“Piccola città, bastardo posto”: il sottile orrore della provincia nell’intrigante “Mercoledì ti ucciderò” di Silvia Grossi.
Poco tempo fa ascoltavo, durante uno dei miei tanti andirivieni solitari su e giù per il Piemonte, la trasmissione dedicata ai libri di Rai Radio 3, Fahrenheit, e c’era l’ottimo scrittore Francesco Recami, il quale, intervistato sapientemente da Loredana Lipperini, se la prendeva con l’idea che i libri gialli, thriller o noir siano davvero, come a volte si tende considerarli, degli spaccati delle nostre realtà civili e sociali…in particolare ce l’aveva con quei romanzoni nordici dove pletore di serial killer uccidono in ogni libro una lunga serie di svariatissime persone…Ma volete sapere quanti colpi di pistola ha esploso tutta la polizia norvegese lo scorso anno? DUE! E uno dei quali partito per errore! Tuonava, ma con infinita ironia, Recami. e se Loredana Lipperini se la rideva in studio, io ridevo da solo in auto…e pensavo al libro di Silvia Grossi, che ho letto lentamente e con molto piacere, e che è proprio tutt’altra cosa, che non ci ripropone il solito trito e ritrito investigatore in gamba ma assai problematico + assassini vari assai cruenti, oppure il ritratto di un impavido quanto improbabile eroe dall’acutissima vista, superiore ai comuni mortali, alla Sherlock Holmes, per capirci…
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No: nel libro Mercoledì ti ucciderò, di Silvia Grossi, uscito la scorsa primavera per la collana “Calibro 9” della Laurana Editore c’è veramente un Noir che è uno spaccato della nostra realtà sociale e civile, la realtà di una provincia in rosso: il rosso del sangue di una donna, uccisa all’inizio del libro ma con modalità, tempi e scopo che sfuggono del tutto al lettore…che viene trascinato in un’indagine straordinariamente sui generis, dove i cosiddetti inquirenti sono lontani, sullo sfondo, non si capisce neppure che facciano esattamente, se stiano indagando oppure no… E allora si vive un’indagine condotta molto più attraverso dialoghi e confronti fra i tanti personaggi che Silvia mette in gioco, piuttosto che da uno o più investigatori di professione…personaggi, ognuno portatore di poche certezze e molta oscurità, che formano tutti insieme questo affresco ambiguo dal sottile orrore…il sottile orrore della provincia italiana. Dove il silenzio, il sussurro, l’indifferenza, l’invidia e le differenze sociali creano uno scenario di concreta e reale inquietudine, che praticamente non si scioglie mai, e prosegue, capitolo per capitolo, nel sottolineare, impietosamente, l’inautenticità dei rapporti umani che si attorcigliano fra loro in una dinamica inesauribile.
Che poi credo che, con sullo sfondo la Città invincibile, Milano, lontana, come una sorta di metafisica meta irraggiungibile, in questa provincia densa di ambiguità, tutti, ma proprio tutti, possono riconoscere la propria città… io ci ho trovato smaccati tratti di Alessandria, ma anche di Casale Monferrato e di Asti. Poi, quando sono stato a Tortona, ad ascoltare la presentazione del libro che Silvia ha fatto alla Libreria Civico Cinque, con le simpaticissime interlocutrici, Agnese Annori e Irene Gavio, nel dialogo con i lettori è venuto fuori che di fatto ciascuno ci riconosceva qualcosa della propria città…io le ascoltavo e pensavo a Francesco Guccini, che ho citato nel titolo di questo articolo…Piccola città, bastardo posto…pensavo a quei suoi vecchi versi così pertinenti, al nostro vivere in provincia: Tutto questo lo sai e sai dove comincia / La grazia o il tedio a morte del vivere in provincia / Perché siam tutti uguali, siamo cattivi e buoni / E abbiam gli stessi mali, siamo vigliacchi e fieri / Saggi, falsi, sinceri, coglioni…
Ora, avrete certamente inteso, da queste premesse, che parliamo sì di un Noir, ma parliamo soprattutto di narrativa di alto valore, valore tanto strutturale quanto stilistico. Intanto debbo fare i miei più sinceri complimenti a Silvia Grossi perché è riuscita a mettere sulla scacchiera della vicenda parecchi personaggi, ma è sapientemente riuscita a renderli tutti unici e non confondibili fra loro. Il rischio di mettere sulla carta molti personaggi è infatti quello che alla fine, mancando evidentemente in un testo scritto la differenziazione visiva che c’è in un film, tutti si assomiglino molto fra loro e il lettore non capisca più bene chi ha detto cosa e perché. Questo con Silvia non accade mai, semplicemente perché lei riesce a costruire dialoghi e situazioni dove gioca sui piani dinamici delle varie relazioni fra i personaggi, creando quindi delle sorte di insieme di motivi conduttori, che chiariscono sempre, ad ogni situazione, di chi e di cosa si stia trattando. Magistrale.
