Studio sul fascino dell’impermanenza, nell’arte e nella vita, tra un mistico, una mostra, una poetessa e una danzatrice…

Ebbene sì: l’impermanenza. Il suo fascino, la sua poetica. Perchè se, tecnicamente, dizionario alla mano, significa semplicemente Condizione di precarietà, di provvisorietà, dietro questa parola, a saper ben scavare, c’è un intero universo. Il Maestro Franco Battiato, che tanto amiamo sia io che Tashi  Sufi, ebbe a dire: Siamo impermanenti: bisogna capire questo concetto e saper andare al di là anche di ciò che ci dà piacere. Ma l’impermanenza va vista anche come concetto centrale in diverse filosofie orientali, come il Buddhismo e il Taoismo. Questo concetto suggerisce che tutto ciò che esiste è in costante cambiamento, e nulla è destinato a durare per sempre. La connessione con la spiritualità e la crescita personale è evidente, e Tashi Sufi (al secolo Antonio Gervasoni) è uno dei profeti dell’impermanenza. Lui ha fatto moltissimi viaggi in Oriente, e nella sua esistenza ha trovato un legame profondo tra il viaggio fisico e il viaggio spirituale. Del resto, molti mistici e filosofi vedono i viaggi in luoghi lontani come occasioni per esplorare se stessi, per comprendere meglio la propria impermanenza e la propria connessione con l’universo. E lui è uno di questi. La sua ricerca di verità – interiore e non solo – lo ha portato in terre lontane, dove il concetto di impermanenza non è solo una riflessione filosofica, ma una realtà tangibile, che ogni giorno si è manifestata nei suoi incontri, nelle sue esperienze, e soprattutto, nelle sue intuizioni profonde. Come la musica di Franco Battiato, che molto spesso si fa portatrice di messaggi di speranza, cambiamento e ricerca spirituale, anche il cammino del mio amico è una sinfonia di attimi fugaci, un invito a guardare al mondo con occhi nuovi, riconoscendo la bellezza del transitorio e dell’effimero.

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La vetrinetta della mostra dedicata a Milarepa

Profondamente legata a questi concetti è la figura di Milarepa (1051 – 1135), che Tashi ha impersonato proprio il giorno dell’inaugurazione della sua piccola ma notevole mostra, alla Biblioteca di Novi Ligure (che è luogo di suo davvero bellissimo). Milarepa è noto per il suo percorso di trasformazione radicale, che lo ha portato dal peccato e dalla vendetta alla liberazione spirituale e all’illuminazione. Non vi ricorda un po’ il nostro Santo nazionale, Francesco? In ogni modo, la sua vita è stata un esempio potente di come l’impermanenza possa essere compresa e vissuta non solo come un cambiamento esteriore, ma come una trasformazione interiore profonda. Milarepa ha imparato a vivere l’impermanenza come una realtà fondamentale della vita. E in effetti la sua vita è stata una testimonianza di come la sofferenza, la morte e la rinascita siano parte di un ciclo naturale, e come accettarli possa portare alla pace interiore. Il mio amico Tashi Sufi, come molti sinceri e genuini mistici, ha trovato nelle tradizioni orientali una via che va oltre la razionalità e si affida alla trasformazione interiore. Infatti proprio il suo cammino spirituale ricorda, per certi versi, quello di Milarepa, il grande yogi tibetano che riuscì a trasformare la sua esistenza attraverso una profonda pratica di meditazione e non attaccamento. La sua vita è un esempio di come l’impermanenza non sia solo un concetto filosofico, ma una realtà da vivere ogni giorno. Milarepa ha saputo abbracciare il cambiamento come un’opportunità di crescita spirituale, ed è proprio questo che il mio amico Tashi Sufi ha imparato a fare nei suoi viaggi in Oriente: accogliere l’incessante flusso della vita come una manifestazione della verità, e trovare in esso la pace. Così posso affermare, con empatia e affetto, che  il suo cammino è simile a quello di Milarepa, un cammino di auto-purificazione e illuminazione attraverso la consapevolezza dell’impermanenza.

