Il diritto all’immaginazione (seguirà dibattito?)

Smettete subito di leggere la finzione come narrazione della vita reale dell’autore!

Il panico si diffonde ogni qualvolta un autore pubblica uno scritto o lo mette in scena oppure lo trasforma in opera audiovisiva, perché scatta immediatamente l’irrazionale quanto irragionevole gara di quanti spiluccano ogni frase, ogni battuta, ogni scena come una rappresentazione della sua vita.

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Di certo vi sono autori che confondono i confini tra sé stessi e il proprio lavoro, in quella commistione creativa definitiva da Antonin Artaud nel saggio “Il teatro ed il suo doppio”.

Il commediografo, regista e attore Francese riteneva che l’arte scenica dovesse essere nuovamente considerata forma di creazione autonoma e pura, nella prospettiva dell’allucinazione e della paura, filtrando però i processi distruttivi, l’odio e la violenza, per farli risultare purificati e superati.

La presunzione autobiografica, da sempre rifuggita dagli autori di vaglia, farebbe apparire un lavoro svolto con pigrizia e con tratti di slealtà nei confronti del pubblico, del lettore, dello spettatore.

Piuttosto, scrivere o filmare è un buon modo per nascondersi pur mostrando con onestà i propri pensieri e le esperienze e le considerazioni, perché trattare in modo pubblico della vita è più di una espressione artistica, è più di proporre un’idea, è più che scatenare una discussione.

Gli autori sono costruttori di mondi immaginario, che pur essendo universo non può che essere rappresentato se non per piccoli pezzi, frammenti di un lavoro di finzione che può essere una sorta di caleidoscopio della vita.

Nulla è in effetti come l’intero originale, ma i frantumi possono essere ricomposti da chiunque lasciando che la finzione svolga il proprio ruolo.

L’atmosfera magica della sospensione dell’incredulità che ci permette di assaporare ogni storia, anche quella che infine sarà incredibile come la storie di fantasmi o le fantasie su popoli alieni.

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Le esperienze fatte con la lettura di un libro, con la visione di un film, con la compartecipazione ad uno spettacolo teatrale sono reali, anche se completamente inventate e nel contempo sorrette dal fascino esercitato dalla connessione fra vita reale, autori ed il loro lavoro.

Gli autori cinici ritengono che il senso del lettore o spettatore origini nel diritto di fargli scegliere qualsiasi pezzo di informazione che esso desidera.

Gli autori più tollerante immaginano invece il pubblico come mistero da risolvere, da coinvolgere in un piacere a cui può essere aggiunto altro piacere.

In questo senso concentrare la propria attenzione sulla questione autobiografica rende meno interessante l’opera, a causa del costante timore di trovare cose che non sono realmente accadute, che non sarebbero potute accadere.

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La pena che ci si infligge, in questo caso, è quella di non accorgersi dei sentimenti che sono molto, molto vicini a noi.

L’immaginazione non cade dal cielo, ma è un elemento terreno attorno a cui occorre lavorare molto, prendendo in prestito dalla vita reale, da quella dell’autore, come pure da quella di altre persone, magari incontrate una sola volta.

Infine, il cinema, precisa arte sorretta da tecnica e azione operaia, sfrutta in modo naturale un’empatia che sfugge dal profondo dell’animo umano, per rifugiarsi in esteriorità che è sintesi costruita da esistenze votate alla trivialità in cui si riconosce ciascuno di noi.