Quel “Natio borgo selvaggio” narrato da Emilia Cardona, nel suo romanzo “La Famiglia Tamburi”, ri-scoperto da Carlo Cerrato.

Ero a Portacomaro, in quella Casa dell’Artista, per la presentazione di un libro (di Enrico Pandiani, ne riparleremo) di cui Carlo Cerrato è il nume tutelare, coadiuvato da Vincenza (Viscé, musa creativa e sorridente), ma lui non c’era. Strano, molto strano, mi dico, con un filo di preoccupazione. Ma Viscé mi tranquillizza: Guarda, è andato a Costigliole dove stanno presentando la ripubblicazione, in forma anastatica, del libro di Emilia Cardona,La famiglia Tamburi”, ambientato appunto a Costigliole. Lo hanno ripubblicato grazie alla volontà di Carlo, vero, ma con il fondamentale contributo del Lions Club di Costigliole d’Asti. Caspita, che notizia stupenda. Perchè dopo aver letto il bel libro che Carlo Cerrato ha dedicato a Emilia Cardona, Milli, dove aveva anche riassunto in breve tutti i romanzi pubblicati, in italiano e in francese, da una Milli parigina e decisamente internazionale, mi incuriosiva poter leggere almeno uno dei suoi romanzi, capirne il valore oggettivo, la modernità, il fascino. Ma in Italia che cosa si trova? Nulla. Io ho presentato alcune volte il libro di Cerrato dedicato a Milli e anche, naturalmente, recensito su queste pagine ( https://www.alessandria24.com/2023/07/20/e-se-non-fosse-stata-solo-la-moglie-di-boldini-vita-e-opere-di-milli-narrate-da-carlo-cerrato/ ), cercando di evidenziare che colei che era stata facilmente etichettata come La moglie di Boldini, fosse in realtà un’intellettuale di primissimo piano, capace peraltro  di operare scelte totalmente prive di egoismo, come la donazione alla città di Ferrara di numerose opere del Maestro. Ricordai che una sera, che ci eravamo trovati per caso alla presentazione del libro di Gian Marco Griffi, forse il più clamoroso successo letterario degli ultimi anni, Ferrovie del Messico, parlammo appunto, dopo la presentazione, dei romanzi di Emilia Cardona e della possibilità di farli ripubblicare, almeno ad iniziare da quello piemontese, ambientato a Costigliole d’Asti, dove è nata. Ed ora, domenica scorsa, eccolo li, che, in dialogo con la giornalista Marta Martiner Testa, decisamente entusiasta, ha presentato alla bella Biblioteca Astense, all’interno della rassegna Passepartout en hiver , il romanzo scritto in italiano da Emilia Cardona (che nell’edizione originale, indicava come scrittrice il solo cognome: Cardona, appunto), La famiglia Tamburi, scritto a Parigi negli anni intorno al 1936, ma che narra un vicenda datata alla prima parte del secolo, dal 1900 al 1923, scandendo i capitoli anno dopo anno.

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Diciamo prima di tutto della presentazione in sé e per se. Che come al solito mette molta carne al fuoco, cercando di unire la presentazione dell’opera letteraria con altre cose che di norma nelle presentazioni di libri non ci sono, come la presenza di un paio di opere d’arte legate al tema del libro. L’anno scorso era una sola, quest’anno, non ho capito bene il perchè, sono raddoppiate. Ma si tratta in genere di opere pregevoli (tanto per domenica scorsa che per la settimana precedente, quelle che ho visto io…), tanto che inviterei la Biblioteca a predisporre un’apposita mostra dedicata a tutte le opere Questo, ovviamente a patto che le opere siano pregevoli, rende il tutto ancora più stimolante ed intrigante. Domenica scorsa poi, c’erano due opere davvero molto affascinanti, anche e soprattutto perché si trattava di due opere diversissime fra loro. Una interpretazione direi in stile belle epoque (o tardo impressionistica, magari) di Marisa Garramone, che ha sintetizzato in una immagine piena di vita, di luce e di autentica dimensione provinciale dei primi anni del secolo scorso, il momento in cui la famiglia Tamburi approda ad Asti. Un dipinto che è un po’ boldriniano e un po’ felliniano, a mio avviso, dove mi pare di sentire le note di Nino Rota che sottolinea La Strada di Fellini. Davvero molto interessante.

