L’impegno per la bellezza e la ricerca della verità nel mondo dell’Arte: passione e controversia nel pensiero e nell’Opera di Carlo Dottor, pittore.

Siamo di fronte ad un’Opera che trovo bellissima. Si intitola Opera Lirica. L’ha realizzata Carlo Dottor, era esposta all’interno della mostra di Monastero Bormida, ormai terminata ma indimenticabile (per chi volesse farsi un’idea: https://www.alessandria24.com/2023/09/04/la-scommessa-di-una-difficile-armonia-lastrattismo-di-carlo-dottor-e-la-fotografia-descrittiva-di-manuel-cazzola-in-una-mostra-comune-di-bello-in-bello-a-monastero-bormid/) …soprattutto ho la fortuna di avere accanto a me proprio lui, Carlo Dottor, con il quale abbiamo avuto una lunga ed intrigante conversazione, sia in merito alle sua Opere, sia in merito alle sue idee, spesso assai polemiche, sul mondo complicato e astruso di certa Arte Contemporanea.

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Quest’opera in particolare, questi colori così intensi, quel corpo femminile accennato, quelle tre figure geometriche dalle tonalità dal calore al buio, da sinistra a destra…mi ha affascinato infinitamente in quanto appassionato di Musica Lirica, la cui essenza più profonda ho trovato riassunta in quel quadro. Certo: io gli ho premesso di essere un seguace dei concetti che Umberto Eco espone nel suo fondamentale saggio Opera Aperta, che mi ha insegnato a non avere paura dell’Arte, ad interpretarla con gioia e coinvolgimento mettendo al servizio di tale interpretazione la propria sensibilità intellettuale e le proprie conoscenze estetiche…ma anche cercando, se possibile, il contatto con chi l’ha creata, l’Opera che si ha di fronte, o quanto meno con le fonti storiche ed estetiche in merito. E allora mi lancio nella descrizione di una scena topica di una grande Opera Lirica: il momento dell’Ernani di Giuseppe Verdi dove tre dei protagonisti principali si incontrano e si scontrano in una scena tanto drammatica quanto indimenticabile. Mi confronto con il Maestro Carlo Dottor che secondo me si è confrontato con il Maestro Giuseppe Verdi…l’atmosfera è calda, accogliente, la conversazione anche, la mia interpretazione piace a Carlo Dottor, che percepisce molto bene la mia ammirazione per la sua estetica. Meraviglia, no?

Certo, lo è stata in generale, una mostra molto intrigante – in quel luogo fatato che è Monastero Bormida – che ha visto co-protagonisti due Artisti molto speciali e molto diversi fra loro: Carlo Dottor, pittore informale, e Manuel Cazzola, fotografo del nostro territorio. La mostra è ormai chiusa e conclusa, ma rimane il mio ricordo di molte bellissime emozioni (praticamente l’ho visitata tre volte) e il piacere indelebile della conoscenza diretta dei due artisti. Con entrambi, in giorni diversi, ho avuto, con immenso piacere, intense e profonde conversazioni. Mi hanno donato la possibilità di comprendere meglio la loro Arte e la loro complessa personalità. Una grande soddisfazione personale che ora, a distanza di un mese circa dalle interviste che mi hanno concesso, vorrei condividere con voi. E con delle considerazioni assai interessanti.

A cominciare dal complesso approccio all’Arte contemporanea di Carlo Dottor, che mi fa piacere condividere con voi perché si tratta di idee e riflessioni che dovrebbero interessare tutti coloro abbiano un pur minimo interesse per l’Arte e vivano con perplessità e quasi timore – come me – l’approccio con l’Arte Contemporanea. Così la nostra conversazione è stata sì una passeggiata fra le sue Opere esposte a Monastero, ma anche tra le sue idee sul senso della bellezza e su come spesso questo senso sfugga, nel mondo dell’Arte Contemporanea. Idee assai stimolanti: idee che vanno decisamente in direzione ostinata e contraria.

Con Carlo Dottor abbiamo dunque esplorato, in un’intensa conversazione, il tema della bellezza – centrale anche nell’Arte contemporanea – che spesso sembra invece vederla come un ostacolo all’espressione. Mentre, viceversa, il piacere di chi si circonda di Opere d’Arte nella sua stessa dimora, nella sua intimità, è proprio l’idea di convivere con le Opere che ama, che può diventare addirittura una necessità esistenziale. Una mia amica parigina – mi ha confidato Carlo – moglie di un grande regista, mi ha confessato che senza le mie opere sui muri della sua casa, si sentirebbe ormai spaesata. E la capisco, perché molte delle Opere di Carlo Dottor donano a chi le guarda un senso di grande serenità: Oceano Ovunque, ad esempio, oppure Campo di Lavanda (quest’ultima così ben in sintonia con la foto di Manuel Cazzola accanto), con quelle linee, suo importante tratto stilistico, che vanno oltre la tela, oltre, direi io, l’orizzonte degli eventi di un qualsiasi luogo, per approdare in mondi ancora inconoscibili, da esplorare. Il suo è un approccio certamente non figurativo, ma che non dimentica mai il concetto di bellezza.

