“All Around Christmas” – parte prima – le “Storie di Natale”, in un riuscito connubio fra un’attrice e un violoncello a Monastero Bormida.

Chi mi conosce sa che non sono un grande appassionato del Natale consumistico, che vede quell’omone grande e grosso vestito di rosso, vestito con quei colori per fare pendant con i colori della bottiglietta della coca-cola – che prima era vestito di verde -. Ai miei tempi di bambino, poi, negli anni ’60, chi portava i regali (un paio al massimo e poi, sempre, un libro) era Gesù Bambino. Nessuno parlava di tale Babbo Natale. Però, quello sì, sono da sempre appassionato alle belle e sincere manifestazioni che stanno tutto intorno a Natale, All Around Christmas, appunto, dai canti natalizi della tradizione – anche antica e contadina e ve ne parlerò in un altro articolo – ai mercatini e poi alle storie di Natale. Ovvero quelle storie che si leggevano o si raccontavano intorno al fuoco del caminetto o della stufa la notte di Natale, in attesa di andare alla messa di mezzanotte (anche quella ora si è spostata nel tempo, chi la propone alle 9 di sera, chi alle 10…chi anche prima…mah?).

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Poi c’è Monastero Bormida…che adoro e dove mi sento davvero di casa, che di suo è una sorta di favola…per tutto l’anno, mica solo per Natale…così quando la mia amica Patrizia Velardi – della Fondazione Piemonte dal Vivo – mi ha invitato, pochi giorni fa, alla rappresentazione di Storie di Natale – di Olivia Marescalchi proprio a Monastero Bormida, mica potevo dire di no, anzi. E ho fatto davvero bene a partecipare, perché si è trattato di uno spettacolo dalla sofisticata semplicità, molto coinvolgente e che molto ho apprezzato.

In scena un’attrice, la splendida Barbara Mazzi, e un violoncellista, Gabriele Marchese, bravissimo (coadiuvati al service da Eleonora Sabatini), che ci hanno portati in un bellissimo universo parallelo, fatto sì di racconti di Natale, ma anche di un intrigante e trascinante interplay musicale e teatrale, dove i due si sono scambiati battute in parole e musica. E ci hanno narrato alcune bellissime storie di Natale, a cominciare dalla Lettera di Virginia O’hanlon al “Sun” (del 1897). Ammetto che non conoscevo la vicenda, o forse l’avevo dimenticata. Accadde che nel 1897 Virginia O’Hanlon, una bambina di otto anni, chiese al padre se Babbo Natale esistesse davvero oppure no (come le avevano detto alcuni amichetti). Il padre le suggerì di scrivere al quotidiano conservatore “New York Sun” e Virginia non indugiò, e scrisse una lettera che faceva più o meno così: Caro direttore, mi chiamo Virginia e ho otto anni. Alcuni dei miei amici dicono che Babbo Natale non esiste. Mio papà mi ha detto: “Se lo vedi scritto sul Sun (che peraltro è il secondo quotidiano in lingua inglese più venduto al mondo), sarà vero”. La prego dunque di dirmi la verità: esiste Babbo Natale? Il direttore del giornale, Edward P. Mitchell, affidò la risposta al redattore veterano Francis Pharcellus Church, che utilizzò parole semplici e affettuose, commuovendo l’America. Si tratta di una lettera talmente bella che ne ne riporto qui alcune frasi, ma certo senza la sapiente e trascinante interpretazione di Barbara Mazzi. Inizia con una frase intensa e lapidaria: Virginia, i tuoi amici si sbagliano. Sono stati contagiati dallo scetticismo tipico di questa era piena di scettici. Non credono a nulla se non a quello che vedono. (…) Sì, Virginia, Babbo Natale esiste. Esiste così come esistono l’amore, la generosità e la devozione, e tu sai che abbondano per dare alla tua vita bellezza e gioia. Cielo, come sarebbe triste il mondo se Babbo Natale non esistesse! Non ci sarebbe nessuna fede infantile, né poesia, né romanticismo a rendere sopportabile la nostra esistenza. Non avremmo altra gioia se non quella dei sensi e dalla vista. A queste già bellissime parole aggiunge poi una frase semplicemente bellissima e commovente, che mi ha, lo confesso, assai colpito: La luce eterna con cui l’infanzia riempie il mondo si spegnerebbe. E chiunque di noi si ricordi di com’era veramente essere bambini, o avere dei bambini per casa, capisce esattamente cosa intende una frase come questa. Per poi terminare la sua lettera così: Nessun Babbo Natale? Grazie a Dio lui è vivo e vivrà per sempre. Anche tra mille anni, Virginia, dieci volte diecimila anni da ora, continuerà a far felici i cuori dei bambini.

Beh, ero incantato. E ammirato. L’applauso per i due, dopo quella meravigliosa lettera così ben raccontata, è venuto spontaneo e vibrante. Ci avevano davvero accompagnati tutti verso un mondo più genuino e luminoso, quel mondo dell’infanzia che tutte le persone sensibili ricordano con nostalgia e devozione, per quanti e quanti anni si sia lontani da quei momenti.