Prima, però, di proporvi un minimo di presentazione dell’altro quadro, teoricamente dipinto a commento del libro, lasciate che vi narri di due persone davvero convinte e motivate, che vi ho già presentato sopra: ovviamente Carlo Cerrato che, quando parla di Emilia Cardona detta Milli (ma non solo, ve lo garantisco, Carlo sa rendere interessante qualsiasi discorso faccia), letteralmente vibra di emozione e di coinvolgimento. Impossibile non rimanere incantati dalla questa sua inchiesta giornalistica, sfociata nel libro su Milli, che ha consentito a tutti noi di ritrovare una figura femminile decisamente notevole, che era tutt’altro che l’arrivista che sposa un pittore di 60 anni più vecchio di lei, come all’epoca insinuarono in parecchi, ma una raffinatissima intellettuale italiana – forse sarebbe meglio dire internazionale – che scrisse saggi artistici e non solo: diversi sono i suoi romanzi, sia in italiano che in francese. Carlo, che ho avuto la fortuna e l’onore di presentare più volte con il suo bel MILLI, ha intavolato un discorso davvero appassionato con una altrettanto convinta giornalista, Marta Martiner Testa, appunto. Entrambi hanno dimostrato, Carlo con il suo modo caldo e molto convincente, Marta con un modo più oggettivo e compunto, ma sempre sottopelle si percepiva la sua grande convinzione, di conoscere e amare veramente Milli. Non tanto e non solo il libro in sé e per sé, di cui tutto sommato non si è detto moltissimo, ma di Milli, del suo rapporto con la famiglia, la scrittura, il jet set parigino e l’amore per la sua patria italiana. Il fatto è che quella di Carlo è stata una vera ri-scoperta, e nell’ambito italiano di quella giovane scrittrice e giornalista della provincia astigiana, che a Parigi veniva a contato con tutti i grandi intellettuali (e non solo) di quel mondo, che ormai si stata allontanando con siderale velocità dalla Belle Epoque di Boldini.

E allora, questo romanzo? Il titolo, lasciatemelo dire, è un poco ingannevole, perchè parla di una sola famiglia, appunto La Famiglia Tamburi, Remigio e Renata (e successiva prole), ma in realtà si tratta della dinamica di un confronto, perenne e continuo per tutto il libro, fra due famiglie, con la cornice di una paese. La famiglia Tamburi, appunto, così tanto sui generis rispetto alla vita del paese di Costigliole d’Asti (mai nominato, ma molto riconoscibile, ma con momenti anche ad Asti e non solo), e quella della famiglia di Meri, che è certamente, seppure in modo parziale, la stessa Emilia Cardona, la famiglia Grandi, dove invece vige il più totale maschilismo, con un padre padrone che tutto domina e tutti maltratta. Ad un certo punto la ancor piccola Meri esprime la sua invidia, dicendo quanto le sarebbe piaciuto poter vivere in una famiglia piena di caos e disordine, ma dove nessuno piangeva mai, quella dei Tamburi, piuttosto che nella sua, di famiglia, dove un padre regala dispoticamente del male a tutti e tutte, tanto alla mamma che alla prole. Un padre per il quale tutti pregano, ma con il sentimento di pregare per  per un essere superiore, crudele, onnipotente come un dio malvagio…. Si ha come l’impressione che Emilia Cardona abbia voluto proiettare il suo disperato desiderio di famiglia felice, su una famiglia di invenzione, che potesse dimostrare che anche all’interno di un nucleo familiare borghese, la felicità e l’amore sono consentiti e donano gioia di vivere. Ci sono molti momenti che indicano questa volontà. C’è un capitolo, siamo nel 1906, dove questa situazione è plasticamente esplicitata. Mentre il Grandi va ad una sorta di asta nascosta, per accaparrarsi pezzi di una mucca, morta di morte sospetta, dopo aver usato male parole per la famiglia tutta, Remigio Tamburi, veterinario mal pagato, giunge, con i carabinieri, a questa cascina dove accade quella vendita fraudolenta, e salva quella gente dall’utilizzo di carne avvelenata dal carbonchio. Due modi radicalmente diversi di vivere la famiglia e la società. Che si propagheranno per tutto il romanzo. Io, peraltro, non ho trovato nel romanzo nessuna forma di nostalgia per Costigliole da parte della Cardona, che anzi, sembra vedere nell’espatrio, oltre che una qualche soluzione dei suoi problemi sentimentali, anche un modo di abbandonare per sempre quel passato di famiglia infelice.

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Detto che il romanzo, pur scritto in uno stile a mio avviso, assai ottocentesco (ma non è in sé una cosa negativa, ci mancherebbe), a me è piaciuto per la grande empatia che dimostra, ma anche per la sua condanna del mondo maschilista che ha dovuto subire Meri, sulla sua pelle e su quella della sua amatissima mamma, con potente brutalità. Ma mi sono piaciute, queste pagine, anche per la loro asciutta assenza di nostalgia provinciale, per i molti momenti che sono la rappresentazione della formazione di una giovane, dalla fanciullezza all’amore maturo e complicato, ma anche per la descrizione di quanto può essere piena di gioia la vita di una famiglia diversa, anarchica e piena di luce. Da leggere, se vi capita, anche se non siete di Costigliole, perchè i temi di cui si parla non sono certo legati a quel territorio, anzi. Termino parlandovi brevemente dell’opera di Ottavia Boano Baussano, dedicata al libro di Milli. Qui il surrealismo alla Dalì o alla De Chirico prevalgono con maestria: i busti delle impassibili Muse circondano una immensa scacchiera, dove minuscole figure femminili, le protagoniste del romanzo, attendono qualcosa…mentre più avanti piccole figure incappucciate camminano verso una strana singolarità: siamo in realtà in un orizzonte degli eventi e quello laggiù un Black Hole, l’estrema anomalia del Cosmo, che tutto in sé attira. E allora, tra quel che è passato e quel che accadrà, metaforicamente parlando, chiudo queste mie note con l’immagine di entrambe le opera d’arte che hanno egregiamente commentato un giornata letteraria davvero molto coinvolgente.