Il cancro nell’era post Covid riparte dal territorio
L’attenzione è altissima sull’oncologia territoriale, sul tema spinoso della carenza di medici oncologi e infermieri e sulla loro formazione per assistere al meglio i malati oncologici. Attenzione altissima anche sui bisogni e le aspettative dei pazienti nei confronti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), sul valore della multidisciplinarietà e delle terapie innovative. Discutono sul presente e sul futuro dell’oncologia i massimi esperti che si sono riuniti al convegno “ONCOnnection. Stati generali – Nord Ovest: Piemonte, Liguria, Lombardia” organizzati da Motore Sanità con la sponsorizzazione non condizionante di Daiichi-Sankyo, Janssen Pharmaceutical Companies of Johnson & Johnson, Gilead, Merck, Novartis e Takeda. Obiettivo: mettere nero su bianco non solo quello che esiste e che arriverà, ma anche ciò che realmente serve per rispondere efficacemente ai bisogni dei malati oncologici.
Ogni giorno in Italia si registrano mille nuovi casi oncologici, mentre tre milioni e mezzo di italiani
vivono dopo una diagnosi di cancro, di questi circa 280.000 sono piemontesi. Si stimano 377.000 nuove diagnosi annuali di tumore, circa 195.000 fra gli uomini e circa 182.000 fra le donne.
Attualmente il 50% dei malati riesce a guarire, con o senza conseguenze, una buona percentuale dei restanti ha maggiori possibilità di controllare la malattia cronicizzandola.
“A fronte di questi numeri – ha spiegato Alessandro Stecco, Presidente della IV Commissione sanità di Regione Piemonte – cure migliori e personalizzate, ricerca scientifica, qualità della vita dei malati e dei pazienti guariti, prevenzione e diagnosi precoce sono i topic su cui istituzioni, privati, università e mondo del volontariato sono chiamati a confrontarsi per una sfida che ogni giorno è più globale. Dobbiamo ricordare che l’amministrazione della res publica obbliga alla costruzione della spesa pubblica che è speranza, aspettativa e prospettiva nell’oncologia e nell’oncoematologia”.
“Partendo dalla constatazione che la nostra Rete oncologica piemontese è di assoluta eccellenza e della quale le nostre istituzioni non posso che esserne fiere – ha aggiunto Silvio Magliano, Componente della IV Commissione Sanità di Regione Piemonte – sarà sempre più necessario sviluppare anche in questo campo un forte rafforzamento dell’elemento territoriale e della domiciliarità, sia come chiave di maggior efficacia del sistema si come ulteriore passo verso una reale e concreta umanizzazione delle cure.
“Il modello Piemonte con la sua Rete oncologica è sempre stato riconosciuto come una modalità organizzativa efficiente – ha ribadito Carlo Picco, Direttore generale dell’Asl Città di Torino e
Commissario dell’Azienda Zero del Piemonte -. La recente istituzione dell’Azienda Zero che ha nel
suo atto aziendale l’afferenza della rete oncologia può costituire un ulteriore elemento di rafforzamento dei percorsi oncologici. Ci troviamo nella possibilità di imporre un’accelerazione sia
nell’assistenza, e penso anche grazie al progetto di telemedicina in oncologia già sviluppato e in fase di attuazione in tre province regionali, come nella ricerca, con le università regionali e in collaborazione con l’IRCSS di Candiolo e le fondazioni bancarie. Il quadro è quindi in questo settore positivo, in evoluzione e comunque fondato su solidi pilastri di gerarchizzazione delle aziende con modalità di presa in carico efficaci. Le zone d’ombra saranno comunque affrontate nella logica di una programmazione regionale e sovraziendale”.
Dopo il Covid in oncologia deve nascere un nuovo rapporto tra ospedale e territorio. È l’appello dei clinici. “In ospedale restano ovviamente gli interventi chirurgici, le terapie endovenose, i protocolli sperimentali, quelli ad alta tecnologia come le terapie con Car-T cell, la radioterapia – ha
spiegato Alessandro Comandone, Direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Asl Città di Torino -.
Sul territorio sono già in atto attive collaborazioni per le cure post chirurgia come medicazioni e riabilitazione, le terapie di supporto, ci sono iniziali tentativi di esternalizzare le terapie orali consolidate, non sperimentali, il follow up e le cure palliative. Vi è necessità al momento di implementare il dialogo tra specialisti ospedalieri, medici di medicina generale e medici specializzati in terapia del dolore e cure palliative. La Rete oncologica del Piemonte e Valle d’Aosta sta favorendo gli incontri e il dialogo tra medici, infermieri e popolazione per portare a massima efficienza il servizio offerto”.
