Quando il passato è davvero una terra straniera: “E niù laif” di Fabio Messina
Una sera di un po’ di tempo fa mi telefona mia cugina, mi dice che un suo collega ha scritto un romanzo, che secondo lei è molto buono. Mi dice che a questo suo collega, che di nome fa Fabio Messina, di Alessandria, farebbe piacere leggessi il suo romanzo, per una eventuale recensione e/o presentazione, fra quelle che organizzo io ad Oviglio. Beh, lo ammetto, sono sempre un po’ scettico con gli scrittori sconosciuti, poi non vorrei si facessero l’idea che io possa fare sempre recensioni favorevoli, o altro. Ma come si fa a dire di no alla amata cugina? Così, al momento di una serata di presentazione, arriva un signore che non conosco, sorridente e simpatico, accompagnato da mia cugina, e mi porta questo libro dallo strano titolo: E niù laif. Beh, gli ho promesso di leggerlo, l’ho fatto, mi è piaciuto, mi ha divertito, mi ha stimolato. E ora ve ne propongo la recensione.
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Prima di tutto la scorrevolezza del testo, che è davvero ottima. Il che non significa che il flusso di scrittura, in terza persona, che esprime azioni e pensieri del protagonista, Andrea, e di tutti i personaggi che mette in gioco nel testo, sia banale o scontato, anzi: è tutto un susseguirsi di descrizioni di fatti – in dinamico movimento – ottimamente esplicitati, alternati a moltissimi pensieri e riflessioni, esistenziali e non, di ottimo valore intellettuale. Nel romanzo, originale e profondo, si affrontano temi davvero molto importanti. A cominciare dalla malattia del protagonista. E credo proprio non sia facile affrontare il tema di una malattia che, a quarantasette anni arriva a cambiare completamente la tua vita, con una vera e propria sentenza di morte certa: la SLA. Ricordo che la sclerosi laterale amiotrofica, o SLA, chiamata anche malattia dei motoneuroni, è una malattia neuro-degenerativa progressiva del motoneurone, e, nel suo terribile decorso, è caratterizzata da rigidità muscolare, contrazioni muscolari e graduale debolezza, a causa della diminuzione delle dimensioni dei muscoli. Ciò si traduce in difficoltà di parola, della deglutizione e, infine, della respirazione. E se non si respira più… Non esiste una cura nota per la SLA. Un farmaco chiamato riluzolo può prolungare l’aspettativa di vita di circa due o tre mesi. Unica possibilità, la ventilazione artificiale…che può comportare sia una migliore qualità, sia una relativamente maggiore durata della vita. Andrea, dunque, a 47 anni, vede crollare la sua vita. E come si può comportare una persona a cui capita questo? Beh, vi racconto cosa può accadere nella realtà: io ho un’amica, si chiama Scilla, è mia coetanea, che aveva una relazione con un uomo che si è gravemente ammalato…ho scritto aveva, perchè lui, da quando gli hanno diagnosticato la malattia, si rifiuta di continuare a frequentarla, e non le consente di andar neppure a trovarlo…vuole arrivare alla fine senza che lei abbia a vederne la degenerazione del corpo…e della mente. Non mi permetto assolutamente di dare giudizi morali o etici, ci mancherebbe. Così accade, e basta. E così accade ad Andrea, che ha una ragazza, Giulia, che ama moltissimo, ma vuole allontanare da se per evitarle di assistere al terribile decorso della sua malattia. Per fare questo non le dice nulla della malattia, ma le confessa, falsamente, di avere un’amante. E lei? Leggete questo dialogo, che è veramente notevole. Infilò il cappotto e fece per andarsene, ma pose un’ultima domanda. E almeno a quella voleva soddisfazione proprio in quel momento. Chiese se tutte le volte in cui lui aveva mandato a monte i loro appuntamenti perchè non si sentiva bene e camminava male e inciampava e aveva mal di schiena… si interruppe. Rimase in silenzio qualche secondo, alternando lo sguardo fra gli occhi di lui e il pavimento. Poi riprese. Lo pregò di dirle la verità. Volle sapere se erano state sempre scuse per vedersi con l’altra. Andrea sbiancò ulteriormente; poi, col tono di voce di uno che sta per rigirarsi una katana nell’addome, le diede una risposta secca: Si. Bellissimo.
Ma questo è solo l’inizio. Perchè poi Andrea, dopo aver in qualche modo chiuso tutte le sue vicende terrestri, non si arrende del tutto alla sua sorte, e parla con Dio. Siamo all’ottavo capitolo, e Messina usa in questo caso, e in corsivo, la prima persona. Molto efficacemente: Ti chiedo solo di tornare indietro (…) tornare bambino, con la consapevolezza che ho oggi, e ricominciare d’accapo. (…) Vorrei solo questo: riscrivere la storia. La mia, almeno. Che dici, è un po’ troppo? Non è un po’ troppo, per chi è onnipotente, no? Quindi al capitolo 10, Andrea si risveglia con pensieri da adulto, ma il corpo di sé stesso bambino… In quel momento si accese la luce e, sgranando gli occhi, Andrea vide sua madre. Era poco più che una ragazza. Inizia qui la Niù Laif del titolo: siamo nell’ottobre del 1981, Andrea ha 11 anni in questa seconda vita, 47 nella prima, della quale ricorda tutto con piena consapevolezza. Da lì in poi in tutti i capitoli, Messina indicherà, con rigore, la data, l’età della seconda vita, il conteggio totale, ovvero la somma delle due vite. Andrea attraverserà gli anni 80 e poi gli anni 9o…ma scoprirà che il dono di Dio è anche un po’ beffardo, perchè non tutto è come prima, anzi…E qui mi fermo, per non togliere al lettore il piacere di seguire una vicenda piena di suspense, che è, appunto, un particolare sentimento di incertezza e ansietà con cui si segue l’evolversi di situazioni ricche di drammaticità e dall’esito incerto. E qui il caso c’è in pieno. Beh, io confesso di aver letto questo romanzo davvero con un notevole senso di suspense, che non mi ha mai abbandonato: l’ho divorato, sino al sorprendente e splendido finale. E l’unico paragone con altri scrittori italiani contemporanei è stato quello con i primi romanzi, splendidi, del grande Tullio Avoledo…e scusate se è poco. Termino questa recensione con la citazione di un vezzo di Fabio Messina, che è quello, nel suo romanzo, di usare la traslitterazione fonetica dei termini non italiani, scrivendoli non nella loro forma originale, ma come si leggono: ueb, feisbuc, picì, par-taim, e così via. Come una sapiente dissonanza musicale in una scrittura altrimenti limpidissima. Ma intrigante. Buona lettura a chi vorrà: garantisco che non se ne pentirà.