Quattro scrittori per raccontare un autunno ovadese: “La persistenza del filare” presentato all’Enoteca di Ovada

E va bene, lo ammetto: amo senza remore Ovada, Roccagrimalda e tutta quella meravigliosa zona di mondo. Ho frequentato quei luoghi sin da ragazzino, e tutt’ora li frequento con immenso piacere. A Roccagrimalda ci andavo a vendemmiare, da ragazzo, nella vigna impervia e ripidissima, del mio amico e vicino di casa, Silvio. Suo padre era nato e aveva lì una bellissima casa con una vetrata che dava sulle colline. E quante sere ci ho passato, in quella casa, con gli amici – e le amiche – fra bottiglie di dolcetto, pasta e fagioli e salame tagliato a profusione, il caminetto acceso e un senso di appartenenza ad un mondo accogliente. E poi altre amiche con una tenuta al Gnocchetto, che è una frazione di Ovada, appunto. Dove piantavamo tende da campeggio e poi si calava su Ovada a prendere farinata a bizzeffe, per poi tra le tende e un fuoco acceso, si tirava a far mattino, in compagnia delle nostre conversazioni di ragazzi e bottiglie dell’immancabile dolcetto, che con la farinata è un connubio riuscitissimo…si lo so: sono ammalato di ricordi e nostalgia di una giovinezza ormai lontana. Ma Ovada l’ho frequentata poi sempre, fra la sua Biblioteca e la sua Enoteca, fra libri, concerti e molte altre cose.
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Tra le tante altre cose cose, lo scorso anno, ad Ovada, dal 2 al 4 ottobre, è accaduto qualcosa di originale e significativo. Da un’idea di Raffaella Romagnolo, che sta di casa a due passi da Ovada, e che ha curato il tutto, all’interno della rassegna letteraria Sconfinamenti. Il 2 ottobre Franco Faggiani e Alessandro Barbaglia, e il 3 ottobre Piera Ventre e Gian Marco Griffi, hanno presentato, con diverse modalità, alcune loro opere letterarie. Poi, invece di andarsene ciascuno per la sua strada, il 4 ottobre, tutti insieme, hanno fatto escursioni nel territorio ovadese. Alla fine del loro soggiorno avrebbero dovuto scrivere un racconto, ciascuno dedicato al territorio, che sarebbe stato poi raccolto in un unico volume antologico. E lo hanno fatto, ed ora, eccolo qui, questo bel volumetto, edito dalla Epoké di Novi Ligure, dal fascinoso titolo La persistenza del filare, con in copertina una splendida foto di Anna Lardieri. Il libro è stato presentato, e io c’ero, il 2 Aprile: io ve ne parlo ora, dopo aver letto con calma ed attenzione, i quattro racconti di cui è composto.
Devo dire che la presentazione è stata molto composita. Con un inizio musicale molto piacevole, con un giovanissimo pianista, Francesco Tobia, che, sulla tastiera elettronica, ha suonato alcuni splendidi brani della letteratura pianistica. Poi, naturalmente, ed è giusto che sia così, una sorta di autocelebrativa presenza istituzionale, di tutto coloro, enti e non solo, che hanno contribuito al farsi di questa operazione culturale. Che senza questa possibilità di concretizzare, le buone idee rimangono solo buone idee e amen. E invece, a mettere in pratica le bune idee, può nascere un libro come questo. Che è narrativa, certo, ma è anche promozione di un territorio, splendido di suo, e mai abbastanza esplorato. E ora lasciatemi dire della azzeccatissima introduzione di Raffaella Romagnolo, che possiamo riassumere con una sua affermazione bellissima, che credo farò mia e citerò in molteplici altre occasioni: Un paese non esiste finché non arriva uno scrittore a raccontarlo. Eh già…chi parlerebbe di Santo Stefano Belbo senza Pavese, o di Vinchio d’Asti senza Lajolo? Per non parlare di Fenoglio e dei sui paesi raccontati nelle vicende partigiane e nei Racconti del Parentado (i fatti di Gorzegno ne Un giorno di fuoco, ad esempio)? E mi limito ad un lembo di Piemonte, ma si potrebbe andare avanti a lungo su e giù per l’Italia tutta e non solo. Ma, aggiunge Raffaella Romagnolo: Mi piace l’idea di leggere queste pagine come un esperimento. Un esperimento, posso dire ora che ho letto i quattro racconti, assai riuscito, dove ciascuno di loro a scritto restando fedele alla committenza, ma esprimendo con grande individualità – e diversa sensibilità – qualcosa di estremamente personale. Che è emerso anche durante la conversazione a 5 di Ovada, con Raffaella Romagnolo, Griffi e Faggiani presenti in Enoteca, mentre Barbaglia e Piera Ventre online (il primo subito in treno e poi nei giardinetti davanti alla stazione FS di Novara).
