Orsù, mobilitiamoci per strappare dall’oblio i gloriosi oggetti del nostro recente passato
Suvvia, muoviamoci e raccogliamo firme, mobilitiamo masse, esortiamo le autorità affinché siano salvate le ultime vestigia d’un glorioso passato fatto di telefonate all’addiaccio o nell’oppressione della calura (talune furtive), vissute nella perenne ansia di non aver abbastanza credito in forma di gettoni telefonici, monete, schede prepagate.
Ecco che una delle ultime cabine telefoniche giace, pressoché abbandonata a sé stessa, avvolta nella totale indifferenza, anche quando immersa, ad inesorabile cadenza mensile, nel mercatino delle anticaglie divenendone parte integrante sino alla triste conclusione di far parte della merce invenduta e comunque inamovibile.
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Ci dovrà pur essere una qualsivoglia via d’uscita, una soluzione alla “capra e cavoli”, un’ingegnosa intuizione con cui sia possibile se non riportar a nuova vita l’ormai antico manufatto, almeno rispolverarne il senso richiamandolo dal passato con un’opportuna collocazione museale, ad onor di memoria di un vissuto comune e non del tutto dissolto.
Se non per vivido senso di giustizia, quanto meno per vigoroso scatto d’orgoglio per esser stati suoi contemporanei nel tempo dello splendore e dell’utilità manifesta e tutt’altro che tacita, perché “piange il cuore” (con puro slancio retorico) vederla soggiacere accanto alle più attuali soluzioni d’allestimento effimero in spazi aperti, come quelle adottate per la “sala riunioni” che risolve il problema del distanziamento disposto dalle misure di prevenzione della pandemia, che fa ben il paio con la “mostra pittorica collettiva” e, per ultima benché tutt’altro che ultima, installazione denominata “vecchia motoretta” con possibilità di performance (sempre che si avvii il motore e la candela non faccia le bizze, sennò tocca smontarla con la chiave “fattapposta” e darci una bella raschiata con un pezzo di cartavetrata, tipo zero).