L’impressionismo: i suoi colori, il suo linguaggio e la sua koinè, in mostra al Mastio della Cittadella di Torino.

Una mostra sorprendente, diversa, davvero molto interessante, nel suo essere decisamente inusuale, senza capolavori iperconosciuti, ma invece molto rappresentativa di un’epoca, di una koinè, appunto. Io ci sono andato, lo ammetto, un po’ impreparato, e la mostra mi ha lasciato, di primo acchito, assai stupito. Ci sono andato un po’ impreparato, perché quando si parla di una mostra dedicata agli Impressionisti, letteralmente mi ci tutto con l’entusiasmo di chi ama quel periodo artistico davvero con tutta l’anima. Sappiate che chi vi scrive, quando ha visitato con un gruppetto di amici, il meraviglioso Museo d’Orsay di Parigi, che espone un’immensa quantità di opere impressioniste e post impressioniste, è stato zittito con molta veemenza da un’addetta del Museo stesso perché…stava illustrando agli amici le opere del museo stesso! Robe da matti, starete pensando, ti sei fatto conoscere pure a Parigi! Vero. Ma lasciate che vi ricordi che il Museo d’Orsay è una limpida espressione della creatività italiana, perché il Museo è stato allestito in un’ex-stazione ferroviaria (la Gare d’Orsay), costruita in stile eclettico alla fine dell’Ottocento, ma il progetto di ristrutturazione museografica è dovuto alla designer italiana Gae Aulenti e il progetto di light design è stato realizzato dall’altrettanto talentuoso italiano Piero Castiglioni.

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Insomma, mi aspettavo una mostra tradizionale, che narrasse le vicende impressionistiche un po’ come a Novara, in quella stupenda mostra conclusasi il 10 aprile, di cui vi ho parlato in un mio articolo precedente (https://www.alessandria24.com/2023/04/13/la-grande-bellezza-nellantica-fortezza-larte-della-milano-da-romantica-a-scapigliata-al-castello-di-novara/) erano state narrate le vicende della Milano Romantica e Scapigliata, ovvero in ordine tematico/cronologico, con una nutrita serie di opere, più o meno famose, l’una che segue l’altra. Che poi era lo stesso modo di proporre un percorso artistico che avevo trovato nel gennaio di quest’anno alla GAM di Torino, nella splendida mostra dedicata all’800. Mi ero sbagliato, dunque, nell’aspettarmi una mostra come le altre, ma l’errore non mi è spiaciuto, perché mi ha fatto conoscere, piacevolmente, un modo diverso di proporre comunque un percorso storico e tematico, che puntava più sulla ricostruzione di una koinè, del comune sentire, cioè, a tutto tondo, di quel periodo straordinario della Storia dell’Arte.

Ma lasciatemi dire che anche l’area museale è davvero sorprendente. Perché una mostra che avrebbe potuto avere come sua sede naturale appunto alla GAM è stata invece allestita tra le austere mura del Mastio della Cittadella. Che è quanto resta, e ne era l’ingresso, dell’imponente fortezza (demolita dopo il 1856) disegnata nel 1564 da Francesco Paciotto per Emanuele Filiberto, come difesa e simbolo della nuova dignità di Torino quale capitale di uno Stato assoluto. Si, sarebbe proprio il posto dove il povero Pietro Micca, minatore dell’armata sabauda, nel 1706 perse la vita facendo esplodere una mina in una galleria, fermando così l’assedio francese e salvando la città. Sorprendente scelta, no? Ma la sistemazione interna della mostra, predisposta fra le mura imponenti, è davvero ben strutturata, tanto che quasi non ci si rende conto di dove si è realmente, e si segue un percorso dettato da riuscitissime scelte coloristiche ed espositive.

L’esposizione, che è prodotta dalla società Navigare in collaborazione con Aics e Artbookweb, con il patrocinio del Comune di Torino e della Regione Piemonte, è a cura di Gilles Chazal, già Direttore del Museo del Petit Palais di Parigi, e di Vincenzo Sanfo, curatore e studioso dell’Impressionismo. Più che alla presentazione di una serie di opere figurative, i curatori hanno voluto raccontare la storia del rivoluzionario movimento artistico nato in Francia a metà dell’Ottocento, suddividendo il tutto in tre aree tematiche, attraverso un arco temporale compreso tra il 1850 e il 1915: le origini, pre-impressionistiche, quindi il periodo centrale di grande fulgore creativo, e quindi il post-impressionismo.  Il tutto attraverso una serie di opere di diverso genere, rappresentative, proprio ai fini di ricostruire quella koinè artistica e culturale, di tutti gli artisti che hanno partecipato alle 8 mostre impressioniste, tenutesi tra il 1874 e il 1886. Quindi sono stati esposti 45 dipinti ad olio, 23 opere di tecnica mista e svariate opere grafiche, fra cui studi preparatori, ceramiche, sculture. Ma anche libri e abbigliamento, appunto per invitare il pubblico attento alla ricostruzione di un’epoca e del suo spirito, della sua koinè.

