Piemonte: parte la riforma della medicina territoriale, che investe sui medici di famiglia
Garantire l’effettiva realizzazione della continuità delle cure, la presa in carico della cronicità ed una migliore accessibilità alle prestazioni, anche nei territori montani o con caratteristiche di zona disagiata, sono gli obiettivi di una progetto di riorganizzazione della medicina territoriale in Piemonte che la Giunta regionale intende attuare in tempi rapidi.
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A presentarlo sono stati il presidente della Regione Alberto Cirio, l’assessore alla Sanità Luigi Genesio Icardi e il coordinatore del Gruppo di lavoro sulla Medicina territoriale, Ferruccio Fazio.
L’operazione si basa su un progetto sul quale dal 2021 la Regione metterà a bilancio 10 milioni di euro all’anno, oltre ai 17,3 milioni già destinati alle attrezzature sanitarie di diagnostica di primo livello a favore dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta e all’investimento di 7 milioni deliberato il 20 novembre scorso per la telemedicina.
All’assistenza primaria viene assegnato il ruolo cardine dell’assistenza territoriale, potenziando le attuali forme associative di gruppo e di rete della medicina generale. I medici che sceglieranno di lavorare in una di queste due modalità potranno essere supportati da personale di studio: il 60% potrà disporre di personale di segreteria (oggi è il 43%) e il 40% personale infermieristico (oggi siamo al 19%). Questo perché la modalità di lavoro in gruppo consente maggiori sinergie ed economicità di scala (per esempio permette di sommare i singoli rimborsi per personale di studio e infermiere e di suddividere le varie spese) e nel contempo la maggior soddisfazione per i cittadini, che trovano così un’offerta di prestazioni allargata, comprese le proposte di medicina proattiva, e un medico disponibile per più ore mattino e pomeriggio. Nei territori molto ampi, con popolazione scarsa e ambulatori medici più dispersi, invece, la scelta migliore potrà essere la medicina in rete, che non prevede l’obbligo di una sede unica, consentendo ai medici di mantenere i loro ambulatori per non compromettere la capillarità dell’assistenza e favorire l’accessibilità agli assistiti. Può essere prevista una sede di riferimento (preferibilmente messa a disposizione dall’Azienda sanitaria locale) nella quale svolgere interventi programmati (per esempio, medicina di iniziativa per i medici, oppure vaccinazioni per i pediatri) o all’interno della quale prevedere una presenza a rotazione, se necessario al raggiungimento della copertura oraria eventualmente prevista. A supporto delle forme organizzative complesse viene istituita la figura dell’infermiere di comunità, per un favorevole sviluppo dell’assistenza proattiva mediante la costituzione di team di presa in carico.