Io rispondo che mi identifico negli avverbi! – Umberto Eco: un invito alla sua conoscenza attraverso un romanzo straordinario, La misteriosa fiamma della Regina Loana.
Ero in auto, ed era il 5 gennaio: alla radio un programma dedicato ad Umberto Eco. Quel giorno avrebbe compiuto 91 anni, se fosse ancora fra noi…che poi possiamo davvero dire che uno scrittore, un intellettuale come lui, se ne sia andato davvero? Non credo proprio, grazie ai sui libri: saggi, romanzi, elzeviri, articoli, interviste ed interventi radiofonici e televisivi…e molto altro ancora. Che sono rimasti fra noi, per tutti noi, da leggere e rileggere.
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Mentre, guidando, ascoltavo appunto alcune interviste ad Umberto Eco, pescate dagli archivi radiofonici Rai, pensavo a com’era profondamente alessandrino, quello straordinario intellettuale di immenso valore internazionale. La sua “erre” così tipica di Alessandria, la sua cadenza, la sua ironia così caustica, così…alessandrina… nel programma, nell’intervista, si parlava appunto dell’Umberto Eco che, dopo anni di splendidi saggi sul linguaggio e sul mondo variegato della comunicazione fra esseri umani (Eco è stato un grande studioso e professore di Semiotica, definita su Wikipedia lo studio sistematico dei processi segnici e della creazione di significati, insomma la filosofia del linguaggio e dei sui segni) aveva deciso di provare la strada della narrativa, con quel testo straordinario, incredibile, che è “Il nome della rosa”, strada proseguita, poi con i romanzi successivi, dal Pendolo di Foucault al settimo ed ultimo Numero Zero. Io qui vi invito alla lettura del quinto: La misteriosa fiamma della Regina Loana.
Nell’intervista radiofonica Umberto Eco raccontava del suo desiderio di provare e trovare nuove strade passando dalla saggistica al romanzo, spiegava l’idea sottesa a Il Nome della Rosa, di mettere in campo, narrativamente trasfuse, le sue conoscenze medievali e le sue conoscenze sul linguaggio…un romanzo-mondo nel mondo chiuso e concluso di un grande Abbazia, ma anche di un’immensa biblioteca, nell’esplorazione romanzata della quale, Eco evidenziava in pieno la sua infinita passione per i libri antichi. Dopo l’incredibile successo del suo romanzo, dovuto almeno in parte anche alla – bella ma parecchio infedele – trasposizione cinematografica del 1986 diretta da Jean-Jacques Annaud (ma come sempre accade, se viene fatta una trasposizione cinematografica, il romanzo è già famoso di suo), Eco ebbe a dire, con la consueta ironia, ma anche con genuina gioia, quando gli chiesero come si sentiva ad essere decisamente più abbiente grazie al successo popolare tra il romanzo e il film: Finalmente posso comperarmi tutti i libri antichi che desideravo…
Ed in quella intervista radiofonica, Eco se la prendeva con quei critici, ma anche con quei lettori, che a tutti i costi volevano sapere in quale dei suoi personaggi del Nome della Rosa si identificasse. E lui a rispondere, con una cera acrimonia, che non poteva esserci, a suo avviso, un personaggio in particolare: il vero narratore, a suo dire, deve potersi identificare, di volta in volta che li espone, in tutti i suoi personaggi. E concludeva con la caustica ironia, che io trovo molto alessandrina, di cui vi parlavo: Quando insistono a chiedermi in chi mi identifico, alla fine sapete che cosa mi viene da rispondere? Che io mi identifico non nei personaggi, ma…negli avverbi!
Eh sì, era uno straordinario affabulatore, oltre che uno straordinario scrittore. Sua una frase memorabile sulla lettura: Chi non legge, vive solo una vita, la sua…chi legge vive tutte le centinaia, migliaia di vite dei personaggi dei romanzi che legge… E chi come lui, li scrive? A volte penso che Umberto Eco e mia mamma avevano la stessa età, nati entrambi nel 1932, ed entrambi in questa zona di mondo che si chiama alessandrino. Ma di mia mamma, dopo che se ne saranno andati tutti coloro che l’hanno conosciuta, non rimarrà nulla nella memoria di nessuno. Di Umberto Eco, per molto, moltissimo tempo ancora, si dibatterà, si leggeranno le sue parole, si faranno tesi di laurea sui suoi libri…già, la memoria…per ricordare l’Umberto Eco romanziere, e magari un pochino anche mia mamma, vorrei invitarvi alla lettura di un suo bellissimo romanzo, forse il più affascinante dal punto di vista della straordinaria umanità del protagonista: La misteriosa fiamma della Regina Loana – titolo che cita un fumetto degli anni ’30 – il cui tema è proprio la memoria, una memoria che si è perduta, il disperato tentativo di un uomo che cerca di ritrovarla.
