La stupefacente bellezza dei “Paesaggi” nella grande Mostra METS al Castello di Novara

Lo confesso: amo l’Arte sin da quando ricordo di esistere e ragionare, anche se non sono né un artista né un critico d’arte…sono quello che viene, a volte, definito un fruitore…o, forse, semplicemente un appassionato…ogni volta che vado ad una mostra così meravigliosa come questa del Castello di Novara, mi vengono in mente le parole di Jorge Luis Borges: Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto, io sono orgoglioso di quelle che ho letto. Ecco, parafrasando Borges: io sono orgoglioso dell’Arte che posso ammirare. E al Castello di Novara ne ho ammirata davvero tanta, nei quattro anni precedenti a questo. Il trionfo della luce e dei colori in un excursus che va, di solito, dal tardo 700 al primo ‘9oo, nelle sale dove tutto ha il senso di una sorta di percorso iniziatico attraverso e incontro alla Grande Bellezza della pittura italiana. Ogni anno ne viene fuori un articolo dove l’emozione, l’ammirazione, la pura gioia della scoperta e/ della ri-scoperta di indimenticabili Opere, che mi hanno lasciato letteralmente senza fiato, si riverbera nella mia appassionata scrittura, dove il rischio più grande è quello di utilizzare troppi superlativi.
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Quest’anno, poi, la sensazione di appartenere a quella mostra era resa ancora più fortemente dal fatto che l’alfa e l’omega della stessa erano due artisti alessandrini, il Migliara e Pellizza da Volpedo. E se il primo ha la mia ammirazione per l’altissima qualità paesaggistica, tanto in notturno che nella luce splendente della campagna italiana, il secondo è uno dei pittori che più amo e ammiro. Per questa sua affascinante capacità di unire la bellezza naturalistica ad una immensa capacità visionaria e fortemente simbolista. Come in quell’opera straordinaria che è Lo specchio della vita, della quale ho parlato in questo articolo: https://www.alessandria24.com/2022/02/25/giuseppe-pellizza-da-volpedo-e-lo-specchio-della-vita/. Ma se torniamo a Giovanni Migliara (Alessandria, 15 ottobre 1785 – Milano, 18 aprile 1837), vi dico che nella prima delle sale della mostra, che titola La “Pittura di paese”: dalla veduta al paesaggio, troviamo una sua opera davvero romantica, piena di un fascino notturno di sospensione e scoperta: Esterno di città con ponte illuminato da chiaro di luna ed officina da maniscalco, del 1829. L’unica cosa che mi lascia perplesso di questa opera magnifica è il titolo così didascalico e lungo, ma poi in realtà, come potete vedere sotto, si tratta di una splendida scena romantica, di quel primo romanticismo che ha visto i magnifici frutti poetici di un Leopardi e musicali di Donizetti, Bellini e del primo Verdi. Una scena così bella potrebbe essere tratta paro paro dalla coeva Alina di Gaetano Donizetti…e scusate se è poco.
Devo però qui sottolineare alcune cose che hanno reso la visita alla mostra ancora più indimenticabile, che confermano la loro sublime qualità di anno di anno. Intanto l’uso sapientissimo delle varie sale del Castello di Novara, con i differenti colori murari, che esalta le opere in mostra, attraverso una notevole alchimia e una riuscita armonia cromatica con i dipinti stessi. Poi, l’audio-guida: utilizzabile direttamente dal proprio cellulare, previo inquadramento di un QR-Code, che naturalmente non narra di tutti i dipinti, che sono tanti, ma di alcuni di questi, non tanto e non solo per la mera bellezza degli stessi, ma anche per il senso e il significato del contesto e del collegamento con il resto della sala. E poi, che cito per ultimo ma certamente non per importanza, il magnifico catalogo. Che serve per comprendere, ricordare e approfondire, e lo fa con una qualità davvero eccelsa, tanto per le immagini che per i testi. Tutti i dipinti sono commentati testo a fronte. Il tutto preceduto dalle corpose introduzioni (veri e propri saggi molto leggibili ma anche molto puntuali, che ci fanno entrare con proprietà e passione in quel mondo ottocentesco), di Elena Lissoni, Virginia Bertone ed Elisabetta Chiodini. Io scrivo questo articolo a distanza di un po’ di giorni dalla visita alla mostra, semplicemente perchè ho letto, con la giusta lentezza e con molto piacere, questi scritti, riprendendo anche molte delle pagine introduttive ai singoli quadri. Credetemi, credo fermamente che questi magnifici cataloghi delle Mostra (che come avrete capito, sono molto di più di normali cataloghi), siano fra i migliori in assoluto di tutte le mostre che ho avuto il piacere di vedere e visitare in questi anni. Un difetto? Si tratta di un volumone di quasi 500 pagine dalla non facilissima maneggiabilità…ma la magnificenza di queste pagine è davvero unica. Quindi l’insieme dell’operazione Paesaggi è un po’ questa: una lenta passeggiata fra i dipinti, osservandoli ad uno ad uno, in una esposizione perfettamente disposta e calibrata, con l’ausilio delle puntuali e attente note vocali dell’audio-guida, per poi rivivere il tutto a casa, sfogliando, leggendo ed ammirando questo eccezionale catalogo.
