La notte nell’antica Abazia di Rivalta, illuminata da uno splendido Concerto, della Insubria Chamber Orchestra, nell’anteprima del Perosi Festival 2023.

Per molto tempo, se mi avessero chiesto cosa pensavo di Lorenzo Perosi, compositore ma anche Monsignore, nato a Tortona nel 1872 (e morto a Roma nel 1956), avrei detto che era un musicista specializzato in Musica Sacra…Messe, Oratori e quant’altro legato al culto e alla religione cattolica. Beh, a mia discolpa posso dire che, pur essendo un frequentatore da molti anni di concerti di Musica Classica (o, se preferite Musica Colta Occidentale, ma Musica Classica è un modo migliore per capirci, no?), non avevo mai ascoltato musiche non religiose di Lorenzo Perosi. C’è voluto, tre anni fa, un sacerdote, che non a caso è anch’esso un compositore – e un grande appassionato di Musica – don Paolo Padrini, che incidentalmente è, guarda un po’, il Direttore Artistico del Festival Perosi di Tortona, per rendermi edotto che il compositore tortonese ha dato alla luce una copiosa produzione di musica strumentale, sinfonica, concertistica e da camera. Fra cui ben 16 Quartetti d’archi, 4 Quintetti per pianoforte e archi e 3 Trii per archi. Nessuna sinfonia, ma ben 9 Suites orchestrali, dedicate ciascuna ad una città italiana. Fantastico, no? Da allora ho cercato, acquisito ed ascoltato molte di queste composizioni, trovandomi di fronte, in molti casi dei piccoli gioielli musicali che meriterebbero di essere più conosciuti, incisi e soprattutto ascoltati nei concerti.

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Ecco perché, quando ho letto che cominciava il Perosi Festival 2023, con due concerti – anteprima, il 10 ed il 18 giugno, mi sono organizzato per presenziare almeno al primo dei due, anche perché c’era in programma un concerto per orchestra di soli archi, la Insubria Chamber Orchestra, che proponeva un programma assai interessante ed insolito, fra cui…una composizione per quartetto d’archi, il nono della sua produzione, trascritto, da Adriana Azzaretti, appunto per orchestra d’archi.

Ma prima di parlare delle musiche e del concerto, lasciatemi dire del luogo, stupendo di suo, dove si è svolto: il complesso dell’Abazia di Rivalta Scrivia, intitolato a Santa Maria. Che venne costruito fra il 1180 e la metà del 1200 e spicca per l’estrema semplicità e linearità delle forme, che rispecchia le caratteristiche dell’architettura gotico-romanica, anche nella muratura in laterizi, coronata da un fregio ad archetti pensili in cotto. La chiesa ha una pianta a croce latina, internamente suddivisa in tre navate. Alcune delle parti del complesso architettonico sono però state rimaneggiate nel tempo. Infatti l’aspetto attuale della facciata si deve agli interventi della fine del XVII secolo, mentre il campanile, che si innalza all’incrocio dei bracci del transetto, risale alla seconda metà del XVI secolo. Ma quello che spicca, quello che emoziona, per chi entra in quella Abazia è il senso di una grande pace, di una appagante armonia di forme, di linee, di colori: ci si sente accolti, abbracciati da un’arcana armonia, avvolti dalla tenerezza di Dio…

Per quanto riguarda il Concerto, poi, roba da non credere! Eh sì, perché proprio io, che ascolto da quando ero giovane la cosiddetta Musica Classica, che possiedo LP e CD a profusione, di tale musica, che ho assistito a tantissimi concerti…mi sono ritrovato ad ascoltare un programma per me del tutto sconosciuto! Ad incominciare da un notevole Allegro per archi in Do maggiore di Gaetano Donizetti, grandissimo operista protoromantico, del quale possiedo parecchie Opere liriche, di cui è stato fecondo compositore, e vocali, ma di cui non conoscevo questo brano assai riuscito e affascinante, dalla cantabilità trascinante.

  

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Ma prima di andare avanti, lasciatemi esprimere la mia ammirazione per il suono d’insieme del concerto. Un suono corposo, limpido e avvolgente, dovuto a mio avviso all’amalgama di due distinti fattori, entrambi fondamentali, che si sono però perfettamente amalgamati. In primo luogo il suono della piccola ma agguerrita Insubria Chamber Orchestra, nella compagine che, quella sera, prevedeva solo gli archi. E non sto parlando dell’interpretazione dei vari brani proposti, ma semplicemente dell’emoziona acustica che si percepiva all’ascolto, a prescindere da tutto il resto. Eh sì, perché l’altro importante fattore per un’acustica spettacolare è l’ambiente!  E la Chiesa dell’Abazia davvero “suona” magnificamente, con il bellissimo effetto della musica che gira intorno e veramente ti avvolge in un abbraccio che restituisce un suono corposo e timbratissimo, ma anche limpido e molto nitido. L’insieme dei due fattori ci ha donato una presenza acustica eccellente e memorabile. Ma a tutto questo occorre aggiungere che il Direttore, Giorgio Rodolfo Marini è proprio il Direttore Artistico della Insubria Chamber Orchestra, quindi l’affiatamento con la sua orchestra è totale e assoluto…si vede nel modo di fare così affettuoso e confidenziale fra i musicisti, ma soprattutto si sente, visto che tutto è stato interpretato davvero senza la minima sbavatura.