“L’oncologia non può rimanere fuori dal nuovo sistema di assistenza territoriale previsto dal DM 77 e incluso nel PNRR – ha sottolineato Paolo Pronzato, Coordinatore DIAR Oncoematologia di Regione Liguria -. Molti dei bisogni assistenziali del paziente oncologico (non certamente quelli ad
elevato contenuto tecnologico, realizzabili solo in ospedale) possono trovare una risposta nelle
Case e negli ospedali di comunità”. E ancora: “Per il territorio (e in prospettiva per la tenuta del
nostro sistema in futuro) ecco un altro grande compito – secondo Paolo Pronzato -: i successi della
medicina moderna in tema di innovazioni terapeutiche non devono far trascurare un aspetto che
rimane fondamentale: la prevenzione, intesa sia come adozione di stili di vita idonei, né come
attenzione per la diagnosi precoce. Infatti, le maggiori garanzie di guarigione – anche con i nuovi
farmaci – si realizzano quando la neoplasia può essere affrontata precocemente. In questo senso
molto si deve ancora fare per quanto attiene l’educazione sanitaria (abolizione del fumo,
alimentazione, attività fisica, protezione della pelle, ecc.) e per quanto attiene gli screening: non
solo per l’adesione agli screening tradizionali (mammella, intestino, utero), ma anche per
l’implementazione di nuove modalità come screening personalizzati sulla base dell’oncogenetica e
screening del tumore polmonare in forti fumatori”.
Sono previsioni grigie quelle che riportano i massimi esperti. “In ambito oncologico si assiste ad un
costante aumento dei costi, oltre 19 miliardi di euro all’anno. L’incremento è dovuto soprattutto alla spesa per i farmaci e agli investimenti per il rinnovo tecnologico e l’inserimento di nuovi strumenti per diagnosi e terapia. Bisogna poi ricordare che è assolutamente necessario recuperare i due milioni e mezzo di esami di screening non eseguito e che hanno determinato alcune migliaia di mancate diagnosi” ha spiegato Roberto Orecchia, Direttore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia. “La prevenzione è forse il settore che più ha sofferto in questi due anni e spiace osservare che si sia sentita la necessità di intervenire con un piano straordinario. Gli altri indicatori, e la mortalità in particolare; per il momento non hanno mostrato flessioni ma per avere un quadro definitivo bisognerà attendere i prossimi 3-5 anni”.
Il PNRR, secondo Roberto Orecchia, offre una straordinaria opportunità per migliorare la situazione della salute pubblica. “A fronte dei molti miliardi disponibili occorre una visione complessiva che metta a terra queste risorse con una sinergia ed una programmazione che veda lo Stato e le Regioni in totale condivisione” ha concluso Roberto Orecchia.
Dal PNRR ci si aspetta molto. Carlo Nicora, Direttore generale della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, ha spiegato: “Il PNRR ha focalizzato l’attenzione sul tema della medicina territoriale, sempre di più occorre riempire di contenuti e di funzioni i nuovi luoghi di
cura che si stanno costruendo. In Italia sono presenti circa 3,6 milioni di pazienti oncologici che
rappresentano una domanda rilevante, ma soprattutto caratterizzata da bisogni assistenziali
molto diversi che vanno dall’alta intensità (Car-T) a esigenze più di tipo socio-sanitario. Le terapie
innovative aumentano i tassi di sopravvivenza portando a pazienti con una patologia oncologica
cronicizzata. L’oncologia è pronta a una nuova organizzazione, ora solo ospedaliera, con la
delocalizzazione di alcuni trattamenti specifici per la cura dei tumori realizzando la
territorializzazione delle cure oncologiche con nuovi setting assistenziali fino al domicilio (protetto
e assistito) del paziente sfruttando al meglio la telemedicina. L’oncologia territoriale ha però
bisogno delle Reti oncologiche con percorsi diagnostico terapeutici che devono garantire la
presa in carico omogenea, l’equità di accesso alle cure, la continuità assistenziale e la ricerca
clinica diffusa e dove gli screening rappresentano una strategia irrinunciabile. La teleoncologia
che va da un servizio di telemedicina per una consulenza oncologica da remoto, alla medicina
personalizzata, sino a una research connection a livello nazionale, per mettere a fattore comune i
risultati della ricerca rappresenterà un collante tra le realtà territoriali e gli ospedali”.
