Non sarà il canto delle sirene: la splendida raccolta poetica “Il Viaggio Infinito (Canti di Ulisse)” di Sandro Buoro
In una casa che è un Hortus Conclusus, mi è stato donato un bellissimo fiore di poesia: la splendida raccolta poetica Il Viaggio Infinito (Canti di Ulisse), di Sandro Buoro. Quando vado a casa di Sandro, poeta di cui ho già recensito, su queste e pagine, un paio di sillogi poetiche, mi viene sempre alla mente l’accogliente concetto, appunto, di Hortus Conclusus...che è un qualcosa che, ovviamente, deriva dal Latino, e identifica, nella sua accezione antica, un giardino chiuso e un luogo segreto e isolato dove gli asceti potevano avvicinarsi a Dio tramite la meditazione. Ma mi viene alla mente nell’accezione che ha espresso il grande Maestro Domenico Paladino: per lui si tratta di un luogo di conforto, dove vige il tentativo di distacco dall’eterna lotta, che ogni uomo vive nel mondo concreto, così come nella propria interiorità, alla ricerca della pace. Si tratta, allora, di un invito a intraprendere un personale percorso della memoria che serva a rivalutare il passato e se stessi. Ed è esattamente quello che ritrovo durante gli incontri conviviali a casa di Sandro, nonché nella sua poetica. La sua accoglienza e della sua cerchia di cari e amici, sa costruire intorno agli ospiti, un campo magnetico, che promana pace e ricerca interiore..di esplorazione del vasto universo che c’è fuori, ma naturalmente nell’ancora più ampio universo che c’è dentro…Così, quando Sandro mi ha donato questo suo libricino, che vale tant’oro quanto pesa, al termine di una squisita cena da lui, dove la tenerezza della convivialità era potente e palpabile, ho subito capito che si trattava del più bel regalo di Natale mi potesse capitare. Perchè si parlava di Ulisse, o meglio Odisseo, o meglio di Sandro stesso, o meglio di noi tutti e di ciascuno di noi, compreso io. L’ho letto, e poi riletto, e sottolineato e anche commentato…e molto amato, e ora ve ne vorrei parlare un poco.
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Vi dico subito, a scanso di equivoci, che non si tratta di una sorta di una reprise dell’Odissea omerica, non si tratta di un racconto in forma poetica e men che meno di prosa poetica. No: qui abbiamo a che fare con una poesia alta e purissima, che sa evocare, con grande pregnanza, mai pedissequamente, mai banalmente, l’immensa figura di Ulisse/Odisseo, con assonanze e versificazione che ci parla anche dei molti grandi poeti del passato. Più per l’alta fame di una lingua magnifica e meravigliosa, che attraversa questi testi, che per mero desiderio di citazione. Non si parla dunque di Ulisse, non si parla di Sandro Buoro…si parla di entrambi, in uno specchiarsi di acque e terre, di angosce di viaggi, nostalgie, ritorni, fughe e dolore…e presenze divine e femminili (spesso entrambe conviventi nella stessa persona), e poi terribili, dolorose assenze. A leggerlo, è vero, mi sono venute spesso alla mente parole altrettanto alte di grandi poeti, come queste: Ha pure un suo nido il mio cuore / Sospeso nel buio, una voce; / sta pure in ascolto, la notte. Nel mio giardino ho provato questa emozione, così ben cantata dal giovane Salvatore Quasimodo. E credo che Sandro, in questo sua vestirsi/travestirsi da Odisseo, le abbia fatte davvero potentemente sue e molto introitate, parole come queste. Nel suo giardino, che è si Hortus Conclusus, ma anche spazio infinito e mare aperto… e vento largo che porta parole potenti, con i piedi come radici ben piantati nel passato e nel passato di Sandro. Ma la fiamma poetica è sempre alta…del resto, già il numero delle poesie, 34, corrisponde ai 34 Canti dell’inferno di Dante…Dante che pone, appunto, Odisseo, o Ulisse, all’Inferno, che gli dona la pronuncia di 52 versi indimenticabili. Uno straordinario personaggio, che – nel momento in cui prende parola – domina completamente la scena, con il racconto del suo ultimo viaggio, dove un anziano Ulisse rifiuta la pace familiare e…ma misi me per l’alto mare aperto, con una piccola imbarcazione di suoi coetanei, perchè fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza.
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E se vi ho citato un poeta del 900 che amo moltissimo, Quasimodo, che teneva delle sue corde mito e bellezza, e quell’altro visionario ardente che è stato Dante, è perchè la poetica di Sandro Buoro, in questa breve ma pregnante e indimenticabile raccolta, raggiunge spesso vette straordinarie per linguaggio e significato. Che spesso si rifrangono nella nostra emozione come riflessi di acque e di terre, di mari vicini e lontani, di famiglie e di sogno. Perchè (…) murmure profeta fu il vento / disse tutto avviene / e riavverrà / perpetuamente. Già, quel sentiero ricorrente del nostro passato, che perpetuamente siamo destinati a ripercorrere. Le poesie sono in realtà state scritte nell’arco di 10 anni, dal 1985 al 1995, ma nella silloge non seguono un ordine cronologico: semmai emotivo, fatto di vibrazioni e sentimenti. Io le ho gustate (con il mio solito metodo dello Slow Reading, di cui vi ho già parlato) molto lentamente, delibate dedicando a ciascuna di esse un brano musicale. Brani che hanno formato una vera e propria colonna sonora di tutta la raccolta. Ma le ho anche declamate, cercando di imitare quella splendida lettura un poco cantilenante, ma molto avvolgente, che Sandro dona alle sue poesie. E c’è questo confrontarsi con il suo passato di affetti andati, esattamente come quando Odisseo scende nell’Ade, ma con ancora più tenerezza: là, oltre l’orizzonte (…) giunge presto la sera, le onde / s’acquietano e rilascia / la terra e la selva rappresi profumi / il mio corpo senza peso / è accolto fra le mie ombre / finalmente / oltre l’orizzonte al di là dei limiti. Le sue ombre, già, quelle di chi è andato oltre l’orizzonte. E come lo sento mio tutto questo…
E poi quella struggente nostalgia, che permea la poetica di Sandro Buoro: Il giorno è sul finire / la sera è sospesa come / il rimpianto di antichi carghi / su mari calmi / di reti colme / di moli favolosamente sicuri. In molti momenti, poi, Sandro Buoro ritrova veramente nella sua voce quella di Calliope Dalla bella voce, la Musa della Poesia Epica, come quando dice: Abbiamo spalancato porte fra penisole, sperdute / rive, chiusi bacini / e di leggi, usanze, battelli, e di modi di forgiare il ferro e piegare / il legno, gettare le reti ascoltando le stregate sirene / abbiamo raccontato a quanti hanno voluto ascoltare / ammirati gli occhi da travalicare il pelago profondo / che Ulisse, l’odiato, aveva per tutti battuto coi remi. Detto che il termine (dantesco, carducciano e non solo), “Pelago“, equivale a mare vasto e profondo, aggiungo infine che c’è nelle parole di Sandro Buoro proprio il senso, dantesco, dell’aver aperto agli altri, al futuro, che Ulisse/Odisseo (ovvero l’Odiato) aveva battuto, con i suoi remi…così come si apre una nuova pista…del pensiero, dell’avventura, della ricerca. La ricerca eterna e inesausta, che nonostante tutto ci tocca compiere. Forse ammaliati dal canto delle sirene. Ma forse no: non sarà il canto delle sirene ad addormentarci il cuore.