Il fascino discreto del malavitoso: ieri ai Kristalli “Mario Rossi – Di comune solo il nome” di Errico D’Andrea e Lucio Laugelli

E va bene, lo confesso: quando ho iniziato a leggere, tanti (troppi) anni fa, la serie dei romanzi Noir di Massimo Carlotto, a cominciare da La verità dell’alligatore, mi ha molto colpito – e mi è risultato assai simpatico – uno dei personaggi principali, il braccio destro del protagonista: Beniamino Rossini, professione malavitoso. E come, quindi, non sentirmi molto affascinato, oggi, dalla visione di un bellissimo film-documentario, che ci narra la vicenda di un vero malavitoso genovese, Mario Rossi. Un uomo che ora ha quasi 70 anni, ma ne ha passati più di 40 in galera. Uno degli intervistati nel docufilm dice che uno così Sicuramente non ha fatto delle scelte intelligenti. Sembra così, ma, anche se appare assurdo, e probabilmente lo è, di lui dicono, e in f0ndo dice anche lui, che, tutto sommato è molto più sereno quando è in carcere piuttosto che nei periodi in cui ne è uscito. E allora, eccolo, in senso totale, ben solido, il fascino discreto dell’essere un malavitoso. E noi a confrontarci con una persona così, che gli schemi della normalità li elude e ignora senza fare una piega. L’idea di questa opera su un malavitoso, è nata quando Laugelli ha lavorato ad un documentario dal titolo (che ricorda il grande Eduardo) Le voci di dentro, che sono quelle di sei detenuti della Casa di Reclusione di San Michele (Alessandria), che il regista e i produttori del docufilm hanno frequentato per sei mesi, all’interno di un laboratorio cinematografico in carcere, diventato – pian piano e inevitabilmente – un momento e uno spazio di incontro ben più intimo e complesso. E fra i tanti reati diversi,  i diversi percorsi esistenziali (c’è chi esce fra un paio d’anni e chi non lo farà mai), Laugelli ha conosciuto chi ha trovato una sua dimensione in prigione, proprio come Mario Rossi. E la vicenda umana e criminale di quest’uomo, simpatico e disponibile, lo ha colpito e coinvolto moltissimo. Ed ecco che ora abbiamo questo nuovo docufilm, totalmente a lui dedicato. E tutto è avvenuto attraverso un resoconto intimo, che ha il calore della vera confidenza.

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Questo straordinario romanzo criminale di Mario Ubaldo Rossi inizia nella Genova degli anni ’70, quando, nell’Italia degli anni di piombo, la sua banda diventa una delle più celebri del Nord Italia. Ma lui e la sua banda non hanno assolutamente nulla di politico, sono proprio prima ladri e poi rapinatori (la differenza fondamentale fra un furto e una rapina sta nell’essere o non essere armati). Poi altri reati terribili, come un paio di redditizi sequestri di persona…e infine il primo omicidio, la latitanza e un viaggio all’inferno nelle carceri più dure…dove spesso è stato isolato, con i suoi compagni di carcere, con i quali non aveva nessuna possibilità di interagire. Sino alla grande rivolta dei carcerati dell’Isola d’Elba, che ha fatto notizia a livello mondiale, con in tentativo di fuga in elicottero. Però poi, pensate, lui in carcere, a Cuneo (che ne ha girati tantissimi), scopre di poter dipingere, di essere in grado addirittura poi di partecipare ad una mostra. E in questa mostra conosce una donna che poi diventerà addirittura sua moglie, Rosanna. Ma lui anche se poi esce in base ai benefici di Legge, non riesce a quietarsi. Forma una nuova banda criminale, e nel 2015 uccide un uomo nuovamente, un malavitoso pure lui che voleva truffarlo, ma non ha pensato che era sotto stretto controllo e dopo pochi minuti è quindi arrivata la polizia, con i mitra spianati, e lui si prende un ergastolo ormai definitivo. E il suo avvocato, una signora dal fare semplice ed empatico, che dice, sconsolata, che Mah, ormai, data anche l’età del Rossi… E ieri sera, ai Kristalli di Alessandria, con uno strepitoso Sold Out, è stato presentato questo docufilm dalla qualità registica e descrittiva veramente notevole, nella sua sapienza di saper alternare immagini di un carcere, ma solo…attimi che sembrano usciti da un fil esistenzialista. Come le interviste ad un ex terrorista, fatte in una sorta di discarica da spiaggia, lui malmesso con una pancia enorme…metafora totale di decadenza umana ed esistenziale, no?

