106 Garofani Rossi sulla tomba di Matteotti: all’Ambra lo spettacolo con Monica Massone e Gianni Masella

Ricordo che iniziai a capire meglio il delitto Matteotti grazie ad un film del 1973, diretto da Florestano Vancini, basato sui fatti reali del delitto Matteotti. Io lo ricordo come un film in bianco e nero…ma no, il film è a colori, solo che io, all’epoca, non avevo mica una TV a colori, ma in bianco e nero. Solo i boomer come me ricordano quelle immense scatolone, che pesavano come armadi pieni, e se si fermavano arrivava un tipo con delle strane lampade, che si chiamavano valvole, ne provava qualcuna fin a che non trovava quella bruciata e tutto tornava a funzionare. Fui sconvolto da quel film. Che voleva essere una ricostruzione dettagliata e fedele di un delitto eccellente. Perchè la Storia un conto è leggerla sui libri di scuola, un conto è, letteralmente, vederla...e un conto, comunque, sentirla narrare con la potenza di un romanzo, come fa Alessandro Barbero nelle sue conferenze, che riguardano appunto il caso Matteotti…oppure vederla a teatro, come è accaduto ieri sera all’Ambra di Alessandria, nella pièce teatrale intensa e profonda 106 Garofani Rossi (Velia e Giacomo, l’Antifascista). Una pièce con Monica Massone e Gianni Masella, scritto da Sergio Angelo Notti e con la regia di tutti e tre, Massone – Masella – Notti.

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Sulla scena: due zone ben distinte. Alla destra dello spettatore un tavol0, coperto da una tovaglia bianca, e un paravento bianco. Sul tavolo, un piccolo cesto con rose anch’esse bianche, un paio di quaderni e la foto di Matteotti. Sul lato sinistro, una scrivania importante, da Ufficio di persona potente, una radio, un attaccapanni. Un luogo di riunione di lavoro e di comando. E lei, ovviamente sulla destra, vestita di scuro, il viso drammaticamente invecchiato dal dolore, gli occhi pieni di cenere. Lei, la vedova di Matteotti. Che io stesso conoscevo per nulla, non ne ricordavo neppure l’esistenza. Perdonate la mia ignoranza, ma è così. Velia Titta (sorella del famoso baritono Titta Ruffo) poetessa, conobbe Giacomo Matteotti in vacanza, nel luglio del 1912, sull’Abetone. Tra fidanzamento, matrimonio (nel 1916) e morte, l’ unione dura una dozzina  d’anni. Ne passeranno pochi insieme, perché Giacomo fu messo presto al bando dal Polesine: spedito prima in Sicilia come «sovversivo» per essersi battuto contro   l’ interventismo, e costretto poi a una fuga continua per le minacce dei fascisti. Monica Massone, attrice drammatica di notevolissime capacità di coinvolgimento e presenza scenica, ha interpretato, anche con un cambio d’abito, dietro il paravento bianco (dove ha sensualmente narrato il piacere fisico fra loro, forse scarso in quantità, ma a quanto pare notevolissimo in intensità) non semplicemente una vedova affranta, ma una donna combattiva e pugnace, in grado di affrontare a testa alta anche il duce.

Infatti, e Monica lo interpreta magnificamente, questo incontro-scontro. Ma prima di narrarvelo, fatemi presentare il compagno di viaggio di Monica Massone, ovvero Gianni Masella. Quando è entrato in scena, ho avuto un attimo di smarrimento…ma cosa ci fa Karl Marx in una pièce dedicata a Matteotti?, mi son detto. Perchè Gianni Masella ha un bel barbone e una pettinatura che me lo hanno prepotentemente ricordato. Lui ha interpretato svariati personaggi: lo stesso Mussolini, nonché il famigerato Dubini, l’organizzatore materiale del delitto. La sua voce potente e timbratissima era molto convincente. E gli bastava cambiare un cappello, mettere o togliere una giacca, per diventare un altro, ed essere, quindi, il filo rosso che lega i vari episodi storici che portarono all’organizzazione del rapimento, con un tracotante Dubini, così sicuro di sé da commettere però un sacco di errori, che consente alla polizia di catturarlo senza tanti problemi. Fino  all’allucinante discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925: Ebbene, io dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea, ed al cospetto di tutto il popolo italiano, che assumo (io solo!) la responsabilità (politica! morale! storica!) di tutto quanto è avvenuto.

