Quel difficile passato che bussa alla porta: “La ragione del silenzio” di Patrizia Monzeglio

Io ricordo benissimo il giorno in cui le BR hanno rapito Aldo Moro, il 16 marzo 1978. Avevo diciott’anni, non ancora compiuti, abitavo e studiavo a Casale Monferrato. In quel momento stavo tornando da scuola, avevo i capelli lunghi e un po’ di voglia di cambiare (in meglio) il mondo. Ma l’idea stessa di poter fare quello che aveva pur fatto qualcuno che conoscevo, cioè passare in clandestinità, per entrare a far parte di un gruppo armato rivoluzionario, come appunto le BR, e quindi imbracciare un’arma e sparare, il più delle volte a persone inermi. per ucciderle o per ferirle (gambizzarle, dicevano) mi faceva orrore. Io stavo francamente dalla parte di Indro Montanelli, che era stato vigliaccamente ferito con ben quattro colpi alle gambe, con spari da dietro le  spalle, più o meno un anno prima. Il gruppo di fuoco, si sarebbe appreso, era composto da tre brigatisti del gruppo Walter Alasia: Franco Bonisoli, che sparò i colpi, e Lauro Azzolini, entrambi condannati per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, e Diana Calogero , che attendeva i due complici a bordo di una 128 bianca. Poi tutti catturati non molto tempo dopo. Io però leggevo la Storia d’Italia di Montanelli, con passione e con piacere, mentre i testi del mondo eversivo li trovavo peni di assurdità. Per dirvi che tipo d’uomo fosse Montanelli, sappiate che, nel 1987, quando ormai il terrorismo era sconfitto, durante un incontro al Circolo della stampa, il grande giornalista strinse la mano ai suoi aggressori, detenuti in permesso speciale dal carcere di San Vittore. A guerra finita – disse Indro – tra nemici si brinda. Ma ad Aldo Moro non andò così bene. Ricordo ancora l’immenso corteo, a cui partecipai, dove operai e studenti insieme, sfilarono per le vie di Casale (e accadde un po’ in tutte le città) contro le BR e la loro barbarie ideologica e assassina.

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I ricordi di quel tempo li ho ben impressi nella mente, e sono estremamente convinto che fu la lotta armata a decretare la fine di quel movimento, pacifista e positivo che era venuto fuori fra i giovani nel post 68. Per tutto ciò, quando Patrizia Monzeglio, in un incontro alla sede de I Marchesi del Monferrato, iniziò a parlare del suo libro, La ragione del silenzio (Neos Edizioni, 2022), e compresi che era strutturato in maniera tale da far riemergere quel passato difficile e scomodo,  quindi con riferimento agli anni 70, alle BR, e per di più ambientato a Casale Monferrato e nelle colline intorno, in particolar modo a Vignale, paese che amo e frequento da moltissimi anni, mi sono sentito immensamente coinvolto. E assai stimolato alla lettura. Così acquistai il romanzo, soffermandomi anche ad una breve ma intensa conversazione con l’autrice. Ero convinto che lo avrei letto in pochi giorni, le ho anche promesso una recensione….e invece…invece sono arrivato lestamente al capitolo intitolato Giovedì 18 febbraio (pag. 57), e non sono più riuscito ad andare avanti. Nel capitolo precedente, c’era stata la lite fra (l’evidente ) ex brigatista e gli altri partecipanti ad un gruppo di dialogo etico-filosofico, che si riunisce in una (inesistente, nella realtà) biblioteca antiquaria di Casale Monferrato. Ecco, quella lite, peraltro magistralmente descritta, troppo mi ricordava le litigate nelle assemblee, troppe volte ho visto reazioni minacciose, da parte di ragazzi che apparentemente erano del tutto normali, ma giravano poi con una P38 infilata nei pantaloni. Mi ha catturato una strana angoscia. Ho posato il libro e non l’ho terminato. Ma non l’ho neppure tolto dalla pila di libri che mi osserva un po’ arcigna dal mio comodino da notte. E così l’altro giorno mi è capitato fra le mani, l’ho riaperto, l’ho riletto da capo…mi ha preso molto, l’ho terminato pochi giorni fa..e ora ve ne parlo.