Vi invito a soffermarvi sull’immagine in evidenza, La Veduta della Laguna di Venezia di Giuseppe Canella, del 1828, che spicca come una finestra piena di luce sul muro della mostra. Chi percorre questa galleria di splendore non può che rimanerne strabiliato. E dire che qui siamo solo nella prima sezione della mostra! Ce ne sono altre otto, che attraversano la percezione del Paesaggio tra naturalismo e simbolismo, sino ad arrivare al grande periodo divisionista capitanato dell’immenso Pellizza da Volpedo. Ma non c’è una sola sala che non dispensi meraviglia di colore, forma, bellezza. La Sezione II: Il naturalismo romantico d’oltralpe e la sua influenza sul paesaggismo italiano propone opere di quel periodo romantico che adoro, e che porta con sé ogni radice della modernità, compreso però il fascino di un tempo favolistico e perduto. Basti pensare al panorama di Paesaggio Nordico con montagne, 1852, di Julius Lange. In qual castello, che è come sperduto nell’immensità del paesaggio, ritrovo quello manzoniano dell’Innominato dei Promessi Sposi, ma anche quello del Trovatore di Giuseppe Verdi: fulgide gemme ottocentesche che ancora ci donano infinite emozioni. L’ho a lungo osservato, sentendo il forte desiderio di entrarvi dentro e viverlo.
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Come avrete compreso dalle mie note piene di entusiasmo, io vorrei potervi descrivere opera per opera tutto quello che questa visita mi ha donato. Non posso, ovviamente, per motivi di spazio. Mi permetto di citare alcuni dei dipinti che più mi hanno colpito. Non i più belli, ma semplicemente quelli che più mi hanno emozionato. Come il vibrante segno di Antonio Fontanesi, dal naturalismo già in odore di impressionismo, dove tutto è simbolo che tuttavia nel paesaggio assume a verità e contemporaneamente si perde nel sogno. Opere come Il mattino e Aprile. Quadri di cui un critico, Federico Pastoris, disse, con felice intento, Sono pensati e fanno pensare. Ma poi anche la luce de Il palo telegrafico di Tammar Luxoro, che esplora, in una luminosità incredibile, il rapporto fra il paesaggio e il lavoro dell’uomo, la fatica del quotidiano. Passando alla Sezione V: Il trionfo del naturalismo lombardo e la diffusione del nuovo linguaggio, devo citare, fra i dipinti per me più emozionanti, lo stupendo Leggendo Praga, del 1886, di Paolo Sala: una Brianza silenziosa e fascinosissima, dove immaginiamo, come unico rumore possibile, lo stormire, nel lieve vento, delle foglie che fanno ombra alla donna, astratta – e distratta al mondo – dal libro che tiene fra le mani. Una di quelle opere che non avrei mai smesso di ammirare. Vi invito a goderne tutto lo splendore.
E così via, tra emozioni di appagante meraviglia, scoperte di autori a me poco noti o sconosciuti, accanto a opere celebri – che però vedevo per la prima volta da vicino, e non solo sui libri d’Arte, fra il piacere di una ascolto appagante in audio-guida…ma anche quello di vedere quanta gente affollava le sale del Castello, chiudo questo mio articolo parlandovi di un quadro incredibile. Siamo nell’ultima, grande sala: quella di Pellizza da Volpedo e del grande Divisionismo. E qui, tra un magnifico Segantini (quello della locandina e della copertina del catalogo, Mezzogiorno sulle Alpi), il mio amatissimo Pellizza, e un grande Morbelli (quello del dittico, ma con pittura in tempi diversi, Nebbia domenicale, dove ho ritrovato, in quell’incedere lento e silenzioso, il mondo dei miei nonni contadini) ho trovato uno dei quadri più incredibili di quel periodo. Un dipinto del 1902 di Carlo Fornara, L’aquilone (inteso nel senso del vento gelido di tramontana), dove una povera donna trascina sulle spalle una fascina, schiacciata da tutto: il vento, gli alberi, la luce e…la solitudine. Un capolavoro denso di simboli, dalla bellezza stupefacente e nello stesso commovente. Degna conclusione di questa mostra, che spero che questa mia disamina vi abbia stimolato ad andare a visitare. Credetemi, non ve ne pentirete affatto, anzi. E a tutti consiglio di portarsela a casa, questa indimenticabile mostra, grazie a questo magnifico catalogo che non mi stanco di sfogliare e leggere.
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