calcio di Boiardi, nel 2003, il mio con lui fu un rapporto di amore ed odio fatto di cene o aperitivi condivisi con altri commentatori sportivi ma anche di epici scontri senza esclusioni di colpi (una volta lui mi disse che non conoscevo la differenza tra un giocatore di calcio ed uno di bocce e in un’altra occasione gli strappai letteralmente il microfono dalle mani costringendo Pilotti ad intervenire e a restituirglielo).
Gimmi non mi perdonò mai l’ostilità (sportiva, non umana) nei confronti di Renzo Melani, di cui era grande amico, ma in compenso mi fece rischiare la lite in famiglia con mio Zio, che non riuscivo a capire perché non prendesse le distanze da un soggetto che cercava in tutti i modi di mettere in difficoltà suo nipote. Poi ci fu un nuovo momento di oblio, per un’altra decina d’anni, fino a quando, con i Grigi reduci dal fallimento, ma anche da una trionfale risalita tra i professionisti firmata Gianni Bianchi, non me lo ritrovai in casa mia, a Radio Voce Spazio, a condurre una trasmissione suggestivamente chiamata “Il grande prato verde”, ancora con Nicola Pilotti.
Pensai che potesse essere l’inizio di un nuovo rapporto tra di noi e lo accolsi cordialmente ma mi sbagliai: in alcuni anni di collaborazione Gimmi mi invitò solo due volte e, in occasione dell’unica domanda che mi rivolse, anziché prendere atto della mia risposta – come ogni buon conduttore avrebbe fatto – rispose affermando che le mie asserzioni, a suo avviso, “erano panzane”.
Questa volta fui io a “vendicarmi” mandando in fumo il suo progetto di realizzare una trasmissione da cui fosse escluso Biagio Gandini (suo aspro contraddittore) del quale invece presi – e ne vado ancora orgoglioso – le difese.
Mi domandai sempre per quale motivo un uomo che nella vita aveva conosciuto prima la ricchezza e poi grandi difficoltà non resistesse alla tentazione di sferzare il prossimo anziché cercare pace ed armonia nei rapporti interpersonali ma oggi non me ne stupisco: Gimmi era profondamente coerente con il suo spirito ribelle e dissacrante e quindi era giusto che fosse cosi, mai politicamente corretto.
Passarono ancora alcuni anni e io assunsi la direzione responsabile di Radio Voce Spazio: poteva forse essere l’occasione di una resa dei conti ma fui invece molto lieto di non ostacolare il suo nuovo progetto editoriale (che non aveva più a che fare col calcio) proprio perchè sapevo che era in grado di portare qualità al prodotto editoriale con gli ospiti che coinvolgeva e le acute osservazioni che lo distinguevano.
Lo incrociai poco più di un anno fa, solo, seduto ad un tavolino all’esterno del caffè di Melchionni, trovandolo stanco ed invecchiato ma con la solita luce provocatoria negli occhi: entrai con l’intenzione di offrirgli la consumazione ma la barista mi disse che aveva già pagato e quando uscii scoprii che se n’era andato.
Fu l’ultima volta che lo vidi.
Se penso a Gimmi, oggi, sono due le riflessioni che mi si affacciano alla mente: la prima è quella di uno spirito molto polemico, troppo portato all’attacco personale, anche duro (sotto questo punto di vista qualche giornalista sportivo alessandrino ne sa ben di più di me), talvolta perfino ai limiti della diffamazione.
L’altra è quella di una intelligenza viva, profonda e penetrante che ha avuto la capacità di insegnarmi molte cose, non solo a livello calcistico. Ricordo una battuta sulla famosa Anna Maria Barbera, la protagonista del personaggio di Sconsy, di cui, nel momento in cui era all’apice, oltre vent’anni fa, egli profetizzò: “Se non cambia resterà schiava del personaggio e uscirà di scena” ma soprattutto due sapienti commenti calcistici, uno precorritore del moderno calcio totale l’altro da disincantato, ma con ragione, mandrogno: “Ricordati che la fase difensiva inizia con il centravanti” e “La prima volta che andammo a vedere il Milan di Sacchi rimanemmo sbalorditi poi, ripensandoci bene, erano tutte cose che avevamo già visto”.
Ecco, oggi voglio ricordare così il Gimmi, come uno spirito indomabilmente polemico unito ad una intelligenza acuta : e se il primo mancherà a pochi, la seconda ci avrebbe potuto dare ancora molto.