Che cosa succede quando muore un’artista (ovvero un artista)?
Quando muore un’artista (ovvero un artista) diventiamo tutti più poveri e ce ne rendiamo conto quasi subito, perché senza averlo deciso lasciamo libera la mente di andare alla ricerca dei ricordi che ci legano alla sua immagine e, se c’è stata frequentazione personale, anche ai momenti condivisi.
Accade che gli artisti ci siano familiari pure se li abbiamo visti agire soltanto su un palcoscenico oppure muoversi nell’apparecchio televisivo o proiettati su uno schermo cinematografico; naturalmente ci sono anche quelli che sono soprattutto voce oppure musica, una serie di suoni che riconosciamo all’istante per averci fatto compagnia mille e mille volte. Comunque sia, un’artista (ovvero un artista) ci incuriosisce sempre, anche se poi lo portiamo subito subito al bivio terribile del “mi piace” e del “non mi piace”; ma sempre dovremmo ricordare che ci ha regalato un poco del suo tempo allietando il nostro (o almeno ci ha distratti dalle pene quotidiane).
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Soprattutto ci ha offerto un poco del suo talento, affinato sempre da studio e riflessioni, da estenuanti prove di spettacolo sorrette dalla passione, da una grande energia che non sempre è ripagata da applausi entusiastici, da sorrisi incoraggianti, dal pagamento di una prestazione che si deve sempre considerare duro lavoro, anche se distribuita agli astanti con espressione lieta al punto da farla sembrare semplice, leggera, facilmente ripetibile da tutti. Ecco, questo è un piccolo segreto dell’artista, che stringe i denti, soffre, reagisce, resiste alla avversità e non vuol mai dar a vedere quanto sia difficile affrontare la sua arte ogni giorno, rappresentazione dopo rappresentazione, senza caricarla con i propri problemi, perché fra i suoi compiti c’è anche quello di allietare (non dimentichiamo quelli intesi a provocare, ad emozionare, a suscitare riflessioni…).
Chi glielo fa fare all’artista di impegnarsi così tanto? Ci sono tanti altri mestieri che esigono meno, molto meno e ti permettono di prender fiato quando vuoi e non di chiamarla pausa fra una battuta e l’altra, senza permetterti di perder l’attenzione dovendo esser sempre presente a te stesso, a te stessa.
E poi ci sono quelli che sono artisti e lavorano dietro le quinte e non si vede che anche loro sono parte dello spettacolo, perché l’artista deve pagar dazio e mettersi in mostra, esporsi continuamente, correndo il terribile rischio di sparire ed invece si è preso quel necessario momento di riflessione che si chiama ricerca di una nuova idea e poi preparazione di un nuovo progetto e quindi messa in prova di un nuovo spettacolo. L’artista ci offre qualcosa sempre, anche quando non lo vediamo, anche quando non si rende visibile, perché la serietà professionale esige studio e preparazione ovvero le due chiare dimostrazioni di rispetto per il pubblico, che sia esso pagante o soltanto passante (come accade agli artisti di strada).
Non posso dimenticare quelli che non sono, che non possono essere artisti sempre anche per le esigenze materiali della vita, ma hanno imparato un’arte e non la mettono affatto da parte e non appena hanno (o si costruiscono) l’occasione, non perdono tempo e si mettono in gioco, affrontando anche loro quel “pugno nello stomaco” che si avverte prima di andare in scena, che non si può descrivere se non lo si è vissuto con intensità, con partecipazione, con apprensione. Anche loro ci arricchiscono e quando muoiono ci rendono più poveri, perché lasciano una traccia dettata da quell’impegno che lo distingue dal dilettantismo, che ha soltanto finalità ludiche spinte da personali e talvolta velleitarie richieste di appagamento (che un poco mortificano l’arte, purtroppo; sono questi i terribili sé-dicenti, privi del supporto di seri studi e autentiche pubbliche dimostrazioni e che millantano d’aver talento).
Nessuno può definirsi artista e nessuno può decidere che qualcuno sia un’artista (ovvero un artista), perché queste sono cose che decide il percorso di vita, l’esistenza del talento e le occasioni per poterlo mostrare, confidando anche nella fortuna. Ci sono artisti noti, altri addirittura famosi, però moltissimi sono stati apprezzati da pubblici meno numerosi, ma sono tutti parte dello stesso mondo, quello dello spettacolo e perciò dovrebbero godere di egual considerazione.
A tutti rivolgono un affettuoso pensiero e formulo quell’augurio, valido per questo e per quell’altro mondo, che noi tutti che siamo parte di questa compagine fa comunque piacere sentir dire (si riferisce alle deiezioni dei cavalli trainante le carrozze che portava il pubblico a teatro) e che scrivo in modo palese (perciò chiedo venia ai lettori) ovvero “merda, merda, merda, tantissima merda!”