Tutti i colori del pianoforte nelle mani di Simone Rebecchi
Mozart ha detto che “Tre cose sono necessarie per un buon pianista: la testa, il cuore e le dita”. Indubbiamente tutte e tre le abbiamo trovate, noi fortunati ascoltatori, nel concerto che Simone Rebecchi ha tenuto nella splendida Sala Consiliare del Municipio di Oviglio, organizzato dalla Oviglio Arte Onlus, capitanata dalla Presidente Arianna Torriani, appassionata e simpatica “attivista d’arte”.
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Simone Rebecchi, pensate, è nato nel 2001, ma con i suoi vent’anni suona magnificamente, e oggi ci ha proposto un repertorio davvero impegnativo, che ha affrontato con le tre “cose necessarie” indicate da Mozart. Ma lasciatemi anche parlare della sua reticente timidezza, che quasi ci ha impedito di applaudirlo come meritava, perché dopo pochi istanti di applausi, meritatissimi, si risedeva in fretta al pianoforte per riprendere a suonare…ma questa tenera timidezza non gli ha certo impedito di suonare benissimo!
Ha iniziato il concerto con un trittico di Debussy, forse il più geniale di tutti i compositori del primo ‘900, che ha saputo trarre davvero dal pianoforte, con le sue composizioni straordinarie, tutti i possibili colori della musica. “Estampes”, infatti, composta nel 1903, comprende tre stupendi quadri musicali dal forte carattere descrittivo.
Pagodes, il primo brano, richiama alla mente dell’ascoltatore l’immagine di meravigliose pagode che si stagliano su un incantevole paesaggio orientale: ecco, Debussy scrive nello spartito: dèlicatement et presque sans nuances…ed è esattamente così che l’ha interpretata Simone, come una morbida passeggiata sentimentale delle sue mani sui tasti neri dello strumento. Ci ha presi per mano e guidati in un universo parallelo fatto di sogni e visioni di bellezza davvero sublime, come in un incanto.
Con La soirée dans Grenade ci troviamo completamente immersi in una calda atmosfera spagnola fin dalle prime note, che Simone è riuscito a rendere benissimo, tra accenni fugaci di melodie e susseguirsi di ritmi che non sono affatto presi dal folclore spagnolo: sono evocazioni della Spagna.
L’ultimo brano di questo splendido trittico è Jardins sous la pluie, forse la pagina pianistica più nota di Debussy: è la descrizione musicale di un acquazzone autunnale, lo scroscio regolare della pioggia, gli zampilli allegri delle gocce d’acqua, l’infuriare del vento. Simone ce l’ha proposta in un insieme calibratissimo di fantastico virtuosismo (le sue dita volavano letteralmente sulla tastiera, ve lo assicuro perché mi sono alzato in piedi – dietro non ci stava nessuno, eh, mica sono così cafone! – per osservare meglio quelle mani così duttili) e di assoluta limpidezza sonora. Davvero bravo.
Dopo questo splendido trittico, Simone Rebecchi ci ha proposto l’immensa Sonata n. 30 in mi maggiore, op. 109 di Beethoven. E qui ho ammirato, prima ancora che iniziasse la sua interpretazione, l’intelligenza musicale di Simone. Perché l’Op. 109 ha un primo movimento che è in eeffetti molto corretto formalmente, ma appare all’ascoltatore come qualcosa di molto rapsodico, esattamente come i brani di Debussy appena ascoltati: era come se l’interprete ci proponesse un arco intellettuale fra Debussy e Beethoven. Operazione ardita ma riuscitissima.
Che dire di questa Sonata? Uno dei tardi capolavori (fa parte del trittico delle ultime) di un uomo che viveva con un rumore fastidiosissimo e continuo nelle orecchie, ma che caparbiamente continuava a comporre musica, sino a donarci una manciata di immensi capolavori. Vi dirò soltanto che il grandioso terzo movimento di questa sonata è un Andante molto cantabile ed espressivo, che nel corso di sei successive Variazioni, viene incredibilmente trasceso, dissolto e sublimato, fino a risorgere apparentemente uguale a sé stesso, ma in realtà avvolto in una luce che lo cambia radicalmente, sino alla più incredibile trasfigurazione. Tutto ciò fra brani fugati che si rifanno a Bach e momenti di grande concitazione.
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E Simone? Lo ascoltavo e ad un certo punto mi sono reso conto di assaporare nota per nota, una musica a tratti limpidissima e commovente, a tratti vorticosa…che veniva suonata con una appassionata vitalità. Bravissimo.
E veniamo al brano più evidentemente virtuosistico, la Ballata n. 2 in si minore di Liszt. Chi ascolta questo brano, fantastico davvero, deve tenere presente una suggestione letteraria, che rimanda al mito classico di Ero e Leandro. Il giovane Leandro raggiungeva a nuoto tutte le notti la sua amata Ero, sacerdotessa di Afrodite, che teneva accesa una lampada per orientarlo; in una notte di tempesta il lume si spense e Leandro morì annegato. Il corpo senza vita dell’amato, riemerso la mattina seguente sulla riva, indusse la sacerdotessa ad uccidersi, lanciandosi da una torre. Mito di amore e morte, come altri molto amato dagli artisti romantici, fornisce l’orizzonte simbolico di questo brano virtuosistico, percorso da un’angosciosa fatalità.
Ed ecco che l’inizio è un ribollire di scale cromatiche ascendenti e discendenti al basso su cui si staglia, quasi ad imitare il vento che spazza l’orizzonte, e poi tutta la composizione è un alternarsi continuo di oasi di dolcezza (l’incontro fra i due amanti) con momenti davvero tempestosi ed immensamente virtuosistici. Un brano davvero travolgente! E qui, a dimostrazione che questa è davvero un’analisi che ha anche un senso critico, e non un’apologia di Simone Rebecchi, vorrei esprimere un piccolo parere non del tutto positivo.
Perché se nelle parti tempestose ed estremamente virtuosistiche, Simone mi è parso davvero straordinario (anche qui osservando le sue mani da in piedi, come prima), ho avuto l’impressione che nel momento della tenerezza, dell’espressione più amorosa, Simone fosse un po’ meno efficace…si abbandonasse poco, fosse un filino troppo, come dire…reticente all’abbandono sentimentale…ma prendetela come l’opinione personale di ascoltatore qualunque, eh? Aggiungo che in un ragazzo di vent’anni, lo spazio per ogni qualsiasi maturazione “sentimentale” è totalmente a sua disposizione. Ma può anche essere che si sia trattato di una volontaria scelta interpretativa di Simone, puntare più sul lato impetuoso e virtuosistico della Ballata…infatti, alla fine del brano, lo straordinario virtuosismo di Simone ci aveva tutti travolti e totalmente conquistati!
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Infine, il bis, che Simone (ve l’avevo detto che era timido) non ha annunciato…mi è sembrato di riconoscere il bellissimo, delicatissimo Intermezzo Op. 117 No 2 in Si bemolle minore di Brahms. Da lui suonato con il giusto abbandono e dolcezza…insomma, Simone ci ha lasciati davvero con il cuore, in un’atmosfera bellissima, di sogno, regalando a tutti noi, in questo splendido concerto, tutti i colori del pianoforte, ma anche il grande entusiasmo della sua giovinezza.