Ma naturalmente il fulcro di tutto è una lunga intervista con Rossi, corredata dalle molte testimonianze di altri personaggi, ex malavitosi, ex terroristi, avvocati oppure operatori sociali, che narrano di una vita dura alla quale, come un gorgo, Mario Rossi non ha mai saputo sottrarsi. Dai primi furti in poveri alloggi nei carruggi di Genova sino alle prime rapine armi alla mano, e perfino sequestri di persona…tutte cose che lui racconta con una incredibile patina di normalità, che fa trasecolare… Il riassunto più appassionato del docufilm lo fanno gli autori stessi: Tra sei anni di isolamento totale nei famigerati “braccetti della morte” e, negli anni ’80, il tentativo di fuga in elicottero da Porto Azzurro a seguito di una rivolta carceraria senza precedenti, con decine di ostaggi e i gruppi di intervento speciale pronti a fare fuoco, Mario Rossi, oggi settantenne, racconta la sua vita che, a dispetto del suo nome, non ha nulla di ordinario. La storia di Rossi si intreccia con quella di Francis Turatello, Renato Vallanzasca, le Brigate Rosse, Albert Bergamelli del clan dei marsigliesi, il terrorista nero Mario Tuti, oltre a rapinatori meticolosi che sembrano usciti da un poliziesco, come Pancrazio Chiruzzi, soprannominato il Solista del Kalashnikov. Come fa una persona che ha trascorso quasi tutta la propria vita chiusa a chiave in una cella a non impazzire? Come ci si sveglia la mattina sapendo che si morirà dietro le sbarre e che all’orizzonte non c’è più la possibilità di vivere liberi? Dov’è la redenzione? Con questo docufilm abbiamo cercato risposte a questi interrogativi, provando a raccontare un’infinita spirale di privazioni, fughe, vendette, incubi e silenzio.

Tutte le domande che gli autori hanno fatto a Mario Rossi, non solo i due registi Errico D’Andrea e Lucio Laugelli, ma anche Giada Mela Bellotti, che pure è stata in carcere per organizzare gli incontri fra glia autori e lo stesso Mario Rossi, non hanno mai avuto risposte nette e chiare dall’intervistato. Quando gli viene chiesto qualcosa in merito alla redenzione, lui, freudianamente, non capisce neppure di cosa si stia parlando.  E quando gli chiedono cosa prova quando apre gli occhi la mattina, dice, come un normale pensionato (l’età ce la ha), che pensa con serenità alle tante cose che ha da fare. Ma la cosa che più mi ha colpito della vicenda umana di questo personaggio, che sembra uscito dalla penna di un grande narratore di un grande come Massimo Carlotto, è quando ci ha narrato di aver imparato a dipingere – cosa mai fatta fuori dal carcere – con ottimi risultati. Che però non lo hanno convinto a cambiar vita.

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Non voglio aggiungere altro per lasciare a chi lo guarderà, questo splendido docufilm, il piacere di gustarlo con l’attenzione che merita. Dico questo perchè lo potrete trovare su Amazon Prime, cercandone semplicemente il titolo in questa pagina: https://www.primevideo.com/region/eu/categories?ref_=atv_sso_std. Vorrei però concludere dicendo della bellezza di aver visto tanta gente alla prima di un docufilm ad Alessandria: il cinema pieno, un dibattito successivo (ricordo che negli anni 70 quando scattava il dibattito scappavano tutti) partecipato davvero, con molti interventi. Giada mi ha detto che per lei vedere così tanta gente non solo è stata fonte di orgoglio, e sintomo che c’è una città che ha voglia di ascoltare. E come concludere meglio questo articolo? Ma nella foto sotto ci sono i protagonisti della serata, ve li voglio presentare, ad iniziare dalla stessa Giada all’estrema destra, e quindi, a seguire, da destra a sinistra: Stefano Careddo, responsabile della produzione, Pietro Sacchi, che opera all’interno del carcere, Pancrazio Chiruzzi, il solista del kalashnikov, poi il Regista Lucio Laugelli, il montatore e co-Regista Errico d’Andrea, e infine il presentatore della serata, Roberto Lasagna.