E poi Silvia mette in gioco una serie notevolissima di strutture dinamiche fra generazioni: le due avvocate – parte civile, Anna, e difesa, Grazia – e le due giovani assistenti, Camilla e Francesca. Il loro confronto serrato, di idee, pensieri ed opinioni, è davvero straordinario. E poi le più giovani: Marina, la figlia di Anna, e la disegnatrice talentuosissima, Aurora, uno dei perni della vicenda, e Laura, di questa amica. E nessuna di loro è di per sé portatrice di verità o bontà…ognuna di loro alle prese con le proprie ambiguità, dubbi e silenzi. Anche la stessa interazione con la morta ammazzata, Valentina, quando viene evocata da chi l’ha conosciuta, è gonfia di inautenticità, di scarsa o punta capacità di empatia, di comprensione. E poi, le presenze maschili, che fanno gruppo, sono gruppo, certamente, ma è proprio nell’essere profondo di quel gruppo che si celano le pozze più profonde dell’inautenticità, dell’ambiguità, di quel cuore nero della provincia così ben messo sulla carta da Silvia Grossi.
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Naturalmente non posso squadernare qui per voi, per coloro che il libro non lo hanno ancora letto, tutta la vicenda, che sto infatti cercando di tratteggiare con segni che vi lascino una grande curiosità, ottimo viatico per la lettura del romanzo…che peraltro merita di essere letto anche per il suo stile, straordinariamente limpido e acuto. Si, l’ho detto quel pomeriggio in libreria, e qui lo confermo, che il suo stile così luminoso mi ha spesso ricordato quello di Italo Calvino, e scusate se è poco. In particolare il Calvino delle opere neorealiste, come quello de La giornata di uno scrutatore, vero e proprio manifesto delle ambiguità che si celano fra i rapporti umani, soprattutto fra i rapporti di forza della e nella società. Questo per dirvi che il romanzo di Silvia vive di una leggibilità intelligente e acuta, da gustare – come ho fatto io – con una lettura lenta e profonda, fatta non per correre ad una conclusione, ma per provare piacere nel seguire le vicende narrate nel testo, i dialoghi e le varie tensioni dinamiche fra i vari personaggi, e per capire sino in fondo la pienezza del romanzo…se affronterete così questo libro, vi assicuro che proverete un piacere intenso e insospettato.
Termino con… un’ombra. L’ho citata nell’incontro a Tortona. L’ombra di Stephen King. Lo so, ho detto e spiegato che in Mercoledì ti ucciderò non c’è né splatter né horror nel senso più consueto del termina, ma un orrore sottile e strisciante, fatto di silenzi, indifferenza, rapporti ambigui ed inautentici…ma ad un certo punto della sua lettura mi è venuto alla mente quel capolavoro assoluto – letto tanti e tanti anni fa – che è IT…e poi a seguire altri libri del grande cantore dell’orrore americano…come The Dome. E non c’è forse in questi romanzi la presenza, terribile e orrenda, della città di provincia che, per la sua stessa prosperità, fa uno scellerato patto con un mostro, come IT? E che sacrifica giovani vite sull’altare del benessere, che divora le sue vittime, con indifferenza, con ipocrisia, con il suo essere profondamente inautentica…Come accade a Valentina, no? Non posso aggiungere altro, per non dire troppo, ma termino dicendo che, se lo leggerete, credetemi, non dimenticherete facilmente questo libro…questa piccola città, bastardo posto.
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