Il Salto dell’Acciuga: ma come andò che un pesce di mare si tuffò nella bagna cauda?
Questi sono i giorni della bagna cauda (che noi italiani, che siamo notoriamente esterofili, chiamiamo “Bagna Cauda Day”): una bellissima festa di colori e sapori (forti), di pane, vino, verdure (il cardo gobbo di Nizza Monferrato ne è il re, di queste verdure), polenta, ovetto alla fine per chi gradisce e quant’altro il gusto di ognuno voglia apprezzare.
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Ma non preoccupatevi: non è per nulla mia intenzione proporvi la “mia” ricetta della bagna cauda, che intanto ce ne sono una nessuna e centomila, come accade di tanti piatti della tradizione. Se desiderate leggerne una, insieme a notizie varie e accompagnata da foto decisamente belle, tanto che vi parrà di sentire il forte aroma della “bagna”, vi rimando ad un blog molto ben fatto, che trovate a questo indirizzo: https://maccaronireflex.it/bagna-cauda-ricetta-tradizionale-piemontese/ …consentitemi di garantirvene la qualità: è di mia figlia, che è immensamente appassionata della cucina tradizionale piemontese, ma anche molto rigorosa, perché è laureata in qualcosa di molto bello che c’entra proprio con l’alimentazione.
Se poi invece di navigare in rete, preferite la lettura, e volete avere una marea di notizie rigorose in merito alla bagna cauda, allora non posso che consigliarvi il bel libro dell’alessandrino Luigino Bruni: “La bagna cauda. L’origine e la storia ricette famose di ieri e di oggi”.
Io vorrei invece invitarvi ad un viaggio un po’ rapsodico e molto poco rigoroso, fra emozioni culinarie, vecchie vicende, ricordi personali, strade del sale da percorrere su un carro e un libretto altrettanto rapsodico e un po’ sconclusionato, ma bellissimo: “Il Salto dell’Acciuga” di Nico Orengo.
Da dove incominciare? Incominciamo da una tesi di laurea, quella di mia figlia…allora, immaginate questa grande aula, Università di Savona, con svariati candidati e i vari relatori, piena di ansiosi, ma felici parenti…il Relatore della Tesi di mia figlia, dal titolo «Non di solo pane – Viaggio nella “food communication” tra vecchi e nuovi media -», il Prof. Felice Rossello, la presentò dicendo questa frase lapidaria: “E ora, signori, attenzione, qui si fa sul serio, qui si parla di bagna cauda!”…l’effetto fu straordinario, il silenzio assoluto, l’attenzione totale…eh sì, che la si ami o la si detesti, la bagna cauda può fare questo effetto!
Che poi a ripescare nei ricordi di mio padre (che di ricordi ne ha parecchi, visto che ha compiuto 94 anni), altro che “bagna cauda day”: quando era molto più giovane, lavorava per la Ditta Aviosi di Oviglio, e il suo mestiere era di guidare i pullman pieni di turisti in gita in mezza Italia e oltre…e aveva l’ottima abitudine, vista la responsabilità delle 50 persone che scarrozzava, di essere totalmente astemio! Così, quando a Nizza Monferrato si giungeva al tardo autunno, e venivano esposti cartelli come quello che vedete nella foto legata a questo articolo, veniva precettato da un gruppo di “degustatori” di bagna cauda…e soprattutto dello squisito Barbera di Nizza Monferrato che l’accompagnava…e vi assicuro che al ritorno l’unico sobrio era rimasto lui! Perché la bagna cauda è anche questo (beh, periodo pandemico a parte, eh?): convivialità, amicizia, vera e genuina allegria di popolo!
Ma com’è che ci fu, questo salto dell’acciuga dal mare ad una terra che di mare non ne ha? La prima notizia scritta sulla bagna cauda è del 1875, quando il romanziere Roberto Sacchetti, nato a Torino nel 1847, descrive la salsa praticamente così come la conosciamo oggi, preparata nella stessa maniera in cui viene preparata ancora oggi e con lo stesso nome, descrivendo quella da lui gustata a Montechiaro d’Asti, terra originaria della sua famiglia, dove trascorse i primi tempi del matrimonio. Ma prima? Prima tutto è soltanto leggenda: storie bellissime e avventurose di colonie di saraceni insediatisi in Val Maira, di ebrei commercianti confinati nell’alto Cuneese, di mercanti provenienti dalla vicina Provenza, di contrabbandieri che nascondevano il sale (merce assai preziosa) sotto uno strato di acciughe…
Che poi, ad essere pratici e concreti, non possiamo che pensare alle cosiddette “vie del sale”, ovvero gli antichi percorsi di commercio che mettevano in comunicazione la pianura Padana con il mar Ligure: il sale infatti, utilizzato per la conservazione dei cibi, era la più preziosa delle merci trasportate dai muli o dai carri, insieme all’olio ligure, a lana, pelli, cuoio, lino e canapa provenienti da oltremare, in cambio del vino e di altri prodotti dei versanti padani…acciughe comprese! Le acciughe erano infatti un’altra delle merci che transitavano dal mare verso la pianura. Giustamente quindi è intitolato “Le vie del sale”, al plurale, un libro di Fabrizio Capecchi, che illustra nove itinerari fra pianura e mare, che varcano l’Appennino ligure in altrettanti passi. Volete conoscerne almeno uno? Semplice: la strada che da Genova passa per la valle del Polcevera o per quella del Bisagno, e di lì sul versante padano viene a trovarsi proprio nei nostri bacini dello Scrivia, del Curone e del Trebbia.
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E veniamo dunque, per i pochi che non si saranno stancati di questa lettura, al bellissimo libricino di Nico Orengo. Ma chi era costui? Se vi capita di passare a La Mottola, luogo notevolmente bello non lontano da Ventimiglia, potrete trovare nel cimitero la tomba del Marchese Nico Orengo…che mai in vita adoperò questo antico titolo, di famiglia nobile genovese di Orange. Invece, in vita, visse e abitò a Torino, lavorando dal 1964 al 1977 presso le edizioni Einaudi, per cui ha pubblicato quasi tutti i suoi scritti. In questo libricino (piccolo e di splendida leggibilità) si trattano le varie ipotesi leggendarie, e le poche notizie storiche, con garbo ed ironia. Ma la bellezza del testo sta anche nel fatto che il libro non è un romanzo, ma non è neanche un saggio, una narrazione storica. È invece un’indagine semiseria, che mescola notizie storiche, racconti privati, storie di paese, ricordi e chiacchiere, un po’ come ho fatto io in questo articolo.
Lasciatemi allora citare le parole del grande scrittore Mario Rigoni Stern a proposito di questo libro: “Storie che si intrecciano, antiche, vecchie e nuove; pescatori, donne, finanzieri, contrabbandieri di sale, acciugai…Pagine dove paesi, montagne, strade, pesci, navigli, alberi, odori, valichi, rade, approdi, hanno nomi precisi da molto tempo, così che tutto appare vivo, gustato, cantato e concreto…in tutto il racconto si sente l’odore dell’aglio, del salso del mare, delle valli nascoste…”
Infine, non dimentichiamo (e cito a memoria Carlin Petrini) che la bagna cauda è un piatto che ha il potere di socializzare i commensali. Intingere lentamente le verdure di stagione del nostro territorio, la polenta, l’uovo, in questa salsa calda, accompagnato da tanto pane, da sorsi di buon vino rosso e giovane, non può che far fraternizzare. Ma ricordiamo sempre che la bagna cauda è cibo da gustare lentamente senza l’occhio sull’orologio per paura di fare tardi.
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