Ma questo è stato poi solo l’inizio, anche se un inizio commovente e stupendo. Perché subito dopo ecco balenare storie e ancora storie, come quella decisamente Western di O. Henry, pseudonimo di William Sydney Porter, Christmas By Injunction il titolo originale, che potremmo tradurre Natale per ingiunzione. Che ci narra di un cercatore d’oro di nome Cherokee che invitò tutti i suoi amici a unirsi a lui quando pensava di aver trovato una vena d’oro, e tutti insieme fondarono la città di Yellowhammer. Però per lui la sua vena si era esaurita in fretta, quindi lui è poi l’unico che non si è arricchito…ma a tutti gli altri ha portato ricchezza. Però non ne era furioso, ma sorridente del sorriso dell’amicizia. E tutti i suoi amici si sono tolti il ​​cappello, davanti a quel singolare perdente sorridente. Ma Cherokee il suo regalo di Natale lo trova, eccome! Perché tra i ragazzini di Yellowhammer ce n’è uno, Bobby, che ne riconosce il viso per i ritratti che ha visto tante volte in casa sua…e quale migliore regalo di Natale che ritrovare un figlio e lui un padre e insieme una famiglia? Lei, Barbara Mazzi, è stata bravissima, e ottimamente coadiuvata dal violoncello, che mai si è limitato ad un mero accompagnamento, ma, anzi, era un ben presente compagno di viaggio, che sottolineava, suggeriva, colloquiava con lei con notevole maestria. Più coinvolgente di così…

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Ma dopo una struggente rivisitazione della triste storia della piccola fiammiferaia, che in un perdersi con l’immagine della nonna in un pullulare di cielo e di nuvole, quasi da quadro di Marc Chagall, mi ha donato un bellissimo ed emozionante momento, eccoci al tema della pace dentro la guerra. In realtà questa parte di ciò che ci è stato narrato non è una favola, ma un qualcosa di realmente accaduto e non in un luogo solo, durante la terribile prima guerra mondiale, la Grande Guerra, come veniva definita, quella del 1914-1918. Quella narrata dai nostri era ambientata tra le trincee del Belgio, tedeschi da una parte e inglesi dall’altra. Intanto, la potete immaginare una situazione più allucinante di quella della guerra di trincea? Non credo…Questa è la situazione: i combattimenti si susseguono, in un mare di fango, con i morti che rimangono insepolti, la puzza e le malattie, il freddo e la paura… i combattimenti stessi sono durissimi e costano cifre enormi in termini di morti e feriti. Inglesi, francesi e belgi sfidano le mitragliatrici tedesche. Ma preponderante è la lotta corpo a corpo, Fritz contro Tommies e Poilus (epiteti rispettivamente per tedeschi, inglesi e francesi). Provate ad immaginare masse di uomini – uomini a perdere – lanciate contro il filo spinato per conquistare pochissimi metri di terreno…che al successivo assalto sono spesso nuovamente perduti. In diversi casi le trincee nemiche distano fra loro solo poche decine di metri. Il nemico lo si può vedere e sentire distintamente. Ricordate La guerra di Piero di Fabrizio De André: Aveva il tuo stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore

E in mezzo alle due trincee di prima linea c’era la terra di nessuno . Una distesa mortale di crateri creati dalle esplosioni e popolate orrendamente dai cadaveri insepolti. In pochi mesi di ostilità si era passati da quella che avrebbe dovuto essere una guerra-lampo ad una allucinante guerra di posizione e logoramento. Ma la notte di Natale accadde una specie di miracolo: una tregua spontanea, alla quale gli orridi alti comandi militari erano contrari, animata solo dalla voglia dei soldati di cessare il fuoco almeno nel giorno di Natale, la cui emozione accomunava tutti i contendenti. Così, comincia uno scambio di auguri gridati da una trincea all’altra. Prima con un po’ di diffidenza, poi con una certa timidezza, alcuni soldati tedeschi escono senza armi dalle loro trincee e quasi come una reazione istintiva lo stesso fanno alcuni inglesi. Attraversano la terra di nessuno, scavalcano buche, reticolati e i corpi insepolti dei rispettivi compagni e s’incontrano gli uni di fronte agli altri nel mezzo. È una sorta di miracolo. Nemici, che in questi mesi di guerra non hanno risparmiato alcuna violenza, si guardano ora negli occhi, senza più odio. Ci sono timide strette di mano, poi il gesto è contagioso e sempre più soldati s’incontrano nella terra di nessuno, si stringono mani, si scambiano sorrisi, si prova a comunicare. Qualche ufficiale che parla tedesco prova a fare da interprete, ma il linguaggio della spontaneità supera ogni barriera.

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Ecco: proprio in questo tempo così orrido di guerra fra popoli vicini, che condividono territori in comune – come in medio oriente – oppure parlano quasi la stessa lingua – come in Ucraina e Russia – che dovrebbero credere nella collaborazione e invece si stanno sbranando, questa vicenda – vera – di Natale. più che un racconto oppure una fiaba, è davvero una voce – flebile ma forte – di speranza in questo tempo di Natale. E allora grazie a Barbara Mazzi, attrice bravissima e trascinante, in un dialogo efficacissimo con il violoncello Gabriele Marchese, che ci hanno donato queste storie di Natale e infine queste gocce luminose di speranza.