Ma altrettanto memorabile è stata la scelta dei brani, che, come dicevo sopra, sono stati una intrigante sorpresa anche per uno come me, che la Musica Classica la frequenta da tempo immemorabile. Così, dopo la deliziosa cantabilità protoromantica di Donizetti, mi sono gustato un altro brano mai ascoltato in precedenza, ovvero il Concerto in Fa per Pianoforte e Archi di Andrea Luchesi. Di questo compositore conoscevo solamente alcuni brani di Musica Sacra, di ottimo pregio, peraltro, ma questo Concerto (originariamente per il clavicembalo, ma lasciatemi dire che la versione per pianoforte è decisamente piacevole all’ascolto) si è rivelato davvero una gradevolissima sorpresa. E ha un suono che spesso ricorda i Concerti (soprattutto quelli giovanili) per Pianoforte e Orchestra di Mozart. Ma non è un caso, anzi: Luchesi è nato nel  1741, una quindicina di anni prima di Mozart (e gli è sopravvissuto per bel 10 anni, morendo nel 1801), ma…ma quando i due Mozart, Leopold (il padre) e Wolfgang (il figlio) fecero il loro primo viaggio in Italia, lo incontrarono durante il Carnevale del 1771 (Wolfgang ha 15 anni, ma ha al suo attivo già diverse composizioni) e ricevettero copia di un suo Concerto per Cembalo, che Wolfgang suonerà ancora nel 1778, quando di anni ne aveva 22, e per uno come Mozart era passata un’intera era geologica, musicalmente parlando, introducendovi inoltre una cadenza (un solo per piano di carattere improvvisatorio) nel primo movimento. Insomma, se sentiamo echi mozartiani in Luchesi è semplicemente perché il divino Mozart ha studiato e suonato la sua musica e un poco ne è stato – giustamente – influenzato. Lo ha interpretato al pianoforte il Maestro Carlo Levi Minzi, con un suono mai aggressivo, anzi, equilibrato e colloquiale, a mio avviso perfettamente coerente con le intenzioni del compositore, ma soprattutto in un amalgama pressoché perfetto con l’orchestra.

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Il brano successivo (dopo una breve paura e il trasloco del pianoforte), peggio ancora. Qui non solo non conoscevo il brano, ma non avevo mai sentito nominare neppure Andreina Costantini, la compositrice! Mia unica – debole – scusante è che si tratta di una musicista contemporanea e vivente…e non mi è mai capitato di ascoltarne brani in concerto! Un brano, il suo, in prima esecuzione assoluta, è una suite per archi, dal titolo Eos…che è in antico greco, il nome divino dell’Aurora. E il brano in sé? Dare un giudizio deciso su un brano di musica contemporanea dopo un solo e unico ascolto non è facile. Ma ciò che posso dire è che è un brano per nulla ostico o addirittura urticante, come a volte capita con la musica d’oggi: ha una sua fluente melodiosità e gioca bene sulle sfumature timbrica dell’orchestra d’archi. Piacevole con riserva? Va bene, diciamo così.

Ma è il finale ad essere davvero notevole. A parte la mia solita gaffe…poteva mancare? Eh sì, perché il finale era la proposta del Quartetto per Archi n. 9 in re minore di Lorenzo Perosi, ma magnificamente trascritto per orchestra d’archi da Adriana Azzaretti, che era presente, e sfoggiava un bellissimo e simpatico sorriso. Ho trovato davvero ottima la trascrizione, dal suono sontuoso e limpido nel contempo, che trasportava Perosi nell’alveo della migliore musica mitteleuropea del ‘900, ovvero Richard Strauss o Gustav Mahler…. Allora alla fine del concerto, dopo aver fatto le mie più sincere congratulazioni a don Paolo Padrini per l’organizzazione originale e riuscitissima di quanto appena ascoltato, sono andato a salutarla e a farle i meritatissimi complimenti per l’egregio lavoro di trascrizione…solo che…solo che al posto di dire Quartetto n. 9, ho detto diciottesimo quartetto! Avevo moltiplicato per due! Che poi, doppia figuraccia, Perosi non ci è arrivato, a comporre 18 quartetti, si è fermato a 16! Adriana Azzaretti non ha perso il suo sorriso, ascoltando la mia sciocchezza, ma di certo avrà pensato di avere davanti uno un po’ stordito, anzi parecchio…

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Me ne sono andato dall’Abazia un po’ vergognandomi per la mia gaffe finale, ma soprattutto con nelle orecchie e nell’anima l’emozione di un concerto davvero sorprendente, e quindi indimenticabile.