Sullo spinoso tema della carenza di specialisti oncologi e in generale di personale medico in
sanità e sul ruolo dell’infermiere necessariamente formato sulle nuove problematiche
oncologiche, si è soffermata Marina Schena, Direttore dell’Oncologia ed Ematologia oncologica dell’USL della Valle d’Aosta.
“Oggi la carenza di personale è evidente in ambito sanitario e non parlo solo di personale medico.
Una assistenza oncologica adeguata richiede ovviamente la formazione di oncologi del futuro che
sappiano adeguatamente interpretare e gestire la complessa diagnostica molecolare e le terapie
innovative che la ricerca ci mette a disposizione. Richiede anche la formazione di medici palliativisti
oggi nettamente carente sia per cure simultanee sia per le cure del fine vita. Ma ancora e
soprattutto richiede la disponibilità di personale infermieristico formato sulle nuove problematiche
oncologiche, sulle tossicità dei nuovi farmaci e la gestione delle stesse, in grado di trasferire questo
tipo di conoscenze anche all’assistenza territoriale che dovrà sempre più integrarsi con l’assistenza
ospedaliera. Ritengo che occorra rilanciare il ruolo centrale della figura infermieristica
nell’assistenza al malato, in particolar modo al malato oncologico, ambito nel quale è
fondamentale valorizzare la professionalità, le conoscenze e gli spazi di autonomia gestionale”.
Paolo Pronzato è intervenuto anche lui sul cocente tema della carenza di personale: “La carenza
di personale (comincia a sentirsi anche per gli specialisti oncologi medici! ma ovviamente sono
tante le figure professionali che intervengono nel percorso di malattia del paziente oncologico) è
un problema emergente e richiede profondi ripensamenti che passano, per esempio, attraverso la
valorizzazione nel percorso di figure professionali quali il medico di famiglia e l’infermiere di
comunità, o anche una diversa ridistribuzione dei compiti tra hub e spokes (in realtà sono questi
ultimi a soffrire maggiormente per carenza di personale)”.
La voce dei pazienti è stata rappresentata da Favo, Federazione italiana delle Associazioni di
volontariato in oncologia che ha messo in campo un importante progetto.
“Favo sta formando pazienti e care giver affinché in tutte le realtà possano partecipare in modo
competente e qualificato in tutti gli snodi organizzativi cruciali: dalla elaborazione dei Pdta ai
Molecular Tumor Board – ha spiegato Paola Varese, presidente del Comitato scientifico Favo -. Il
malato è il massimo “esperto” della sua storia ma riuscire a essere interlocutore competente e,
direi, tenace nei confronti delle istituzioni richiede formazione continua e consapevolezza. Il
volontariato non deve vicariare le carenze della sanità pubblica o ridursi a un “bancomat “a cui
chiedere fondi” ma portare contributi progettuali, anche in co-progettazione, che rendano il
servizio sanitario nazionale efficace e sostenibile”.
Infine, la multidisciplinarietà. Massimo Aglietta, Coordinatore responsabile degli indirizzi
strategici della Rete oncologica di Piemonte e Valle d’Aosta e professore di Oncologia medica
presso l’Università degli Studi di Torino la spiega in questi termini: “Multidisciplinarietà è il modello
organizzativo sul quale sono attualmente costruiti i Psdta del paziente oncologico: l’interazione fra
specialisti dello stesso ospedale o di ospedali diversi è ormai un modello acquisito. La
cronicizzazione di molte malattie oncologiche rende tuttavia questo modello insufficiente per
due ragioni: a) obbliga il paziente a frequenti accessi ospedalieri con elevati costi economici,
sociali ed un impatto negativo sulla qualità di vita; b) sovraccarica la struttura ospedaliera.
Diventa pertanto indispensabile una integrazione funzionale con la medicina territoriale a cui
vanno delegati momenti significativi del percorso terapeutico. Per raggiungere questo obiettivo
occorre lavorare in tre direzioni: 1) programmi educazionali specifici per gli operatori territoriali;
2) strumenti informatici efficienti che consentano una interazione efficace fra operatori ospedalieri
e territoriali; 3) definizione delle procedure amministrative che regolano queste attività.
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