E qui devo confessare la mia ignoranza e le mie conseguenti difficoltà. Perchè ho conosciuto di persona Piera Ventre alle giornate letterarie organizzate da Griffi al Golf Club Margara (di cui lui è Direttore), un paio di anni fa, e ho letto un paio di suoi romanzi, compreso quello splendore che è Gli spettri della sera, mentre per quanto riguarda Gian Marco Griffi, non solo ho presentato parecchie volte il suo straordinario Ferrovie del Messico, ma ho collaborato per le musiche del Reading teatrale che ha tratto dal suo gran libro, e sono molto orgoglioso di essere anche suo amico. Invece non conoscevo né di persona né dal punto di vista di lettore, sia Faggiani che Barbaglia. Detto e promesso che rimedierò, e già ho acquisito romanzi sia dell’uno che dell’altro, e preso ne affronterò – con gioia – la lettura, confesso di aver affrontato con una certa rispettosa cautela la lettura dei racconti di entrambi. Del resto, leggere di un territorio che conosco bene, di cui ho profonda memoria, del quale io stesso ho scritto più volte, confrontando stile e pensiero di due scrittori sconosciuti con altri due di cui conosco bene la poetica…sembra facile, ma per me non lo è. Però è anche molto stimolante e fecondo di emozioni letterarie. E allora lasciate che vi esprima alcune impressioni, senza entrare troppo nel merito, per lasciare a chi vorrà leggere il libro un ottimo margine di sorpresa e partecipazione.
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E allora vi narro un poco questi racconti, nell’ordine della mia personale lettura. Quindi inizio da Carne di terra di Piera Ventre. Che in quel suo essere una storia di solitudine, venata di tristezza autunnale, ha però una vena di speranza e di voglia di fare, finalmente, quel gesto che va a ferire la realtà, va a denudarne lo squallore. E poi debbo dire che mi ha molto intrigato il leitmotiv (motivo conduttore) del racconto, cioè La ballata delle donne, di Edoardo Sanguineti. Che fa parte dell’anima di Defende, il protagonista, solo, solitario, giunto sul finale, forse, di una vita che lentamente si svuota. Per la straziante assenza della sua compagna, che ormai non c’è più, per l’assenza di una qualche forma di impegno e umanità, forse. Se dovessi definire il racconto con una parola, questa parola sarebbe struggente.
Il racconto di Alessandro Barbaglia, uno dei due scrittori di cui non avevo mai letto assolutamente nulla, Storia di una sedia, mi ha molto coinvolto. Intanto diciamo che è l’exergo di questo racconto a dare il titolo a tutta la raccolta: Mi piace però, più di tutto, la persistenza del filare, questo non andare da nessuna parte che non sia nel tondo scintillare di un acino. Beh, sarà che da quando mio padre se n’è andato, l’anno scorso, alla ragguardevole età di quasi 97 anni, i ricordi del mio tempo passato con lui, soprattutto quel tempo in cui ero un bambino, mi tornano prepotentemente alla mente e alla memoria, sarà che con l’età la nostalgia sale e la commozione è più facile… sarà tutto questo, ma sta di fatto che questa vicenda padre/figlio bambino me la sono un po’ sentita mia, me la sono gustata davvero, piena c0m’è di poesia, ma anche di intelligente ironia. In una parola? Sorprendente.
Primo nella disposizione antologica, La stagione delle nuvole, di Franco Faggiani. L’altro scrittore di cui non ho mai letto nulla. Devo dire che il suo racconto è quello che mi ha coinvolto di meno. Scritto bene, certo, ma devo ammettere che con tutta probabilità la sua abilità narrativa esula un po’ dalle mie corde. Non mi coinvolge. L’ho letto due volte, proprio per definire meglio la mia analisi critica, ma devo dire che non mi ha emozionato, o lo ha fatto molto poco. Si tratta di un giudizio assolutamente personale, ci mancherebbe, che non vuole certo sminuire le qualità narrative di Faggiani. Anzi: mi riprometto di leggere presto qualcos’altro di questo scrittore. Mi piacerebbe, anche, che il racconto venisse letto da altre persone, per confrontare il mio giudizio, effettivamente poco convinto, con il loro.
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Ed ora, last but not least, Gian Marco Griffi. con il racconto che già dal titolo…Mi scusi, brav’uomo, sa se a Ovada ci sono delle mucche? La mia frequentazione con Gian Marco e con il suo immenso Ferrovie del Messico, uno dei romanzi più sorprendenti e originali che io abbia mai letto, è stata assidua e convinta. L’abbiamo presentato insieme, e con le splendide letture di Silvia Perosino, diverse volte, il suo librone. Ho letto e riletto molte sue parti, e ogni volta ci ho trovato quella vena di follia narrativa che fa la differenza. Poi può piacere oppure no, ma la differenza c’è eccome. Una vena di follia narrativa che ho ritrovato in pieno in questo racconto. Ancora una volta il tema del padre e del figlio che, in una picaresca, comica, pazzesca avventura, vanno cercando l’essenza della mucca in Ovada e dintorni. Un racconto che mi ha ricordato il miglior Stefano Benni (e scusate se è poco), pur mantenendo una sua propria – incredibile – originalità. Eh si, mi sono fatto pure un sacco di risate, a leggerlo, risate piene di ammirato stupore. Volete che ve lo definisca in una parola? Fantasmagorico.