L’unico momento in cui i due attori si affrontano vis-a-vis è il momento drammatico, in cui, cinque giorni dopo la misteriosa scomparsa del marito, quando ancora nulla si sapeva con certezza, ma forti erano i sospetti sui mandanti, Velia Titta, incontrò a Palazzo Chigi lo stesso Mussolini: Eccellenza, sono venuta a chiederle la salma di mio marito per vestirlo e seppellirlo, gli disse a muso duro. Mussolini, mentendo, le e disse di avere ancora speranza. Poi lui le disse che l’avrebbe fatta accompagnare  casa in auto, ma lei ricusò la proposta, dicendo che non sarebbe mai salita su un’auto governativa: Chiamerò un taxi! disse e fece. Entrambi hanno recitato magnificamente questo momento breve, ma straordinariamente drammatico. Inoltre, in occasione dei funerali, che avvennero due mesi dopo il ritrovamento del corpo, Velia scrisse al Ministro degli Interni. Chiedo che nessuna rappresentanza della Milizia fascista sia di scorta al treno: nessun milite fascista di qualunque grado o carica comparisca, nemmeno sotto forma di funzionario di servizio. Chiedo che nessuna camicia nera si mostri davanti al feretro e ai miei occhi durante tutto il viaggio, né a Fratta Polesine, fino a tanto che la salma sarà sepolta. Voglio viaggiare come semplice cittadina, che compie il suo dovere per poter esigere i suoi diritti; indi, nessuna vettura-salon, nessun scompartimento riservato, nessuna agevolazione o privilegio; ma nessuna disposizione per modificare il percorso del treno quale risulta dall’orario di dominio pubblico. Se ragioni di ordine pubblico impongono un servizio d’ordine, sia esso affidato solamente a soldati d’Italia. 

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Ma lasciatemi concludere che, personalmente, ho amato molto i momenti in cui Velia/Monica ha letto una sua bella poesia, e ha ricordato alcuni dei momenti della loro vita insieme, così tribolata ma anche piena di amore e di rispetto. Tanto che Giacomo Matteotti non andò da solo a Roma durante il suo mandato da parlamentare, ma con lei e i figli. Andava al Parlamento in autobus, e lo rapirono proprio mentre faceva a piedi quel po’ di strada da casa alla fermata del bus. Termino questo articolo con una piccola cosa di Velia, allora giovane poetessa cattolica, e sorella di un famosissimo baritono, che scrisse, con tenerezza, a Giacomo:  𝑽𝒐𝒓𝒓𝒆𝒊 𝒆𝒔𝒔𝒆𝒓𝒆 𝒂𝒏𝒄𝒐𝒓𝒂 𝒔𝒖𝒍𝒍𝒂 𝒔𝒕𝒓𝒂𝒅𝒊𝒏𝒂 𝒅𝒐𝒗𝒆 𝒄𝒊 𝒇𝒆𝒓𝒎𝒂𝒎𝒎𝒐 𝒊𝒍 𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒐 𝒅𝒊 𝑺𝒂𝒏 𝑴𝒂𝒓𝒄𝒆𝒍𝒍𝒐, 𝒑𝒆𝒓 𝒔𝒕𝒓𝒊𝒏𝒈𝒆𝒓𝒆 𝒂𝒏𝒄𝒐𝒓𝒂 𝒖𝒏𝒂 𝒗𝒐𝒍𝒕𝒂 𝒊𝒍 𝑺𝒖𝒐 𝒄𝒂𝒑𝒐 𝒏𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒎𝒊𝒆 𝒎𝒂𝒏𝒊.  E allora non posso che dire grazie questi due artisti, e naturalmente a Monica Massone che l’ha interpretata, vivendola molto, con totale immedesimazione, che hanno fatto tornare fra noi, con la giusta intensità drammatica, questa splendida figura di donna.