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 La prima sezione ha come titolazione Da David all’École de Barbizon: i fermenti dell’Impressionismo. Come ho scritto sopra è dedicata ai cosiddetti pre-impressionisti, coloro che da una pittura accademica e naturalistica, portarono a quella straordinaria ventata di novità che è stata la conquista dell’impressionismo. In questa sezione si trovano opere di ben 40 artisti, fra cui 16 dipinti. Mi hanno molto affascinato, in questa sezione, il dipinto Etude pour la mort de Sardanapale di Delacroix, vero e proprio incunabolo artistico di quello che sarà poi il grande pittore di La libertà che guida il Popolo.

Ma questa prima parte offre anche la visione tre dipinti di Courbet, disegni, acqueforti e l’arazzo Le spigolatrici di Jean-François Millet. Ma mi hanno colpito molto le assai rare a vedersi Cliche-Verre di Corot e Daubigny. Qui mi perdonerete se aggiungo qualche spiegazione. La Cliche-Verre è una tecnica fotografica (ormai del tutto desueta), in cui il fotografo incideva un’immagine su un pezzo di vetro affumicato sopra la fiamma di una candela. Dopo che il fotografo aveva finito di disegnare l’immagine, vi applicava sopra un pezzo di carte fotosensibile e la lasciava sotto i raggi del sole, per permettere all’immagine di passare dal vetro alla carta. Utilizzando lo stesso pezzo di vetro potevano essere realizzate numerose stampe. Un esempio, bellissimo, nella foto sottostante. Ecco, proprio qui credo stia il senso di quanto esprimevo in merito alla diversità di questa mostra rispetto al solito: io mai, da nessuna parte, a mio ricordo, ho visto l’accostamento di un olio di Courbet ad una Cliche-Verre di Corot: ma questo è proprio il senso di questa mostra, ovvero di evidenziare lo spirito artistico di quel tempo, in ogni sua forma.

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La seconda sezione, semplicemente L’Impressionismo, vede raccolte oltre 150 opere di circa 50 artisti (e, pensate, i dipinti sono soltanto 16) che del movimento impressionista furono gli straordinari protagonisti, magari con maggiore o minore fortuna. In questa sezione trovano quindi posto dipinti, disegni e acqueforti di Degas, Pissarro, Cézanne, ma anche xilografie e sculture di Gauguin. Ed ecco allora il dipinto Vase de fleurs di Manet accostato sapientemente ad alcune sue litografie, e all’acquaforte Bar aux Folies Bergère. E, proprio per rimarcare il senso di questa originalissima mostra, segnalo che accanto a una statuetta in terracotta e ad un’acquaforte, troviamo anche i piatti in ceramica dipinta di Felix Bracquemond. Tra le opere che proprio non conoscevo per nulla ho trovato La Saone se jetant dans les bras du Rhône, uno dei pastelli più grandi dell’immenso Renoir.

Infine, la terza sezione è dedicata a L’eredità dell’Impressionismo, che troviamo esplicitata attraverso le opere di 30 artisti (con 13 dipinti) come Bonnard, Toulouse Lautrec, Suzanne Valadon e il figlio Maurice Utrillo, Vlaminck. Ma torno a sottolineare che a queste tante opere figurative di ogni genere, che si vivono in un vertiginoso insieme di emozioni e visioni artistiche diverse, nella mostra si aggiungono molte altre cose, molti e diversi materiali documentali: lettere, fotografie, libri, abiti e oggetti. Sì: si è davvero voluto regalare ai visitatori non una normale mostra sull’Impressionismo, ma esporre un vero e proprio spaccato della società, una sorta di “la vita ai tempi della nascita, affermazione e decadenza del movimento impressionista dentro il suo tempo”.

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Una proposta fuori dagli schemi, molto originale. Consentitemi di invitare tutti gli appassionati d’arte, ma anche di storia e costume, di andare a confrontarsi con la singolarità di quella mostra: c’è tempo sino al 4 Giugno, Torino è bellissima e la mostra davvero assai intrigante.