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Ma, paradossalmente, quella stessa bellezza porta al fatto – assurdo – che in diverse situazioni, a Carlo Dottor alcuni galleristi abbiano rifiutato visibilità, perché la sua produzione artistica è troppo bella! Un bel paradosso…e come lo si spiega? Forse semplicemente con il fatto che ormai l’arte contemporanea è, spesso, solo una forma di investimento, gestita da grandi investitori! Basti pensare – prosegue – a luoghi come il Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli o alla Biennale di Venezia, dove la bellezza invece di essere il valore predominante diventa un problema! Io invece credo che il Rinascimento abbia cambiato nell’Occidente l’idea di bellezza, nella sostanza e nell’atteggiamento: nel nostro DNA culturale abbiamo la convivenza con la bellezza. Ma, secondo il pensiero di Carlo Dottor, è proprio nel tripudio di certa Arte Contemporanea, che veniamo privati dalla capacità di discernere la bellezza dal resto.

Certo, pensavo mentre parlava, per evidente associazione di idee, a quanto rimasi sconcertato, le prime volte in cui entrai a visitare le Gallerie d’arte Moderna e Contemporanea di Roma oppure di Torino – anche recentemente, all’inizio di quest’anno, a Torino – di fronte alle oscure bizzarrie dell’Arte del nostro tempo. Non di tutta, certo, perché per fortuna ci sono molte espressioni di arte d’oggi che sono invece assai appaganti esteticamente. Invece di fronte a certe tele di Carlo Dottor viene spontaneo cercare – con lui presente, ed è una notevole esperienza – la bellezza dei riferimenti, delle citazioni, della cultura: di fronte alla tela I Cavalieri, l’Armi e Gli Eroi gli ho proposto un paragone con la grande narrativa delle Città invisibili di Italo Calvino…e il bello che lui non ha rifiutato a priori questa mia osservazione, che diventava, invece, nella dinamica fra creatore e fruitore dell’Arte, qualcosa di vivo e partecipato. Arte anche come socializzazione, confronto e convivialità. Bellissimo.

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Ma in Carlo Dottor c’è anche tanta amarezza, che bene esprime con le sue considerazioni: Io ho praticamente dovuto smettere di propormi alle gallerie più importanti di Parigi, che non mi volevano nonostante una notevole garanzia di vendita delle mie opere. Ha poi continuato, con un bel po’ di tristezza: C’è una sorta di egemonia culturale, quasi sempre voluta da un critico – o un piccolo gruppo di critici – che conduce le danze, e sceglie a tavolino una qualche forma espressiva che diventi poi patrimonio storico. E poi si cerca di togliere ai più il senso critico, così come si sta facendo con la diffusione di un cibo banale, omologato allo stesso modo a tutte le latitudini, che alla lunga toglierà tutti il sacrosanto senso valutativo.

Si, perché Carlo Dottor,  che propone un’Arte non figurativa ma decisamente umanistica, non può che essere decisamente polemico verso il mondo dell’Arte come mondo di potere e ricchezza: Così, inoltre, tutta la ricchezza e il potere economico che transita nel mondo dell’Arte di oggi, sarà gestita da pochi, a livello mondiale. E senza quel timbro della Critica (con la C maiuscola) nulla avrà possibilità di crescere veramente.

Così, se terminiamo il nostro incontro in una sorta di luminosa cordialità, mentre facciamo insieme una passeggiata sentimentale fra le opere esposte, c’è questa amarezza di fondo. E non posso non concludere questo articolo con le sue sconfortate parole: Ma che senso ha amare l’arte seguendo pedissequamente le idee della critica? E, soprattutto, che senso ha produrre Arte che nessuno comprende veramente? Ai posteri l’ardua sentenza, io non sono certo in grado di rispondere a queste – retoriche – domande. Ma sono in grado di poter dire di aver avuto l’onore ed il piacere di conoscere meglio una personalità artistica originale – e intellettualmente assai interessante – come quella di Carlo Dottor.

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