Gervasoni che interpreta Milarepa

Fedele alle sue idee, Tashi ha puntato su una rappresentazione sincretica della sua realtà spirituale. Ricordo che il sincretismo è l’integrazione e la fusione di diverse tradizioni, credenze o pratiche in un’unica visione o sistema, cercando di armonizzare e arricchire le differenze culturali e spirituali. Quello che ci ha proposto Tashi è stata una fusione straordinaria di arte, poesia, danza e spiritualità, che univa diversi linguaggi e tradizioni in un unico, armonioso evento. Il fatto che lui abbia scelto di interpretare, brevemente, la parte di Milarepa aggiunge un ulteriore strato di significato profondo, poiché Milarepa rappresenta la trasformazione interiore e la connessione spirituale con l’impermanenza, temi che si sposano perfettamente con la sua mostra. Ma oltre a ciò erano presenti, in n flusso apparentemente sconnesso, ma in realtà tutto collegato nel segno dell’impermanenza, due fondamentali figure femminili: la poetessa (e amica di entrambi) Silvia Oppezzo, e la danzatrice Sara Fiume. Non conoscevo Sara Fiume, ma Silvia si, visto che abbiamo collaborato – e spero continueremo a farlo – ad un bel progetto artistico fra Arte e Poesia. Ci ha letto alcune poesie, una più bella dell’altra, con come tema, naturalmente, l’impermanenza. La sua è una poesia limpida come acqua di fonte, una vera carezza per l’anima: “Futuro” è parola di mutevolezza, / Dell’impermanenza(,) della vita / Che fugge via. “Futuro” è parola / Pregna di permanenza, garanzia / Che restino, che siano per sempre / Le cose che si amano davvero. // “Futuro” è parola sconvolgente / E gioiosa, perché porta in sé / La firma e la forma dell’Infinito, / E di me imme(n)(r)sa in Lui. Questo il finale di una poesia dal titolo evidente: Futuro. Ma vi vorrei proporre anche l’inizio, cheè un puo raggio di sole: “Futuro” è una parola dolce, / Perché è il tempo dei sogni / Appesi tra le nuvole (…) …e i sogni non sono forse il territorio per eccellenza dell’impermanenza? Poi ci ha letto altre cose, fra cui una vera e propria meditazione poetica sul tema dell’impermanenza, che tra le alte cose dice: Credo che l’impermanenza / non sia lo sparire delle cose, / bensì lo sperare nelle cose. Quando Silvia ci leggeva le sue parole, nella sala c’era un silenzio sospeso, denso di meraviglia. Il miracolo della poesia e della bellezza, no?

Silvia e Tashi

Ma lo stesso miracolo di eterea sospensione del tempo e della realtà, si è avuta durante le due performance di una splendida Sara Fiume. Eh si, la danza, come il cammino spirituale, è un atto di continuo cambiamento. Ogni passo, ogni movimento, è un’ode alla transitorietà della vita. Nella sua eleganza, la danzatrice orientale, in entrambi i suoi momenti, in questo evento non solo ha danzato magnificamente, ma ha incarnato l’impermanenza stessa: ogni gesto fluido e veloce, ogni giro che nasce e svanisce nell’aria, è stato una riflessione sulla fugacità del tempo e sull’inevitabilità del cambiamento. La sua danza è diventata il linguaggio universale del corpo che accetta, celebra e vive nel flusso della vita, senza resistenza, senza paura. Proprio come per Milarepa, che ha trasformato la sua sofferenza e la sua ricerca in un cammino di libertà, così ogni movimento della danzatrice è stato un atto di liberazione, un ricordo che nulla dura, ma che ogni cosa, in ogni attimo, è perfetta nella sua impermanenza.

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E allora cosa potersi aspettare dalla mostra se non un senso di impermanenza anche nella costruzione artistica? Perchè l’arte impermanente, in cui la creazione è un atto momentaneo e il risultato viene fotografato prima di essere distrutto, è un concetto affascinante e profondamente simbolico. Di conseguenza, l’idea di creare un’opera d’arte che esiste solo per un breve periodo di tempo e poi viene distrutta è una manifestazione perfetta della natura effimera della realtà. L’arte che nasce per essere consumata dal tempo, che non ha la pretesa di permanere ma di esistere nell’attimo, si fa portavoce di una filosofia che abbraccia l’idea che ogni cosa esiste nel suo momento, ma nulla è destinato a durare per sempre. La fotografia di quest’arte diventa una sorta di testimonianza del passaggio, un modo per congelare l’istante prima che l’opera svanisca. Così, in un mondo che spesso si preoccupa di conservare e mantenere tutto ciò che è bello, l’arte impermanente propone un approccio radicale: la bellezza è effimera, e la sua fugacità la rende ancora più preziosa. L’arte, realizzata con materiali di ogni genere e improvvisata sul momento, trova la sua espressione nella creazione e nella distruzione, in un ciclo che non ha la pretesa di permanere. Una volta completata, l’opera viene fotografata, imprigionando un attimo di bellezza che esiste solo nell’istante. Dopo di che, la creazione viene distrutta, come a dire che nulla può resistere al passare del tempo. Questo atto di impermanenza è un richiamo profondo alla vita stessa: ogni momento è unico e irripetibile, e la bellezza si trova nel processo, non nel risultato finale.

Termino questo articolo, perdonatemi, con due brevi considerazioni personali. La prima è che la mostra è stata in realtà allestita lo scorso 6 ottobre…ci sono andato per amicizia e curiosità, ma stavo già parecchio male, e poi le cose sono andate subito peggiorando. Per cui non ho scritto subito un opportuno articolo su questo tema, l’impermanenza, che pure mi affascina moltissimo. Ma mi sembrava giusto parlarne, e se avete letto l’articolo capite bene il perchè. L’altra cosa è che tutto l’articolo è stato scritto ascoltando musica di Franco Battiato, che sia io che Tashi amiamo moltissimo, ed in particolare il Concerto di Verona in cui molti artisti italiani hanno omaggiato le straordinarie canzoni di Battiato, dal titolo a dir poco emblematico: Invito al viaggio. Voglio pensare che la presenza musicale del Maestro mi abbia aiutato ad esprimermi  con la giusta chiarezza, in questo primo articolo del 2025.

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