Un viaggiatore anomalo in territori mistici: Ferdinando Caputi fra Madre Teresa e il Dalai Lama.

Giovedì 28 Aprile, al Museo della Gambarina, una serata davvero particolare. Ferdinando Caputi, Archeologo (da poco in pensione), ci ha guidati in territori mistici, pescando dai suoi ricordi (con l’aiuto di un po’ di diapositive) di trent’anni fa, fra l’India dalle mille religioni – con un particolare riguardo alla figura davvero gigantesca di Madre Teresa di Calcutta – e la mistica ad alta quota del Buddismo tibetano. All’epoca era impegnato in scavi archeologici, in un sito risalente a circa diecimila anni fa, nella Valle dell’Indo, India Nord Ovest, quando decise di compiere un viaggio in India ed in Tibet, un viaggio certamente “da viaggiatore” che vuole conoscere ed imparare, ma soprattutto un viaggio mistico e spirituale, per cercare il senso più profondo di un grande, immenso paese, ma anche per imparare a conoscere sé stesso.

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E allora eccoci anche noi in viaggio, guidati dalle parole assai coinvolgenti di Ferdinando Caputi, nell’india popolata da migliaia e migliaia di divinità, con tantissime fedi e tantissime religioni, tra l’infinità di divinità presenti nell’induismo per arrivare al Dio unico dell’Islam, passando dal Buddismo sino al Cristianesimo compassionevole e portatore di pietà infinita di Madre Teresa di Calcutta.

Ma questa disquisizione era tutt’altro che pedante, anzi: Ferdinando Caputi ha saputo proporre le giuste digressioni, ed ha usato una sapiente quanto efficace ironia…Un esempio? Ad un certo punto, dopo averci parlato delle infinite divinità dell’induismo e delle altre importanti religioni, ci ha confessato, con una disarmante nonchalance: “E infine, dopo aver frequentato tante religioni, mi sono ritrovato ateo!”.

Ma poi ci ha spiegato un concetto davvero fondamentale: se in effetti l’Induismo vede un mondo pieno di Dei, che peraltro potrebbero esseri venuti dallo spazio, perchè i testi induisti descrivono molto bene delle vere e proprie astronavi calate sulla preistoria indiana (i cui astronauti avrebbero dato origine all’attuale moltitudine di Dei dell’induismo), quello che però in fondo conta davvero è saper sempre fare la giusta distinzione fra religione e spiritualità. Perché in conclusione la spiritualità è ciò che tutte le unisce, le infinite divinità indiane, nei due concetti fondamentali di PACE & AMORE.

E ci ha quindi condotti in tanti luoghi davvero pieni di incanto, fra le varie architetture dei templi o dei palazzi, tra colori di volta in volta diversi per ogni città, colonne di basalto lavorate al tornio con arte infinita, statue di divinità danzanti, dove ogni piccolo oggetto ha un immenso valore simbolico.

Ma, ci ha anche spiegato, il problema dell’india è immenso divario che pone accanto a grandi eccellenze tecnologiche ed informatiche, le due cose che bloccano una vera evoluzione sociale e spirituale: il problema delle caste e quello della immensa e diffusa miseria. Partendo da questa desolante constatazione, ci ha accompagnati quindi al vivido ricordo della sua conoscenza di Madre Teresa di Calcutta. Una piccola donna dall’infinita energia. Che subito ha colpito il nostro narratore per la sua spregiudicata ricerca di denaro (tra le primissime tematiche della loro prima conversazione: quanti fondi potrà donare la vostra università?), che la facevano sembrare una “business woman” e nulla più. Ma dopo questa impressione, Ferdinando Caputi si è reso conto che Madre Teresa non chiedeva per sé, per interesse o per brama di denaro, ma solo e soltanto per aiutare gli altri. E aiutarli tutti, senza distinzione di razza, fede, religione, solo e semplicemente per amore. E noi che ascoltavamo, abbiamo compreso bene che Madre Teresa ha donato ad Alessandro Caputi un’immensa energia vitale, per la quale ancora adesso il nostro relatore appare sinceramente riconoscente.

Infine, ultimo ma non ultimo, ci ha portati con sé nella sua avventura tibetana, durante la quale ha interagito anche con il Dalai Lama, ma, soprattutto, ha vissuto in un villaggio di monaci. Ha però precisato che oggi il Tibet è una nazione stravolta dall’invasione cinese del 1959, durante la quale vennero distrutti tantissimi templi e ci fu una vera e propria strage di monaci. Lui, comunque, si è recato in un piccolo villaggio di alta montagna, a circa 4000 metri di altitudine, dove si fa fatica a respirare, si vive con due pugni di riso al giorno o poco più, ed ogni cosa assume senso e valore in modo estremamente diverso dal nostro occidentale modo di vedere la vita. In quel luogo i monaci si dedicano ad una perenne, profonda, meditata introspezione…precisando però che chi non ha mai vissuto una realtà simile direttamente lassù, non potrà mai davvero capire la loro filosofia di vita. Poi ci ha parlato della loro conoscenza delle erbe curatrici, con le quali lui stesso è stato egregiamente guarito da una ferita, ma anche della forza dei mantra, che, se intonati da un grande coro di monaci, possono portare perfino uno di loro a levitare di una decina di centimetri, come lui stesso ha potuto osservare. E la cosa forse più bella: l’infinito rispetto per ogni essere vivente, per minuscolo che sia, anche perché possibile reincarnazione di un essere umano, nell’immenso ciclo di reincarnazioni che porteranno infine al Nirvana.

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Ma ecco che la stupenda ironia di Alessandro Caputi è tornata prepotentemente nella parte conclusiva della sua esposizione, quando sorridendo ci ha confessato: “Ho avuto un Maestro fra i monaci del villaggio, ho ascoltato i suoi insegnamenti…ma non li ho mai messi in pratica!”.

Con un brivido un poco horror ci ha infine mostrato una diapositiva che raffigurava il suo rosario di preghiera buddista…composto di tanti piccoli teschi…cesellati da parti dello scheletro di un monaco buddista! Per poi concludere, serafico, davanti al nostro interdetto stupore: “Ma in un negozio etnico, li trovate sicuramente anche in altri materiali…” Un’ironica ed intelligente conclusione per una serata davvero particolare, giocata tra evocazioni di luoghi favolosi e così diversi da ciò che ci circonda, fra grande erudizione ed una sapida ironia.