La vicenda, che viene raccontata dal punto di vista oggettivo della terza persona, ha inizio a Vignale, che però l’autrice chiama Pozzonuovo e, incredibilmente ormai, nel pieno di una nevicata. La protagonista, Letizia, vive da anni fra Torino e il Monferrato, ma ora, rimasta vedova, tende a preferire la collocazione monferrina. Anche perchè la sua casa di Torino è stata invasa dalla figlia Sveva, con le sue bambine, perchè Sveva è in crisi matrimoniale. Patrizia Monzeglio, con una pennellata descrittiva monto bella, dice di lei: A Letizia piaceva il silenzio, che le permetteva di guardare dentro di sé, di prestare attenzione alle sue emozioni, di far emergere ciò che tendeva a rimanere in profondità. In un certo senso, si trovò a pensare, il silenzio era il suono della libertà. Molto bello, no? Parlando con zio Kurz (che a dire il vero sarebbe il cugino Curzio, ormai anziano), gli rivela che sta organizzando, con un suo ex allievo, Michele, che è diventato socio della Libreria Antiquaria di Casale Monferrato (che in realtà non esiste), di Giovanni, che ora naviga in cattive acque, un Café Philo, luogo di incontro dove Si discutono temi vari, si scambiamo le opinioni, si ascoltano quelle degli altri. E Letizia dovrebbe coordinare le riunioni, proponendo e letture filosofiche. E così, il 3 febbraio, iniziano gli incontri in libreria (antiquaria): Giovanni, il socio anziano, è coetaneo di Letizia. Che sarà uno dei protagonisti principali della vicenda.Sono entrambi dei boomer, come oggi va di moda dire, esattamente come me. Letizia, un po’ impietosamente, descrive così Giovanni: Forse senza quella barba grigiastra fuori moda, con qualche chilo in meno e qualcosa di decente addosso, avrebbe potuto venir fuori una persona diversa.

In effetti la prima serata di incontro è molto vivace, con dialoghi davvero non banali e riuscitissimi, fra persone entusiaste e altre decisamente scettiche in merito alla valenza di quel tipo d confronti. Nel capitolo successivo incontriamo un altro dei protagonisti. il professor Gaspardi. Costretto su una sedia a rotelle, con un passato misterioso che non condivide con Letizia (e quindi neppure con noi). Il momento più inquietante di questo incontro, apparentemente sereno e colloquiale, avviene quando lei gli dice il nome del proprietario della libreria dove si tengono gli incontri del Café Philo: Le sembrò di notare un’ombra di contrarietà nello sguardo del professore. Fu questione di un attimo. (…) Forse quell’ombra era stata solo una sua impressione. Poi a Casale le cose si complicano, con l’arrivo nel gruppo del Café Philo del terzo motore della vicenda, Sergio. Che è aggressivo, politicamente rivoluzionario. Leggete Malcom X! sbraita ad un certo punto, e un certo Fabrizio, uno del gruppo, gli risponde con un sardonico: Ma chi è sto’ Malcom X? Un Rapper?,  suscitando ancora di più l’aggressività di Sergio: Siete solo dei bambocci, figli di papà, ecco cosa siete!. Ecco, ora che vi ho presentato brevemente tutti gli attori principali, non vado oltre per non dirvi troppo…ma, dato che lo trovate nel retro di copertina, vi aggiungo soltanto che Giovanni inizia a ricevere misteriose minacce, e poi scompare, senza più dare notizie di sé. Ma saranno quindi Letizia e Michele ad iniziare la ricerca di Giovanni. Con molte scoperte, molte sorprese, molte domande e non tutte le risposte. Una ricerca che li condurrà a dover affrontare un passato (che per Letizia è ricordo e per Michele Storia). Con un mirabile doppio confronto, quindi, che comprende anche il rapporto fra la nostra generazione di boomer e quelle di oggi. In tutto ciò la scrittura di Patrizia Monzeglio è priva di retorica, ma vibrante del piacere di dipanare una vicenda ricca di enigmi e di mistero. Buona lettura.

 

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