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A quest’uomo in particolare, infatti capita di risvegliarsi…ricordare chi era Giulio Cesare o lo sbarco sulla Luna…ma non ricordare più nulla di sé stessi…non il proprio nome, non l’infanzia, non il nome di una donna amata. Tutto il proprio io dominato dalla nebbia. Questa è la base da cui parte questo quinto romanzo di Umberto Eco. Ed ecco che, in una sorta di romanzo di nuova, rinnovata formazione, il protagonista, Yambo Bodoni (Yambo era lo pseudonimo di Enrico de’ Conti Novelli da Bertinoro che è stato un giornalista, illustratore, scrittore e autore di fumetti italiano, noto soprattutto per i suoi libri per ragazzi, mentre Giambattista Bodoni è stato un incisore, tipografo e stampatore italiano, noto per i caratteri tipografici da lui creati: i Bodoni), cercherà di ritrovare il proprio sé stesso perduto andando nella vecchia villa dei nonni in campagna, a Solara, tra Langhe e Monferrato, nel cui solaio sono custoditi tutti i giornalini, i libri, i dischi e gli oggetti legati ad infanzia e adolescenza del protagonista.
Ma questa caccia della memoria perduta diventa per mezzo della penna di Eco una dichiarazione d’amore alla letteratura stessa, una letteratura sui generis, fatta di fumetti, riviste e libri. Grande, ad esempio, è l’emozione di Yambo nel riscoprire Salgari e tutti i suoi eroi, saldamente impiantati nella coscienza dei bambini del tempo (ma anche nella mia, se è per questo). Ma il romanzo diventa anche un grande viaggio nell’Italia fascista e del dopoguerra, con le sue vicende storiche, che Yambo rilegge nei giornali e ritrova nei dischi del nonno, ma anche nei suoi stessi temi scolastici di giovane Balilla. Non dimentichiamo – ve l’ho ricordato sopra – che Eco è nato nel 1932, quindi le letture della sua infanzia sono di un’epoca per noi molto lontana.
Ma per ovviare questo “eccesso di lontananza”, una notevole particolarità di questo romanzo è quella di essere una storia accompagnata da immagini d’epoca: i giornali, i libri, gli albi, le canzoni incontrate da Yambo, sono illustrate sulla carta del libro, grazie ad un’operazione di ricerca che permette a tutti noi di tuffarsi nell’editoria del tempo, così lontana da quella a cui siamo abituati.
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Però, lo confesso, consentitemi: l’esperienza di rivivere un po’ il proprio passato attraverso antiche carte, è capitata anche a me. Trovandomi, dopo moltissimo tempo che non ci andavo, in soffitta, nella casa dove sono nato e cresciuto, per accompagnare l’antennista che doveva revisionare l’antenna TV, mi è capitato di ritrovare, in vecchi bauli, libri, fumetti, riviste, che leggevo quando di anni ne avevo 8, 10, anche meno, anche qualcuno di più: dalle vicende di Sandokan a quelle di Tarzan, dal Giallo per ragazzi Mondadori a vecchissimi numeri di Topolino… ora che ho superato i sessant’anni, un bel tuffo nel passato, con tutte le memorie di quei tempi lontanissimi, che tutte queste riscoperte trascinano con sé.
Come avrete ben compreso, in questo suo romanzo, Umberto Eco, in maniera assolutamente diversa dai sui romanzi precedenti, ha dunque puntato sull’intimità, su quella inesausta ricerca del sé attraverso la propria storia intima, fatta della memoria di quel che si è letto, nel difficile retrocedere verso il più lontano passato, quel che siamo stati. Certo, Umberto Eco non dimentica mai di essere uno straordinario intellettuale, e nel libro fa anche un’immensa serie di citazioni ed allusioni ad autori e libri di ogni genere, che gli vengono alla mente in una girandola di inesauribili associazioni di idee. Tuttavia, credetemi, il romanzo si legge con scorrevole coinvolgimento e si viene letteralmente trascinati nella disperata ricerca di sé del protagonista, in un’esperienza narrativa davvero straordinaria.
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